C'erano dei libri ad Auschwitz...

La biblioteca del Blocco 31 ed il libro letto da Primo Levi nell'infermeria di Monowitz

“L'uragano accerchiava la camera,
che sembrava arroccata in cima a una torre quadrata,
tanto il vento premeva ai quattro lati”
.
(Roger Vercel, Tempesta)

Sappiamo che alcuni libri circolavano ad Auschwitz anche grazie all'autorevole testimonianza di Primo Levi. Nel celebre capitolo intitolato “Esame di chimica”, il  dottor Pannwitz gli mostra il Gattermann (Die Praxis der organischen Chemikers). Si tratta di un manuale di chimica organica su cui Primo Levi ha studiato all'università e grazie al quale ha imparato le basi della lingua tedesca: “è assurdo e inverosimile, che quaggiù, dall'altra parte del filo spinato, esista un Gattermann in tutto identico a quello su cui studiavo in Italia, in quarto anno, a casa mia”, a Torino, commenta Levi in coda all'episodio. Svariati decenni più tardi alcune pagine del Gattermann saranno raccolte nella sua singolare antologia personale di letture formative, La ricerca delle radici (Einaudi,1981). Ma mentre il Gattermann compare solo sulla scrivania del dottor Pannwitz, un altro libro gli arriva invece fortunosamente fra le mani negli ultimi giorni della sua reclusione nel Lager di Auschwitz-Monowitz. Primo Levi lo racconta nell'ultimo capitolo di Se questo è un uomo, “Storia di dieci giorni”: ammalatosi di scarlattina, è ricoverato in infermeria; proprio nella notte in cui i tedeschi sono ancora  indecisi fra l'uccidere i prigionieri e il fuggire, la febbre alta gli impedisce anche solo di muovere un passo. Il medico greco Samuelidis, ben equipaggiato per la fuga, getta sulla sua cuccetta un romanzo francese, con un gesto indecifrabile, un misto di pietà e disprezzo. Nella notte del 18 gennaio 1945 dunque, con pochissime eccezioni, i circa ventimila sopravvissuti di Auschwitz si mettono in marcia. Primo Levi passa il  pomeriggio a leggere il libro capitatogli accidentalmente fra le mani e continua a leggere “fino a tarda ora”. Il libro - Levi ce lo svela solo nel 1980 ne La ricerca delle radici - era Remorques di Roger Vercel, edito nel 1935. Possiamo leggerlo ora in traduzione italiana con il titolo di Tempesta (Nutrimenti, 2013): è la storia del capitano Renaud, il comandante del Cyclone, un rimorchiatore specializzato in salvataggi nelle acque burrascose davanti alla Bretagna. A Monowitz, contro ogni logica, le SS lasciarono in vita più di ottocento prigionieri, il numero più alto di qualsiasi altro campo. Si può ben immaginare come in quei momenti disperati una lettura siffatta potesse assolvere a un irresistibile desiderio di evasione dalla realtà ma, al tempo stesso, proprio mentre Primo Levi leggeva il racconto dell'altrui salvazione, ad opera del rimorchiatore utilizzato per i salvataggi in alto mare, si compiva anche la sua stessa salvezza, con la fuga delle SS dal campo e l'arrivo dei soldati russi. Come lo stesso Levi ebbe a scrivere ne La ricerca delle radici, durante il suo anno trascorso ad Auschwitz, oltre alla fame di pane, aveva sofferto anche quella di carta stampata.

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Ingresso del campo di Auschwitz

