Biblioteche "comunali" a Torino prima della Biblioteca civica (secoli XVIII-XIX)

Palazzo Madama dal lato di via Dora Grossa, 1770 circa

Fra le molte ricostruzioni della vicenda delle due biblioteche "comunali" che precedettero la realizzazione dell’Istituto proposto da Pomba nel 1855, si è scelta la versione - probabilmente la prima - pubblicata dal direttore Daniele Sassi nel 1875 in La Biblioteca civica di Torino: relazione della direzione.
L’autore delinea, nei capitoli iniziali della sua opera, la storia delle biblioteche comunali in Torino, iniziando dalla prima (1714-1723), proseguendo con la seconda (1801-1815) e terminando con la biblioteca realizzata nel 1869 su proposta di Pomba.

La prima biblioteca (1714-1723)

Prime origini della Biblioteca civica
Per rintracciare le origini antiche della Biblioteca comunale bisogna risalire ad un’epoca lontana quasi due secoli dalla nostra. Egli è perciò necessario scorrere rapidamente le cronache municipali dalla fine del secolo XVII e del principio del XVIII, cronache le quali si possono ricavare da documenti che si trovano raccolti negli Ordinati comunali dal 1688 al 1729.

Lascito Roggiero
Al n. 225 del IX volume degli atti insinuati nel 1687 ed alla data del 9 settembre trovasi diffatti copia di testamento, rogato Bonafide, col quale:

«In Torino e nel palazzo del signor conte Amoretti ... alla presenza dei ... il conte e commendatore GIO. ANTONIO ROGGIERO ... dichiara di voler che si impieghino ducatoni due milla per fondare una libraria in questa città, qual vuole che serva per uso pubblico, oltre ai suoi libri, dandone il governo e direttione al signor medico Revello, sotto l’assistenza del gran cancelliere e primi presidenti, dei magistrati e del suo herede universale».

Studi e lavori della Congregazione per fondare la biblioteca
Questo erede era il conte e senatore Gabuti di Asti. Al 24 dicembre dell’anno seguente la Congregazione municipale, in seduta pubblica ... incaricava i sindaci di promuovere le opportune istanze per l’adempimento della disposizione testamentaria
«senza però contraher alcun impegno né assumere alcun’obbligazione».

Sembra che le istanze non si facessero con troppa sollecitudine o che incontrassero qualche grave difficoltà, poiché passarono da quell’epoca ben nove anni prima che la Congregazione si avesse nuovamente ad occupare della libreria. Pare anzi che si perdesse memoria del lascito ROGGIERO e di quella prima deliberazione, poiché al 5 maggio del 1697 il sindaco, conte Emanuel Filiberto Goveano, dichiarava esser venuto a notizia della Città «il testamento del conte ROGGIERO» e ne comunicava il tenore alla Congregazione, aggiungendo apparire che nessuno «abbi dato le istanze opportune per l’esequtione». in questo frattempo era morto il conte Gabuti, ed erasi acquistata la certezza che il dottor Revello, nominato direttore della futura Biblioteca, non avrebbe abbandonata la Polonia, ove da più anni aveva residenza ordinaria e continua.
Affidavasi
allora ai decurioni conte Dentis ed avvocato Giacinto Nomio l’incarico di esaminare colla Ragioneria e di proporre il modo di creare la pubblica Biblioteca, per la quale il prevosto della cattedrale di Asti, fratello del defunto erede, e tutore dei figli di lui, era disposto a pagare il fondo dei due mila ducatoni.
Pochi giorni dopo, sulla relazione dei commissari, accettavasi formalmente il legato e la direzione e governo della libreria, incaricavansi i suddetti decurioni e con loro il tesoriere Bordini di stabilire
«le forme et regole per l’esecutione, senza interesse però della Città» e per la Biblioteca assegnavasi «provvisoriamente una camera posta sovra quella della giudicatura».
Accadde in quel turno un grave incendio, dal quale si salvarono a stento, e forse non senza perdite, gli archivi del Municipio, dell’insinuazione e del consolato, e perciò deliberossi di far «vasi per l’insinuazione e per la libraria pubblica in sito proprio e securo, con isolarlo e levargli ogni comunicatione, come pure tutti li fornelli».

