I 250 di Ludwig (van Beethoven). Episodio 3 - La sordità e l'amore

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Non riesco a sentirvi bene, ho questo continuo ronzio nelle orecchie che non mi lascia tregua. Eine Folter, una vera tortura mi opprime da un po' di tempo.
Ho paura; che non se ne vada, che peggiori, paura di tutte le conseguenze che immagino e di quelle che non voglio neanche prefigurarmi.
Fino ad ora sono riuscito a tenerlo nascosto, a costo di isolarmi, di sembrare ancor più strano e burbero di come mi si conosce. Ma gli episodi si stanno intensificando, come la mia angoscia... Devo potermi confidare.
Scrivo, so che mi aiuterà.

...Sappi che il tuo Beethoven vive infelice, in lotta con la natura e il Creatore... Sappi che la mia parte migliore, la mia migliore qualità, il mio udito, si è affievolito... Potrà mai guarire? [Lettera ad Amenda del I giugno 1801]

Un demone invidioso, la mia cattiva salute, mi ha gettato una mala pietra fra i piedi… Da quasi tre anni il mio udito si è fatto sempre più debole… Le mie orecchie rombano e ronzano di continuo, giorno e notte… Se è possibile intendo sfidare il destino… Di questa mia misera condizione, ti prego di non far parola ad alcuno... Rassegnazione! Che misero rifugio! E tuttavia esso è l'unico che mi rimanga!... [Lettera a Wegeler del giugno 1801]

Ecco, adesso due dei miei più cari amici sanno: se non altro non devo portare tutto questo peso in totale, ovattata e stridente solitudine.

Se in alcuni momenti tutto appare irrimediabile e fatale, in altre circostanze sento di poter guidare me stesso verso una via d'uscita, cercando ostinatamente una strada per la mia musica: impresa innaturale e titanica, che la storia non mancherà di riconoscermi, per Dio!
E poi non posso rendere parte i miei amici solo delle mie disgrazie, quando invece altro sta capitando intorno a me, che fortunatamente nulla ha a che fare con la mia malattia.
A novembre dello stesso 1801 scrivo nuovamente a Wegeler, questa volta dandogli notizie confortanti: avrà faticato a riconoscere l'amico della lettera di giugno!

Mi sento assai meglio per otto e anche dieci giorni... Ora vivo più piacevolmente perché mi trovo più fra la gente... Dovevo apparire misantropo e invece lo sono così poco.
Questo mutamento lo ha prodotto una cara ragazza incantevole, che mi ama e che io amo. In due anni sono questi i soli momenti beati ed è la prima volta che sento che... lo sposarsi potrebbe rendere felici. Pur troppo essa non è del mio stato sociale... ed ora - non mi potrei davvero sposare - devo combattere gagliardemente. Se non fosse per l'udito, già da molto tempo avrei girato mezzo mondo; ma lo devo fare. Per me non esiste gioia più grande che darmi alla mia arte e prestarla...
Ma tu mi vuoi un po' di bene? Sii convinto del mio affetto come della amicizia del tuo
Beethoven

Ebbene, l'ho conosciuta, lei, la mia prima fonte d'ispirazione, che in questo momento così faticoso mi riempie di forza e mi restituisce, al solo pensarla, ogni energia.
Beethoven è quindi capace d'amare? Si, caro mondo, io ho amato, e molto, non solo in questa circostanza.
Vi starete domandando di chi io stia parlando e forse il vostro pensiero sta correndo alla mia Immortale Amata. Per molto tempo in tanti hanno creduto che l'amata immortale fosse la contessa Giulietta Guicciardi, mia allieva di pianoforte nel periodo del quale vi sto raccontando. Questo è accaduto a causa di due lettere mancanti di data precisa (non ho mai indicato l'anno!) ritrovate dopo la mia scomparsa e delle quali vi dirò a tempo debito.
Sappiate che adesso è di Giulietta che vado scrivendo a Wegeler.
Giulietta, o della giovinezza mista a frivolezza. Lei è una contessa che non disdegna le mie attenzioni: le dedico la Sonata quasi una fantasia, sono irretito e l'amo. Lei mi ama, anzi no, alla fine mi respinge, preferendomi il giovane e squattrinato conte Gallenberg, che essendo un compositore da strapazzo, non sarebbe neanche in grado di far fronte alla sua proposta di matrimonio. Presto loro dei denari e sebbene continui a frequentarla, dovrò definitivamente abbandonare l'idea di lei nel corso del 1802. Continuo però a vedere le sue cugine, Josephine e Therese von Brunsvik... E quando Josephine rimarrà vedova del vecchio marito Deym, tenterò di averla, le scriverò, la cercherò, per un amore che però lei non vorrà ricambiare con gli stessi sentimenti.
Ma è ancora il 1802, in primavera sono ricomparsi i sintomi della malattia e io sono deluso per alcune circostanze riguardanti il mio lavoro. Mi faccio consigliare volentieri un periodo di vacanza e vado a stare in campagna, ad Heiligenstadt.
Trascorrerò nella casa di Heilgenstadt sei mesi, in uno stato di prostrazione profonda e di prossimità al sentimento di morte. Ne uscirò pronto per il mondo, con nuova musica sulla carta e nella testa.
Durante quel soggiorno vergherò il testamento indirizzato ai miei fratelli, che in molti conoscono per averne sentito parlare, ma che forse potrei svelarvi con maggiori dettagli.

Nel prossimo episodio...

Di Laura Ventura

Illustrazione di Marisa Aloi