1997: decadenza del Brit Pop

collage Brit Pop

1997. Venticinque anni fa. La bolla del brit pop inizia a sgonfiarsi.
Per tre anni la moda del nuovo rock inglese aveva tenuto in pugno il mondo con melodie morbide su chitarre ruvide, stile 60s, gusti vintage. Ma a breve tutto questo è destinato a svanire dai discman (quelli c’erano, dopo i walkman!) degli ascoltatori.
Alcune band etichettate come “brit pop” abbandonano i ritornelli in stile Beatles-revival per sperimentare nuove sonorità.
Altre, invece, servono l’ultimo dessert prima di trovarsi alla frutta.
Il brit pop viene inoltre definitivamente affossato dalla crisi della discografia, impotente di fronte ai cd “masterizzati” dall’amico e poco dopo “scaricati” da internet.
Alcuni grandi album inglesi usciti nel 1997 accompagnano la decadenza di un genere, ma non per forza la decadenza della band.

Radiohead – Ok Computer
Se erano stati per sbaglio in passato associati al brit pop, con questo disco levano ogni dubbio. Al di fuori di qualsiasi canone è la melanconica Karma Police, la distopica Paranoid Android, l’arresa Exit Music (For A Film).
Su MTV gira il video di No Surprises con la testa di Thom Yorke immersa per tutta la canzone in una boccia d’acqua, tutti si chiedono se sia in apnea davvero. “Ok Computer” l’abbiamo ascoltato tutti in apnea.

Blur – Blur
Quando pubblicano questo disco spigoloso, senza titolo, senza ritornelli né da radio né da stadio, forse i Blur intendono resettare tutto. Beetlebum è una falsa pista che non riporta alla Beatlemania, casomai verso la direzione opposta.
Però il punk rock di Song 2 riempie la pista di milioni di club in tutto il mondo e i videogiochi di milioni di camerette (Fifa 97).

The Verve – Urban Hymns
Ecco il disco simbolo del pop inglese di quell’anno, a partire dal video di Bittersweet Symphony, con il cantante Richard Ashcroft che spintona i passanti nella sua passeggiata di quattro minuti, fino alle ballate The Drugs Don’t Work e Lucky Man, imperituri “inni urbani” contenuti in un disco che nel 1997 non si può non avere nella propria collezione.
Vent’anni dopo questo disco, Richard Ashcroft torna a cantarcelo (notizia di oggi) al festival Todays, il 26 Agosto a Torino.

Oasis – Be Here Now
È il disco meno amato dai fratelli Gallagher, forse perché il primo davvero forzato nella gestazione da obblighi di mercato.
È il disco più “protetto” dai fan, che mandano amorevolmente a memoria queste grandi canzoni esplicitamente ripudiate dagli Oasis, chicche suonate dal vivo solamente in quel tour, ultimo con la formazione storica, davanti alle folle oceaniche che rispondono affermativamente all’imperativo “Be Here Now”.

“Last but not least…”
Oltre ai big di cui sopra, altre band a modo loro lasciano la firma su questa annata.
Per esempio i Supergrass con “In It For The Money”. Dopo essere stati giovani, pimpanti e Alright nel disco d’esordio, ora entrano in uno stadio intermedio che prelude al successo definitivo, che per loro non sarebbe mai arrivato. Aspettando che il money arrivi, strimpellano qualche fantastica ballata semiacustica come Late in the day. Nel 1997 “tormentone”, oggi potremo dire “meteora”.  Quando dici brit-pop si fa presto a dire Beatles, quando dici Beatles si fa presto a dire India. I Cornershop, band guidata da un cantante indiano, esplode con il singolo Brimful Of Asha, dal ritornello “forty-five” nostalgico dei vinili, che non si schioda più dalla testa. Ma il cd “When I was born for the 7th time” viene presto dimenticato.
Esce inoltre “Word Gets Around” degli Stereophonics, tre giovanissimi gallesi al loro esordio. Diventeranno a breve i punti di riferimento del tardo brit-pop, gli Oasis di scorta. E forse lo sono anche adesso che gli Oasis non ci sono più.

Di Paolo Albera

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Collocazioni nella Biblioteca Musicale Andrea Della Corte:
Radiohead – Ok Computer: 15.F.1507
Blur – Blur: 12.F.1805
The Verve – Urban Hymns: 15.F.3216
Oasis – Be Here Now: 15.F.1077
Supergrass – In It For The Money: 13.F.5668