Guccini, il ragazzo di 56 anni
Francesco Guccini può considerarsi a tutti gli effetti una istituzione della musica italiana: figlio della scuola cantautorale emiliana, si ispirò al folklore americano piuttosto che a quello francese (da cui trasse invece ispirazione il versante genovese), entrando di diritto, nel corso di una intensa e lunga carriera, nella storia della nostra musica. Ricordiamo qui uno dei brani più famosi, La locomotiva, il cui testo, incentrato sul tema della uguaglianza e della giustizia sociale, si intreccia mirabilmente con la poesia, elemento che domina gran parte dei testi delle sue canzoni. Dopo aver dato l’addio alla musica nel 2017, vive ora a Pavana, sulle colline di Pistoia, dedicandosi alla scrittura e ai romanzi. Ricordiamo che, oltre ad essere uno scrittore, Francesco Guccini si è occupato inoltre di lessicologia, glottologia, dialettologia, traduzione, teatro ed è autore di canzoni per altri interpreti. In questo articolo, Marinella Venegoni descrive con partecipazione e affetto uno degli innumerevoli concerti dal vivo della carriera del cantautore, tratteggiando la passione, l’entusiasmo e il coinvolgimento che da sempre hanno caratterizzato le sue esibizioni live.
Guccini, il ragazzo di 56 anni
Francesco Guccini, spiritaccio sulfureo e ragazzone impenitente, ha debuttato nel tour che accompagna D'amore di morte e di altre sciocchezze, l'ultimo suo disco primo nella hit parade di questa settimana. Inarrestabile, travolgente di spirito e di battute, tra un'imitazione di Bossi e le romanticherie anarchiche della Locomotiva, il cantautore è riuscito a farci dimenticare il palasport orrendo nel quale eravamo pigiati come sardine in 4 mila, tutti tesi ad ascoltare le sue parole, che il rimbombo era orrendo e l'impianto non scherzava: insopportabile, perché questo è un concerto anche e soprattutto di parola, quasi un contraltare musicale dei talkshow viaggianti dei Grillo e dei Benigni. Con in più il sentimento, la poesia e la memoria di un percorso artistico di esemplare coerenza. Nel palasportaccio si respira un'atmosfera da Anni Sessanta o da fine millennio, che fa riflettere. Che il disco di uno di 56 anni sia il più venduto in un genere acquistato soprattutto dai ragazzi già fa riflettere; e anche a Cantù ci sono soprattutto giovanissimi. Uno striscione solitario di “Rifondazione” si alza all'unisono con i pugni chiusi e lo scambio salace di battute fra il protagonista e il pubblico è continuo. Le interruzioni pure: teatrali, studiate, ma era pur sempre come se fossimo tutti insieme all'osteria. Guccini '96 lega vichianamente le ultime canzoni, furiose come Cyrano o romantiche come Canzone della colomba e del fiore, all'altra felicissima sua stagione di sentimenti forti: quella di Auschwitz e Dio è morto, delle Osterie fuori porta e soprattutto di Eskimo e dell'Avvelenata. Il cantautore (che fin dall'inizio si interrompe, urlando: “Spacco la faccia a chiunque mi chieda L'avvelenata prima del tempo”), mette insomma sul piatto di questo concerto tutta la sua vita artistica, attraversata da un fragoroso dilemma sulla maturità. Mille anni fa, in Eskimo, scriveva: “La paghi tutta e a prezzi d'inflazione/ Quella che chiaman la maturità”. Ma adesso, nella bellissima Quattro stracci, Guccini fa marcia indietro: “Non sai che ci vuole scienza, ci vuol costanza ad invecchiare senza maturità”. E si capisce che lui, nel faticoso esercizio, ce l'ha messa tutta: i fans capiscono e applaudono con calore convinto. Guccini svela di aver ricevuto una lettera dal carcere americano di Silvia Baraldini, che gli racconta quant'è bello l'autunno, prima di cantare Canzone per Silvia; più tardi si scatena nell'irresistibile I Fichi, un pezzo di puro cabaret. Parla da giovane ai giovani (“Avete mai provato Husserl con le tette?”) in Eskimo; fa l'autoparodia nell'Avvelenata, troncando la frase “Non comprate i miei dischi/ E sputatemi addosso”, con un'ironico “I dischi no, ma i cd sì”. La sua vecchia band, da Bandini a Flaco a Tempera a Tavolazzi, viene osannata quasi quanto lui. Con la tradizione gucciniana, non si scherza.
Marinella Venegoni - «La Stampa», 8 dicembre 1996
Di Renzo Bacchini
Rielaborazione grafica di Roberta Di Martino