Killing Joke

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Alcune lettere più sbiadite, più annerite, non mi permettono di decifrare completamente i nomi incisi in una notte d’inverno. Suonano le campane di un campanile lontanissimo, ma qui i rintocchi infiniti della Storia giungono puri, insieme ai canti.
(Anonimo)

Sono due giovani inglesi, nel 1979, a dare vita ai Killing Joke: il cantante Jaz Coleman, il batterista Paul Ferguson, a cui ben presto si uniscono il chitarrista Geordie e il bassista Martin "Youth" Glover. I primi tre singoli li porteranno subito alla ribalta per il suono peculiare da incubo post-industriale, costruito su tessuti elettronici distorti, sulla cadenza meccanica e soprattutto sul canto angosciante e gridato del leader Jaz Coleman, le cui liriche, fin dalle origini, non lasciano alcuno spazio alla luce e si proiettano in quadri e paesaggi desolanti e funerei. Inizialmente, sono presenti nei loro lavori tracce evidenti del dark-punk spettrale di Siouxie And The Banshees o del rock nevrotico di Pere Ubu, ma sarà il primo album in studio, Killing Joke (1980), a sancire subito una prima originale cifra stilistica. La miscela proposta sta in bilico fra hard-rock, new wave, gothic-rock e contiene una violenza martellante sconquassata da puri rumori industriali, punk metallico, percussioni tribali, linee dissonanti e oblique che seguono tuttavia un filo melodico semplice: il dramma incombente del trittico chitarra-batteria-basso prefigura viaggi su scenari catastrofici che si richiamano alle scienze occulte…

Le violente sonorità iniziali degli esordi si stempereranno progressivamente in canzoni pop-dark, seppure immerse sempre in atmosfere gelide e depresse: su questa lunghezza d’onda nasce il secondo album dei Killing Joke, What’s this for…! (1981), i cui brani si snodano essenzialmente su linee distorte, ritmi tribali e apocalittici. Lo stesso Coleman, profeta di se stesso, si reca in Islanda per attendere la fine del mondo…. Il successivo album, Revelation (1982) non aggiunge molto al loro repertorio: dopo l’uscita del disco il batterista Youth lascia la band, rimpiazzato da Paul “Raven” Vincent. Fire Dance (1983) risente di un sound più melodico e accessibile, con una significativa attenuazione dei toni hard. Così, Night Time (1985) decretò in un certo senso la momentanea svolta della band e contemporaneamente la perdita della linfa vitale e della creatività artistica che l’aveva portata sulla ribalta a livello mondiale: l’album dà preminenza alla orecchiabilità dei ritornelli, alle atmosfere elettroniche, senza aggiungere nulla di nuovo. Lo stesso discorso vale per Brighter than a thousand suns (1986), che vive nella mediocrità, pur mescolando pop melodico con ambientazioni onirico-spettrali. E dopo l’uscita di Outside the gate (1988), Coleman e Walker si trovano sull’orlo di chiudere l’esperienza dei Killing Joke.
Nel frattempo, Coleman e soci diventano il gruppo di riferimento di una intera generazione di band: ricordiamo qui Nine Inch Nails, Ministry, Deftones, Korn. La miscela apocalittica generata dalla ibridazione tra new wave e futurismo contagia non solo la scena industrial, ma anche quella dark-wave e noise-dark, rivelandosi una delle formule più diffuse della storia del rock britannico.

Ma, con una nuova formazione (Atkins, Coleman, Walker e Raven) e l’uscita dell’album Extremities, dirt & various repressed emotions (1990), la band sa ritrovare nuova linfa vitale e una rinnovata alchimia elaborata sul caos ritmico e l’accentuata drammaticità di alcuni brani espliciti, la durezza e la rabbia espressi. E ancora, con Pandemonium (1994), dopo 4 anni di silenzio e il ritorno del bassista Martin Glover, la band si muove su di un registro più sciamanico e rituale, con liriche allusive, sfumate, persino poetiche, incentrate sull’uomo e i suoi istinti e una chitarra per certi versi più metallica e dura, ritualmente post-industriale. Segue Democracy (1996), album incerto con evidenti segni di stanchezza e sterilità creativa, nonché stilistica, che sembra essere stato scritto da fan amatoriali dei Killing Joke. Nuovamente sulle scene dopo 7 anni di silenzio, i Killing Joke sfornano Killing Joke 2003: l’accoppiata basso-batteria ridisegna un incalzante e frontale ritmo per tutto l’album, con la voce declamatoria di Coleman che guida le danze in atmosfere molto anni ’80. Segue Hosannas from the basements of hell (2006), registrato a Praga, condotto tutto su lunghi brani incisivi ed esplosivi, di forte intensità, senza pause. Il ritmo martellante, senza continuità di sorta, riporta ai primordiali Killing Joke, con un Coleman disperato, rabbioso e annichilito che ruggisce e carica a testa bassa fra sciabolate di chitarre arroventate rimarcando la devastante drammaticità del mondo. Dopo quasi 3 decenni di onorata carriera, la band ritorna a rappresentare un mondo che oggi come allora affonda in paure e tensioni, in violenze e degrado sociale. E questo dissenso, che in realtà rappresenta un estremo grido di disperazione, affonda la proprie radici nell’album successivo: Absolute dissent (2010), un lavoro che senz’altro riconduce alle origini della loro avventura, nutrendosi in maniera virulenta di scorie punk, metal, heavy, ma con ripetizioni pericolosamente monotone che ne abbassano il valore stilistico e compositivo. Due anni dopo esce MMXI (2012), lavoro composto da brani monolitici di rock pesante, che dimostrano come i Killing Joke siano una entità che esiste al di fuori del tempo, sospesi in una sorta di loop ripetitivo ormai desertificato stilisticamente. Anche Pylon (2015) risente di queste atmosfere, ma con una migliore qualità della scrittura che alla fine ci restituisce i tratti di una band nonostante tutto ancora in buona salute, dopo 35 anni di attività. Jaz Coleman, vero frontman della band, ha ribadito più volte il senso profondamente mistico della musica dei Killing Joke unitamente ad una linea consapevolmente politica che ha accompagnato questa lunga avventura musicale. Secondo Coleman, il mondo deve toccare il fondo della propria aberrazione per potersi risollevare e cambiare rotta. Egli ha spesso ribadito che “…per noi suonare rock significa canalizzare e convogliare energie negative e stati del subconscio in maniera quasi terapeutica, per vivere meglio e anche per educarci e migliorare come esseri umani. Tramite questa band tanti lati oscuri vengono tenuti a bada e placati. Paure, incubi, timori, insicurezze. Questa band ci ha reso persone migliori fin da quando eravamo ragazzi. Grazie a questa band, i Killing Joke sono stati come l’università, per noi, e una sorta di auto-istituzione. Potevamo diventare criminali da ragazzi, chissà, forse anche assassini. E invece siamo qua, e abbiamo un messaggio e siamo portatori di tanti significati e di una forte espressione artistica. Il rock estremo fa bene all’anima, non c’è nulla da fare, è terapeutico, cura l’anima e ringiovanisce lo spirito”. Come dare torto allo “scherzo che uccide”?

Di Renzo Bacchini