Tornano i Cure, sempre più dark

Marinella Venegoni

I Cure, band storica del post-punk britannico, nati nel 1976 in un clima musicale new wave, affondano le loro radici in una miscela musicale cupa, prettamente dark, in liturgie pagane correlate dalla voce del cantante Robert Smith, leader, chitarrista e mente   assoluta del gruppo. Ancora oggi i Cure, a distanza di decenni, continuano  a produrre musica poiché oggetti di un culto ormai storico da parte di tanta gioventù disorientata dal vuoto di prospettive e dal conformismo degli anni Ottanta, che pare perdurare ancora oggi… In questo articolo Marinella Venegoni incontra i Cure in occasione della uscita di un capolavoro storico come Disintegration, album che si immerge totalmente in atmosfere epiche, romantiche e drammatiche, struggenti e nostalgiche.

Tornano i Cure, sempre più dark

Il re dei dark ha lasciato il nero, ha una camicia bluette a piccoli pois bianchi e il viso dipinto, molto e male. Ciglia bistrate, rossetto rosa carico incorniciato da una matita deliberatamente slabbrata, capelli cotonati. Robert Smith, leader dei Cure, è un mito nel mondo circoscritto ma entusiasta della musica postpsichedelica, che dà voce alle inquietudini esistenziali dei seguaci del punk: è lui l'anima del gruppo, e all'incontro con la stampa europea per l'uscita del nuovo album dall'allarmante (ma insignificante, spiega subito) titolo Disintegration, si presenta saggiamente soltanto con il bassista Simon Gallup (fazzoletto in testa alla Little Steven, truccato anche lui); tanto, le domande sono tutte per il capo. Chissà se l'aspetto fisico influenzi la musica che si crea, ci chiediamo nella stanzona del grande albergo mentre Smith parla, pensando alle faccine dabbene e alle teste perfette dei Duran. Questi due ragazzi, Smith e Gallup, sono proprio bruttini, e hanno l'aria nemmeno tanto pulita; come se il senso della vita cercato e mai trovato nutrisse più le menti di quelli non favoriti dalla natura, ed essi poi lavorassero perdutamente alla ricerca, senza aver tempo per altro. Eppure, per esempio, Robert Smith confessa quasi subito, dai suoi 30 anni appena compiuti, di aver paura di invecchiare, cosa che deborda anche dai suoi testi. “E' una cosa che non so spiegare, non ho un atteggiamento razionale di fronte alla vecchiaia”, dice, e non è difficile capirlo. Smith è introverso, timido, gentile. E' il marchio della musica e dell'immagine di questa band cosi inglese, che ha sempre messo il prodotto collettivo davanti al culto della personalità e si è conquistata una popolarità assai vasta senza prendere mai aerei per andare in tour. Parla a voce bassa, racconta questo  Disintegration, che sarà in vendita da martedì prossimo, seguito poi da un tour internazionale. "Quando facciamo un disco, di solito ci diamo un titolo che convogli tutto il progetto su un unico obiettivo e una comodità. Il lavoro e partito da alcuni nastri che avevo fatto da solo e poi ho adattato al gruppo. E ho anche cambiato idea sull'incidere da solo: è molto meglio stare in una band”. Disintegration è un album molto “Cure”, 12 pezzi con le atmosfere pensose, rapite, ipnotiche, e qualche volta sepolcrali, che contraddistinguono i loro suoni. La batteria picchia fisso e antico, tastiere e organo inquietano nel sottofondo e c'è anche spazio per un bandoneon. La chitarra di Smith, metallica, e però meno presente del solito. “C’è molto basso a sei corde” spiega Smith, “e siccome l'lp è dal vivo, io ho suonato basso e non chitarra”. La loro musica è stata definita depressiva, ma lui si stringe nelle spalle: “Non sono per niente depresso, non sono neanche esultante ma non sono triste. Questo album anzi può tirare su”. E sorride. Spiega ancora che gli piacerebbe cantare in Bulgaria o Urss piuttosto che nei soliti posti: “Il fatto che non voliamo richiede tempi lunghi, non possiamo fare 50 date in  50 giorni come gli altri”. Che ne pensa Smith delle band “politiche” U2 e Simple Minds? “Non mi piacciono del tutto, ma non sono deprecabili come i Pet Shop Boys, anche se quello che gli interessa è l'essere famosi. Vogliono cose che io da tempo ho capito non esser importanti”.

Marinella Venegoni - «La Stampa», 30 aprile 1989

Di Renzo Bacchini

Rielaborazione grafica di Roberta Di Martino

Proposte biblio-discografiche

Altro approfondimento: The Cure (la trilogia dark)