Harold Budd & Brian Eno – Ambient 2: The Plateaux of Mirror

Budd & Eno - Ambient 2

Uscito nell'aprile del 1980, due anni dopo lo sterilizzato e brillante Music For Airports, The Plateaux of Mirror è il secondo capitolo della famosa serie Ambient: ancora frammenti di pianoforte spazializzato immersi in ambienti malinconici, appena illuminati, sereni, e tuttavia debolmente tesi, introversi, sulle soglie di una oscurità incipiente. Con il compositore d'avanguardia Harold Budd (deceduto per complicazioni Covid l’8 dicembre del 2020) al suo fianco, Eno produce ancora una volta un album di rara bellezza e capacità trascendentali: "... io mettevo in scena un suono, lui lo improvvisava e ogni tanto aggiungevo qualcosa: ma era principalmente lui che si esibiva in un mondo sonoro che avevo creato ". Con queste parole, l’autoproclamato non musicista ci introduce direttamente all’interno delle dieci tracce che compongono il disco, che di fatto prosegue il discorso iniziato con Music for Airports, indulgendo a rappresentazioni più melodiche, frammentate e strutturate che in qualche modo prendono le distanze dalla uniformità ambientale del primo lavoro. Fin da subito, si ha la percezione della fragilità delle melodie pianistiche d’atmosfera intessute da Budd, fuse a loro volta nei vari trattamenti elettronici di Eno: le linee del pianoforte sono morbide, lente e si dipanano in paesaggi sonori simili a tappeti che lasciano l’ascoltatore libero di viaggiare in atmosfere oniriche, nebbiose, talvolta indecifrabili. E poiché i brani non posseggono una struttura precisa, organizzata, il viaggio si fa più immaginifico e inesistente, più dolorosamente ancestrale: ciò che sta qui, davanti a noi, pare la confessione di due compositori, unici, che in una mattina nebulosa d’autunno si siano ritrovati a dipingere frammenti sonori che levitano sopra un pianoforte ovattato e trattamenti elettronici intrecciati lungo le traiettorie dello spirito, in un regno subconscio di ricordi semidimenticati e frammenti di sogni mai vissuti. Tutto ciò che si può fare, ci indicano i due artisti, è ascoltare. Con molta attenzione. L’intero disco ruota intorno ad uno sfondo elettrico e acustico minimalista, caratterizzato da brevi episodi come Steal away, apparentemente sbiadito e dissolvente, timorosamente assente di volo, a brani più lunghi, come First light, nei cui primi sei minuti l’impressionismo dissimulato e discreto di Budd sembra destinato ad auto esaurirsi sino alla improvvisa ondata sinth ascendente che, in modo altrettanto controllato, riporta l’ascoltatore ad un piccolo dramma celeste svoltosi da qualche parte in paradiso…Harold Budd è un sapiente cesellatore di suoni, un artista raffinato capace di forgiare piccole gemme strumentali minimali sospese fra surreale e reale, (vale la pena qui ricordare la struggente lezione onirica di The Pavillon of Dreams, disco pubblicato quattro anni prima), il cui approccio del tutto personale con la musica prevedeva una visione quasi neoclassica e un rapporto particolare tra composizione e improvvisazione, tra lavoro sulle strutture musicale e quello sulla ricerca del suono e della emozione. E proprio la title track, The Plateaux of Mirror , è in grado di estrarre dal pozzo profondo del subconscio cifre perfettamente minimaliste, frugali, che riconducono l’ascolto ad una esperienza minuziosamente individuale. Le trame di Above Chiangmai e Not jet remebered riconducono invece al precedente Music for Airports per le inserzioni vocali in esse presenti, mentre contrastano con The Chill Air, che pare a malapena esistere, nella sua impalpabile tenuità, portandoci a dubitare che questi suoni siano opera di mani umane. La cosmica Wind in lonely Fences è il preludio alle intuizioni che seguiranno al fantascientifico Ambient 4: On Land; An Arc of Doves scorre su cifre di struggente minimalismo, ridefinendosi attraverso l’elemento emotivo che Eno sapientemente manipola e “sporca”, dilatando spazialmente il suono. Conclude il disco Failing Light, che riporta circolarmente alla iniziale First Light. The Plateaux of Mirror, come Music for Airports, offre e concretizza la veste ambientale dell’elettronica come esperienza di non-ascolto e spazio psichico: territori vasti dell’anima, dello spirito, e non solo; percorsi siderali che si snodano lungo e attraverso traiettorie strettamente sensoriali e personali in cui ciascun ascoltatore può scegliere “cartoline” infinite della propria vita da far scorrere in un loop atemporale; e ancora: percorsi alternativi senza eguali, in grado di determinare una esperienza unica e inimitabile nella storia della musica contemporanea.

Di Renzo Bacchini

Collocazione in Biblioteca musicale: 21.F.604