Marco Annicchiarico a Leggermente, 1 febbraio 2023

Marco Annicchiarico

«Il morbo di Alzheimer è una di quella catastrofi che paiono finalizzate a mettere alla prova l'animo dell'uomo [...]. Se proprio si vuol trovare una componente di saggezza, la si può identificare nella consapevolezza che l'essere umano è capace di dimostrare un amore e una devozione che trascendono non solo la degradazione fisica, ma anche il logorio spirituale»
(Sherwin B. Nuland, Come moriamo)

Nell'ambito del progetto Leggermente, il Gruppo di lettura Cesare Pavese e il gruppo di lettura LeggiAmo | Letture condivise a KM0 hanno incontrato Marco Annicchiarico, critico musicale e poeta, per la presentazione del libro I cura cari (Einaudi, 2022) alla Biblioteca civica Cesare PaveseDurante la sessione dei due gruppi di lettura, i partecipanti hanno iniziato raccontando le proprie esperienze personali come caregiver in relazione a familiari malati di Alzheimer. Questo memoir, che racconta il legame tra un figlio e la madre affetta da Alzheimer, è infatti una storia in cui molti possono riconoscersi (come indicato dall'Istituto Superiore di Sanità il 5 % di persone con più di 60 anni soffre di un qualche tipo di demenza senile​​​​) e suscita una spontanea condivisione. 

Se sono i ricordi a definire chi siamo, ci può essere un'identità oltre i ricordi perduti? Annicchiarico pare risponderci di sì, sottolineando però di parlare solo per se stesso, per il suo caso specifico; ha saputo accettare - passando attraverso fatiche e difficoltà che il racconto non nasconde - la nuova biografia che sua madre ha dovuto darsi - anzi le tante versioni di sua madre - ed ha iniziato a costruire con lei una nuova lingua, poetica e quotidiana ad un tempo, in cui importanti sono i toni della voce, «i gesti che accompagnano le parole», non il significato puntuale: «Così, quando mia madre inventa parole nuove, io le faccio mie e torniamo a parlare la stessa lingua, una sorta di nuovo esperanto» scrive Annicchiarico. 

In linea teorica dovrebbe essere possibile discutere le alternative assistenziali quando la persona è ancora in grado di autodeterminarsi ma, per certi versi, mettere per iscritto una decisione anticipata di trattamento sanitario (le famose DAT) rimane qualcosa di astrattamente razionale mentre noi siamo esseri intessuti di emozioni e interessi anche momentanei, spesso non durevoli. L’idea di cosa sia bene per noi (o di cosa potrà essere bene per noi in futuro) - che dovrebbe guidarci come un faro - appare in continuo mutamento e se la nostra situazione psicofisica cambiasse, anche gli interessi personali potrebbero modificarsi e piccole cose potrebbero divenire importanti, mentre grandi progetti, non più concepibili, potrebbero essere semplicemente accantonati (cfr. l'emblematico caso di uno dei più eminenti saggisti tedeschi Walter Jens affetto da demenza senile in Della dignità del morire. Una difesa della libera scelta). 

Così, mentre l'incontro prosegue, e rivolgo a Marco Annicchiarico le mie domande filosofiche sull’identità, s’insinua il dubbio che forse anche il concetto di identità non sia poi così universalmente fondante ma anch'esso sia costruzione culturale e che forse questa esigenza per noi occidentali di poter affermare 'io' sia indotta: come cantava Giorgio Gaber forse l’io è «l’ultimo peccato originale». E forse per qualcuno di noi potrebbe essere più importante proseguire una relazione affettiva piuttosto che rimanere pervicacemente adeso al proprio schema identitario. 

Il racconto di Samuel Becket Sans, composto in francese nel 1969 (in italiano Senza), 24 brevi capoversi privi di virgole, descrive uno stato semi-vegetativo (in inglese Beckett coniò l'efficace neologismo Lessness) in cui il soggetto si posa nel vuoto bianco e nel silenzio, dopo che sembrerebbero essersi consumati ogni nesso o parola significante («Facce senza tracce bianco assoluto occhio calmo finalmente nessun ricordo»). Come scrisse Emil Cioran in Esercizi di ammirazione, nel capitolo dedicato al drammaturgo irlandese, questa dissolvenza dell'io è una «mescolanza di privazione e d'infinito, vacuità sinonimo di apoteosi». E forse questo depotenziamento dell’io - che prende a vivere in modo indifferenziato - ha una sua, seppur malinconica, bellezza, come la defoliazione di un albero in autunno.  

Testo di Stefania Marengo (Biblioteche civiche torinesi) 

La registrazione dell'incontro con Marco Annicchiarico è avvenuta a cura delle Biblioteche civiche torinesi; il video è stato pubblicato sul canale YouTube delle BCT.

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