"Ragazza, donna, altro": il romanzo queer di Bernardine Evaristo

Rielaborazione grafica del volto di Bernardine Evaristo

Ragazza, donna, altro, ottavo romanzo di Bernardine Evaristo e co-vincitore del Booker Prize 2019 insieme a The Testaments di Atwood, è stato protagonista di molteplici vestizioni definitorie, quasi a riflesso della natura multiforme, variegata e polifonica dell’opera stessa. Sarebbe opportuno cominciare con l’aggettivo caratterizzante che compare nel risvolto di copertina della traduzione italiana, pubblicata da Edizioni Sur nel 2020: corale. Senza dubbio è una narrazione che, seppur apparentemente composita, risulta un insieme di voci, di storie personali e culturali di 12 donne nere britanniche, intessute tra di loro come la trama di un raffinato arazzo. Eppure emerge una fondamentale contraddizione: per definizione saremmo portati a immaginare una polifonia armonica, ma ciò che si insinua nella sensibilità di chi legge è piuttosto una dissonanza di voci, ciascuna portatrice di differenza, di una necessità identitaria che prescinde i canoni e le imposizioni sociali e li combatte con forza. Forse sarebbe più opportuno parlare di romanzo concatenato: ogni personaggia (si può declinare il termine "personaggio" al femminile? La grammatica dice di sì e per approfondire il tema si può leggere L'invenzione delle personagge, Iacobelli Editore, 2019) è interconnessa, spesso alla protagonista precedente o a quella immediatamente successiva, e questa intima unione fa sì che il romanzo possa riconoscersi non come una raccolta di racconti brevi, ma come opera a tutti gli effetti coesa. 

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Cover "Ragazza, donna, altro" di Bernardine Evaristo

Passiamo alla seconda definizione: queer. Come specificato dall’autrice stessa durante il dialogo con la scrittrice italiana Igiaba Scego è un libro molto queer, nel senso che è incentrato su persone queer. La massima apertura di questo romanzo permette all’autrice di indagare l’identità di genere e l’orientamento sessuale delle protagoniste, ponendo l’accento sulla libertà sessuale e sul diritto alla libertà sessuale, sulla discriminazione di genere, sul tema del consenso, sulla violenza sessuale e sulle dinamiche di abuso all’interno delle relazioni, siano esse eteronormate o omosessuali. Ma il libro non si limita a questo, parla anche di classe operaia, di razzismo, di alterità legata all’età anagrafica, tutto in una commistione che non si può non chiamare intersezionale. È un romanzo queer anche perché porta porta lettori e lettrici a rifiutare le categorie e le categorizzazioni rigide, incoraggia ad assumere un atteggiamento di messa in discussione del canone, di rottura della norma in favore di un punto di vista che superi la visione prescrittiva imposta dalla società. 

E ancora una parola, teatrale. Qui interviene un importante dato biografico: Evaristo comincia a fare attivismo negli anni Ottanta fondando una compagnia teatrale nera femminista. E se il teatro è elemento biografico imprescindibile, non stupisce che l’autrice scelga come mezzo di denuncia, e di visibilizzazione delle persone ai margini, un palcoscenico di carta stampata su cui si consumano i 12 atti corrispondenti alle storie delle 12 donne protagoniste. Ma questo non basta: l’occasione della narrazione è data proprio dalla prima di uno spettacolo teatrale trasgressivo e radicale, incentrato su una parte di storia africana femminile completamente sconosciuta al pubblico. Lo spettacolo è scritto e diretto da Amma, prima grande protagonista del romanzo, drammaturga sessantenne che, dopo anni di gavetta in teatri secondari e di invisibilizzazione da parte della critica, finalmente riesce a debuttare al National Theatre di Londra. Amma è, per citare Evaristo, una radical outsider, una donna che ha sempre abitato e rivendicato i margini della società; è nera, lesbica, poliamorosa, femminista, vive nello squat più ambito di Londra, un ex palazzo di uffici dietro la stazione di King’s Cross. E sebbene Amma non fosse destinata, nel progetto originario, ad essere la voce di apertura del libro, è risultata infine la più adatta a dare il via a una narrazione sperimentale, che esplora aspetti che raramente si ritrovano nelle scritture contemporanee.

La rielaborazione grafica del volto di Bernardine Evaristo è di Manuel Calli. 

Questo articolo fa parte di: Prospettive Queer

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