Scorsero altri due anni prima che, in seguito a vive istanze del sindaco, conte Cacherano, la Congregazione consentisse ad una spesa di duecento lire «per far accomodare lo sternito, la stabilitura, gli usci, finestre e telari per le verere della stanza grande esistenti nello studio, attigua alla sala della lettura dei signor leggisti, per poter ivi provvisionalmente reporre la libreria pubblica». Non si trascurava però di dichiarare ancora una volta che la Città non intendeva entrare «in alcuna spesa d’accompra di libri né di pagare alcun stipendio».
È noto che lo Studio trovavasi allora nella via dei Librai, che stava di fronte alla chiesa di San Rocco, via che ora è ridotta a vicolo privato.
Ai 16 del novembre 1702 il vassallo Mallet, sindaco, annunziava che dopo due Congressi
«e varii trattamenti si era finalmente venuto ad accordi cogli eredi del conte Gabuti ... del pagamento rateato di lire 12.500 in tanti monti di San Giovanni Battista, mediante quitta finale, generale e generalissima da ogni maggior loro debito che potessero avere in seguito alla lascita del conte Roggiero».

Capitale e frutti dovevano impiegarsi in acquisto di libri. Ma intanto, ed in forza d’un qualche compromesso, non si pagò che la metà della somma, e questa poi, per la sopravvenuta guerra, non fu impiegata nel voluto modo se non nel 1707, accresciuta essendo dell’altra metà, per cui erasi concessa mora senza frutti.

Primi acquisti di libri – Libreria Perini
Addì 13 giugno di detto anno si deliberava l’acquisto di 3600 volumi formanti la libreria dell’avvocato Giovanni Michele Perini di Valperga; ma a questa deliberazione non doveasi dare esecuzione che a guerra finita.
Il 13 luglio
1708 moriva il conte e protomedico Bartolommeo Torrino di Quincinetto, lasciando alla Città la sua libreria
«per fondare una pubblica biblioteca per uso di poveri letterati». Il dono fu accettato e si ricominciarono le trattative per l’acquisto della libreria Perini al prezzo di 15.000 lire. Conchiuse le quali trattative si cominciò tosto a trasportare i libri nella biblioteca; ma poiché molti di quelli indicati sull’inventario unito al contratto d’acquisto non esistevano, ne nacque una lite che durò fino al 1714 e non finì che per arbitrato dei delegati del sovrano.

Doni di privati / Primo catalogo (Quaglino) / Apertura al pubblico
Altri libri intanto s’erano man mano andati raccogliendo, donati da egregi concittadini; particolarmente trovasi ricordato il dono del medico Barisano, consistente in tre volumi, e quello degli Annali dei Minori Osservanti, fatto dal frate Anton Maria della Torre. Un frate agostiniano, frà Paolo Pietro Quaglino, biellese, fu chiamato a dar relazione sul valore bibliografico e scientifico dei libri del Perini e di darne estimo; in ciò fare seguì un modo di classificazione singolarissimo, e si fu quello di ripartire i libri in categoria buona, mediocre o cattiva, a seconda del proprio criterio, senza punto curarsi dei dettami d’una scienza, nella quale, secondo quanto ne dice l’illustre e moderatissimo Argelati, egli era tutt’altro che profondo. Di questo infantile rimescolio dei libri si conserva la relazione negli archivi municipali, e fu in seguito ad essa che si deliberò di aprire al pubblico senz’altro indugio la Biblioteca.
Il padre Quaglino fu nominato bibliotecario civico, coll’annuo onorario di lire 600, coll’obbligo di mantenere a sue spese uno scrivano, di dare una cauzione di lire 7500 e di osservare in tutto le regole stabilite dal Comune.

