Espérance Hakuzwimana a Leggermente, 1 dicembre 2022

Espérance Hakuzwimana

«...nessuno assomiglia a nessuno, nessuno ripete niente, si è qui per la prima volta e si rappresenta solo se stessi. Negarlo significa mettere in dubbio la singola esistenza. O per dirla con Mandel'štam: chi vive è incomparabile». 
(Marija Stepanova, Memoria della memoria)

La consapevolezza può arrivare dopo un'attenta riflessione e un'approfondita analisi ma anche improvvisamente, come un lampo fulmineo e istantaneo, un tuffo nell’acqua gelida, o una rivelazione eteroindotta. Così è stato per molti di noi partecipanti all'incontro con Espérance Hakuzwimana che, nell'ambito del progetto Leggermente, ha presentato il suo romanzo Tutta intera (Einaudi, 2022) alle officine CAOS - Casa di Quartiere Vallette. Questi improvvisi insight hanno riguardato il tema del razzismo ma soprattutto quello dell’identità e dell'appartenenza correlati alla costruzione di una diversa narrazione riguardante le adozioni internazionali. Ci siamo improvvisamente visti attraverso le nostre categorizzazioni, le rappresentazioni stereotipate dell'altro, attraverso le nostre solide buone intenzioni; una volta tornati a casa abbiamo riflettuto sulla libertà della gratitudine, che non dovrebbe essere pretesa come un obbligo proprio perché possa invece esprimere la sua natura spontanea e vitale: dovrebbe piuttosto darsi come ri-conoscenza, ovvero reciproco ri-conoscimento. 

Per quanto riguarda il canone dell'antirazzismo risulta indispensabile la lettura di alcuni suggerimenti che Hakuzwimana rivolge a certi antirazzisti wannabe (termine slang, una contrazione di want to be, che indica in particolare chi aspira o finge di essere qualcuno) già nel suo libro precedente. Primo consiglio fra tutti: "Dire «io non vedo nessun colore/siamo tutti uguali» non fa di voi degli antirazzisti. Semmai delle persone che hanno bisogno di un salto dall’oculista" (da E poi basta. Manifesto di una donna nera italiana, People, 2019).
Il canone narrativo predominante delle adozioni internazionali risulta invece essere quello che sottolinea la trepida attesa dei genitori, il bambino o la bambina che arriva da lontano, ed infine l’obiettivo raggiunto di una genitorialità completa. In realtà l’esperienza dell’adozione - per chi viene adottato e per i genitori adottivi - è tale da perdurare per tutta la vita, soprattutto quando ci si trova a crescere e a conquistare una propria identità in un contesto multietnico, completamente diverso da quello delle proprie origini. Parlare della propria adozione - sottolinea l'autrice in E poi basta - «è sempre un continuo esporre agli altri» la propria personale visione «di un processo profondo e complesso, intimo e feroce». 

La protagonista di Tutta intera è Sara, una giovane donna nera adottata da bambina da una coppia bianca, due genitori amorevoli, persone rispettabili ma incapaci di spiegarle come diventare se stessa e non “Saranostra”, la bambina arrivata da lontano e 'salvata'. Questa famiglia - che si è costituita come multietnica in seguito ad una adozione internazionale - ha sì compiuto un passo in direzione della multiculturalità ma sottovalutandola, nella speranza - sottaciuta e inconsapevole - di una totale assimilazione della nuova venuta all'interno della cultura ospite. Sarà proprio l’incontro con una classe di adolescenti di seconda generazione di immigrati, che le sono affidati per un corso di potenziamento pomeridiano, a cambiare il punto di vista di Sara. A questi ragazzi e ragazze - che le correggono l'accento con cui pronuncia i loro cognomi, che parlando fra di loro usano termini che non conosce (midi, sísí), che le si contrappongono duramente («...ma lei profe cosa c’entra con noi?») - Sara rivolge domande sbagliate («Perché non mi raccontate da dove venite?») e finisce per comprendere che neppure i libri amati (e tutti quelli della biblioteca scolastica) possono funzionare con loro, perché dentro quei libri non ci sono le loro storie. Chi la dirà la verità «su queste persone, su questo posto, su tutti noi?» si chiede Sara. 

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Espérance Hakuzwimana

L'autrice aveva affrontato il tema della costruzione dell'identità - che trae alimento anche da una solitudine a volte beata a volte feroce - anche in E poi basta, con il riferimento al discorso di Domenico Lucano, detto Mimmo, tre volte sindaco di Riace: «Vi auguro di avere il coraggio di restare soli e l’ardimento di restare insieme, sotto gli stessi ideali. Di poter essere disubbidienti ogni qual volta si ricevono ordini che umiliano la nostra coscienza»; come scrive Espérance Hakuzwimana, «essere nera e donna è diventato doloroso e ingombrante, faticoso, fuori luogo, pericoloso e tanto altro» e per quanto avrebbe voluto rimanere chiusa in una stanza a leggere, ha infine dovuto uscire allo scoperto - non per salvare il mondo ma perlomeno per tenerlo al riparo - impegnandosi a scrivere il libro che mancava, con le storie di Taja Kolu, di Charlie Dí, di Zakaria Laroui e di tutti gli altri.

Testo di Stefania Marengo (Biblioteche civiche torinesi) 

La registrazione dell'incontro con Espérance Hakuzwimana è avvenuta a cura delle Biblioteche civiche torinesi; il video è stato pubblicato sul canale YouTube delle BCT.