Alberto Manguel, grande studioso e amante del mondo dei libri, racconta, all'interno del suo suggestivo excursus sul mondo delle biblioteche (La biblioteca di notte, Archinto, 2007) che all'interno del blocco 31, propaggine estrema del campo di Auschwitz, esisteva una minuscola biblioteca clandestina. Nel blocco 31 erano rinchiusi uomini, donne e bambini ebrei, provenienti dal campo di concentramento di Terezin ubicato nell’allora Cecoslovacchia. Questo luogo era mantenuto in condizioni più accettabili di altri, dovendo esso servire per eventuali ispezioni da parte della Croce Rossa.  Finché rimase attivo il blocco 31 arrivò ad ospitare, grazie all'influenza che il ginnasta ebreo tedesco Fredy Hirsch riusciva ad esercitare sui nazisti, cinquecento bambini, oltre ai loro assistenti, giovani dai quattordici ai sedici anni. All'interno del blocco era sorta appunto una minuscola biblioteca clandestina, costituita da una decina di libri, trovati per caso nei bagagli degli arrivi al campo. Dita Kraus, nata come Dita Polachova, a Praga, nel 1929, era la giovane bibliotecaria quattordicenne di questa minuscola biblioteca, che veniva nascosta ogni notte in un posto diverso insieme al pane, a qualche medicinale e ad altri beni essenziali. Nel luglio 1944 tremila prigionieri del blocco 31, tra cui molti bambini in età scolare, vennero inviati alle camere a gas o deportati al campo di Bergen-Belsen. Dita rientrò in quest’ultimo gruppo e dovette lasciare ad Auschwitz i libri della sua piccola biblioteca.

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Copertina del libro A Delayed Life di Dita Kraus

I sopravvissuti non ricordano esattamente quali fossero i libri: certamente era presente un atlante geografico squadernato, un testo di geometria analitica, un sussidiario russo, un romanzo russo privo di copertina, un libro in francese malridotto, alcuni testi in lingua ceca. Forse un libro di racconti del giornalista e drammaturgo boemo Karel Capek e un testo di Sigmund Freud (in «The Jewish Chronicle» 26 gennaio 2018).

L'unico titolo che Dita riesce a ricordare con certezza è A Short History of the World (1922), in lingua ceca. Un testo che era stato persino bruciato sui roghi di Berlino nel 1933, di Herbert George Wells, evoluzionista e padre del romanzo scientifico e fantascientifico.

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Dějiny světa Herbert George Wells - Ot. Štorch-Marien – 1936

Non c'era carta nel blocco e gli assistenti  prendevano in prestito questi libri per insegnare l'alfabeto ai bambini più piccoli. Non c'erano matite ed i bambini imparavano a scrivere con schegge di legno carbonizzate. C'erano poi libri viventi, parlanti, educatori che raccontavano storie imparate a memoria. Dita, in una intervista riportata dal Jerusalem Post (articolo del 24 gennaio 2020) ricorda  Il conte di Montecristo e molte altre storie raccontate a voce. 

C'erano dunque una dozzina di libri nel blocco 31 di Auschwitz-Birkenau, un piccolo nucleo di resistenza  alla disperazione. “Non c'è alcuna speranza ma non importa”, fa dire Dumas all'abate Faria, accomiatandosi da Edmond Dantès.

In occasione della Giornata internazionale della Memoria, le Biblioteche civiche torinesi vogliono sottolineare lo stretto legame fra l'esistere ed libri, che, in qualche modo, aiutano a sporgerci oltre noi stessi, ad oltrepassarci. Il video, pensato per l'occasione, è stato realizzato anche grazie all'amichevole collaborazione dell'artista Norman Sgrò. Le fotografie del campo di Auschwitz, inserite nel video e nella galleria fotografica, sono state scattate nel marzo 2019 da Francesca Dalfelli, durante il viaggio  organizzato dall'Associazione Treno della Memoria.

Parte della storia di Dita è stata raccontata in forma romanzata nel libro La biblioteca più piccola del mondo (Rizzoli, 2013), ora ripubblicato con il titolo La bibliotecaria di Auschwitz (Rizzoli, 2020) di Antonio Iturbe, ma  possiamo anche conoscerla per intero, dalla sua vera voce, attraverso le sue memorie: A Delayed Life: The True Story of the Librarian of Auschwitz (testo tradotto da poco in italiano con il titolo non propriamente corretto La libraia di Auschwitz). Inoltre il marito di Dita, Otto Kraus, anch'egli istruttore nel Kinderblock di Auschwitz, ha scritto un romanzo basato sulle sue memorie e quelle di altri sopravvissuti intitolato The Children's Block, tradotto in italiano con il titolo Il maestro di Auschwitz.

Testo di Stefania Marengo (Biblioteche civiche torinesi)

C'erano dei libri ad Auschwitz: bibliografia essenziale