Lascito della infante Maria di Savoia (1656)
Nel luglio 1714 fu finalmente aperta agli studiosi la libreria, e pare con buon esito e maggiore interesse de’reggitori del Comune, poiché a quest’epoca finalmente si ricordò che fin dal 1656 la infante Maria di Savoia aveva fatto lascito di un annuo reddito di 340 ducatoni
«per far fabbricare una biblioteca in Torino in vicinanza di San Dalmazzo, con tutte le sorti di buoni libri di scienze, perché serva ad ogni uno che vorrà andarvi a studiare et massime ai religiosi et a poveri studenti».
Quindici anni di litigio e di sollecitazioni furono necessari perché la Città di Torino potesse ottenere il pagamento di questo legato, e solo nel 1729, nel mese di marzo, ebbe le 39.168 lire già dovute dall’epoca nella quale il legato era stato fatto, vale a dire dall’11 giugno 1656.
Dal 1714
al 1722 la Biblioteca rimase aperta al pubblico, con quali vicende non sappiamo. I documenti ufficiali che di quei tempi ci rimangono ricordano solamente alcuni doni fatti da privati e le compere che col consentimento dei sindaci si andarono facendo dal Quaglino, compere di poco valore, e che, prima frequenti anzichenò, divennero sempre più rare e meno considerevoli.

Biblioteca universitaria
Addì 3 e 17 maggio del 1723 il Consiglio generale della Città consentiva alla volontà del Re, il quale avendo donato alla Biblioteca dell’Università 10 mila volumi, esternava il desiderio, equivalente a comando, che a detta Biblioteca fosse pur consegnata la libreria municipale. Fra i motivi addotti era quello che la Città
«potrà far edificare le sale dello Studio ove si trova detta libraria e ricavarne un fitto vantaggioso a luogo che presentemente sono quasi inutili e minaccianti rovina».
Cominciò tosto l’inventario ordinato; seguirono le operazioni di consegna a mani dell’avvocato Picono, bibliotecario della regia Università, ed in fine del maggio la Biblioteca civica avea cessato di esistere.
Di essa
non rimase negli archivi neppure il catalogo, il quale andò smarrito, senza che per lunghi anni se ne sapesse più notizia.

La seconda Biblioteca (1801-1815)

La rivoluzione francese
Per tutto il secolo XVIII non si parlò più di Biblioteca comunale.

Trascorsi quasi settant’anni dallo annullamento dell’antica libreria, e sottoposto il Piemonte al dominio ed agli ordinamenti francesi, un nuovo tentativo di Biblioteca fu fatto in Torino.

Abolizione delle corporazioni religiose e progetto delle biblioteche compartimentali (1801)
E troviamo diffatti un decreto del 4 germile anno IX (25 marzo 1801) col quale la Commissione esecutiva ordinava la creazione di tre Biblioteche pubbliche, una per ciascuno de’ quartieri di Torino, in aggiunta alla Biblioteca nazionale già esistente nel quartiere dell’Eridano. Ognuna di esse dovea essere fornita di 10.000 volumi almeno, coi libri trovatisi nei conventi delle corporazioni religiose soppresse. A quella del quartiere Monviso si era assegnata sede nel convento di San Carlo; quella del quartiere di Susa fu stabilita nel convento del Carmine.

Biblioteca del Carmine e suo catalogo (1808)
Ma l’esecuzione di tale decreto incontrò difficoltà gravissima: il numero de’ libri non era sufficiente a fornire la prima dote a tre Biblioteche, anzi trovavasi ridotto a poche centinaia di volumi, allorquando, in ossequio dell’espressa volontà della Commissione esecutiva, si vollero ritenere solo
«le opere migliori e più adattate a propagare nel pubblico un sodo ed utile insegnamento».

Perciò il 29 messidoro dello stesso anno (17 luglio) l’amministratore generale Jourdan, ordinava che le tre Biblioteche decretate si riducessero ad una sola, che sarebbesi intitolata: Biblioteca dipartimentale. E fu conseguenza di tal decreto che venne ordinata ed aperta al pubblico la Biblioteca posta nel convento del Carmine, la quale prese poco dopo il titolo di Municipale, ed ebbe a direttore l’abate Cagna. Ne fu stampato un catalogo nel 1808 ...

La restaurazione e la restituzione dei libri ai conventi (1815)
La ristorazione distrusse l’opera della rivoluzione; i libri furono restituiti ai conventi ripristinati e la Biblioteca municipale scomparve per la seconda volta.

E finalmente...

Il 28 maggio 1855 il consigliere Pomba presentava in Consiglio comunale la sua proposta di istituire una nuova biblioteca civica in Torino.

Per approfondire

Per il approfondire l’argomento si consulti la bibliografia sulla Biblioteca civica.

Testo di Gianfranco Bussetti (Ufficio Studi locali)