L'indovino Tiresia nel dialogo "I ciechi" di Cesare Pavese

Zeus mi diede la possibilità di vivere sette esistenze e questa è una di quelle sette.
Non posso dirvi quale.

(Andrea Camilleri, Conversazione su Tiresia)

C'era a Tebe un unico uomo veramente saggio. L'indovino Tiresia, il quale come un tempo aveva preveduto i traviamenti di Laio, con i suoi occhi ciechi, così ora prevedeva gli errori di Edipo” scrive Kerényi in Gli dei e gli Eroi della GreciaIl più celebre indovino dell'antichità era nato a Tebe da Everete e dalla ninfa Cariclo. Fu Atena ad accecarlo perché da lui casualmente sorpresa mentre si immergeva nelle acque di una fonte. Per intercessione di sua madre presso la dea, Atena lo consacrò ad essere indovino e gli diede in dono di intendere il canto degli uccelli. Nella versione riportata da Ovidio - e ripresa anche da Cesare Pavese nei Dialoghi con Leucò, Tiresia, dopo aver visto accoppiarsi due serpenti ed avendone ucciso la femmina - venne non solo accecato ma tramutato in donna; visse per sette anni nel corpo di una donna per tornare solo successivamente in quello maschile. In seguito a tale esperienza metamorfica, Tiresia poté saggiare pienamente sia il lato femminile che quello maschile dell'esistenza, sperimentando sia il corpo femminile che quello maschile, comprendendo ogni aspetto della sessualità, amando anche da uomo gli uomini e da donna le donne. L’uomo che diventa donna accede al segreto della vita e ad una forma di conoscenza più completa e trasformativa e, se Tiresia acquisisce preveggenza grazie alla sua cecità, arriva invece alla consapevolezza grazie al suo incarnarsi in un corpo di donna.

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Sulla strada di Tebe, nella conversazione I ciechi, uno dei 27 racconti mitologici contenuti nei Dialoghi con Leucò - accolti con scarso entusiasmo ma invece molto amati da Pavese - la dialettica che si snoda è quella fra Tiresia ed Edipo, l'uno già cieco ma veggente, e l'altro ancora dotato di vista ma prossimo a perderla dopo aver conosciuto l'orrore del suo destino. Nel dialogo si contrappone il mondo olimpico, che è fatto di “parole, illusione, minaccia” a quello degli uomini, perché quest'ultimo è più vecchio degli dei. Le cose che accadono nel mondo degli uomini sono roccia, hanno consistenza materica, non possono tuttavia essere vili od impure, ovvero non conoscono nessuna bassezza. Il Tiresia pavesiano riconosce l'ubiquità e l'onnipresenza del sesso “sotto tutte le forme e i mutamenti” ma la sua cecità gli fa veder le cose del mondo per quello che sono, ancora più chiaramente.
Nell'interpretazione dantesca Tiresia è collocato nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio, dove sono puniti gli indovini e i maghi, con le spalle al posto del petto, ed è condannato a guardare solo all’indietro. Ha perso lo sguardo di indovino rivolto al futuro, la preveggenza in favore della memoria. Il Tiresia pavesiano invece, ormai vecchissimo - perché dagli dei ha avuto anche il dono di una lunga vita - esiste fuori dal tempo, ogni storia che ascolta gli pare la sua, in connessione profonda con la roccia, fedele alla terra ed al reale, per la cui redenzione a nulla giova pregare gli dei, perché vuoto è il cielo.
Ascoltiamo la voce di Tiresia nella videolettura realizzata grazie all'amichevole ed artistica collaborazione di Norman Sgrò

 

Nel risvolto di copertina della prima edizione dei Dialoghi, pubblicati nel 1947, Pavese stesso, sottolineava lo stretto legame fra sfera mitica, totem e tabù, rivelando - senza renderla esplicita - la lettura di Freud. Il mito, scriveva l'anno prima nei testi teorici di Feria d'agosto, “è lo schema di un fatto avvenuto una volta per tutte, e trae il suo valore da questa unicità assoluta che lo solleva fuori dal tempo e lo consacra rivelazione”. Il titolo dell'opera non rimanda semplicemente alla ninfa Leucotea, la dea bianca della schiuma del mare ma anche alla traduzione greca del nome Bianca, in riferimento a Bianca Garufi, con cui, nello stesso periodo in cui lavorava ai Dialoghi, aveva anche scritto, a capitoli alterni - quasi in un gioco di seduzione intellettuale - il "romanzo bisessuato" Fuoco grande, rimasto incompiuto.

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Proprio sul frontespizio di una copia dei Dialoghi con Leucò, Pavese - prendendo congedo dalla scrittura e dalla vita - scrisse a matita queste parole: Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.

Testo di Stefania Marengo

L'indovino Tiresia nel dialogo "I ciechi": bibliografia essenziale

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