Brian Eno - Ambient 4: On Land

Eno & On Land

   Non ho tempo
   Per tornare da te

   Eppure vorrei spiegarti
   La strada più breve per raggiungermi

Opera di complicatissima decifrazione, il quarto lavoro ambient di Eno si snoda attraverso nove tracce rallentate, impalpabili, evocative e scarne sino all’inverosimile. Uscito nel 1982, conclude il ciclo ambient iniziato con Music for Airports e sviluppatosi lungo itinerari di pura fascinazione, in un mosaico sonoro che ha dato origine al movimento dell’ambient music, elaborato nei decenni successivi da altri epigoni che ne hanno colto il fondamentale testimone germinale. L'ascolto di On Land cattura e riporta alla luce, nel passaggio fra la veglia e il sonno, dettagli e frammenti della mole di esperienze che si sono stratificati nella nostra vita, riportando a galla l’essenza di ciò che siamo stati: sono chiare, dunque, le connotazioni psicoanalitiche dell’opera. Eno scava nelle sue profondità e questo scavo finisce per riflettersi sull’ascoltatore: qui la musica parla di un mondo fanciullo del giovane Brian, ma allo stesso tempo è come se questi ricordi scardinassero le fragili porte della nostalgia di ciascuno di noi. E’ una sorta di ritorno ai giorni passati, con un'immagine ben precisa nella testa del suo creatore: quella dell'ascoltatore e del compositore seduti uno accanto all'altro su un altopiano, circondati da un immenso spazio geografico e da molti suoni; alcuni lontani, appena percettibili, altri più vicini e pur non avendo particolari connessioni essi vengono catturati dalla mente e dallo spirito, creando melodie. Non importa da chi esse scaturiscano, perché sono i suoni ad essere tutto e le note, ormai dilatate, rallentate, trasfigurate e saccheggiate vengono rielaborate in studio, trasfigurate e deformate dai sintetizzatori di Eno, unitamente a rintocchi, fruscii, catene, rocce, disturbi organici e bacchette, non-strumenti per eccellenza. La musica non è che un coacervo di echi e vortici dilatati nel tempo in cui il basso tetro di Bill Laswell, la tromba lontana di Jon Hassell, la chitarra deforme di Michael Brook si mescolano in paesaggi che implodono e rendono alla solitudine il tributo della trasfigurazione. Ogni composizione si replica in un loop di variazioni che riciclano lo stesso tema. E così, ecco gli uragani lontani e impercettibili di Lizar Point, la cupa frequenza cosmica di Lost Day, i lugubri fruscii e stridori di Lantern Marsh, i bagliori di chitarra dissonante di Dunwich Beach, i riverberi di versi di animali della jungla di Unfamiliar Wind, la quiete ossessiva in lente e fluttuanti pulsazioni in ebollizione di Tal Coat, la suspense di Shadow, un campo di cicale battuto dal suono arcaico e orinale della tromba di Hassell: sono piccole sinfonie di palpiti e bisbigli, atmosfere tetre che incombono minacciose come se una creatura malvagia si nascondesse dietro l’angolo in attesa di comparire all’improvviso, il tutto in una dimensione di immanenza che attende che qualcosa accada senza mai accadere. Si è scritto, altrove, che Eno è “genio e regolatezza”, un acuto osservatore della realtà circostante, un laboratorio vivente in cui fermentano gli imput recepiti dall’esterno: insomma, uno scienziato, più che un artista. Eppure, dietro queste sculture sonore, così accattivanti, così intrise di sinistri presagi, dietro questi luoghi percorsi da forze selvagge e terrorizzanti, si cela una grande bellezza, si intuisce l’evocazione dell’infinito, la forza della Natura e dei suoi impercettibili moti. On Land è sicuramente uno dei dischi più intimi mai realizzati, una sorta di angusto scaffale sui cui ripiani giace la memoria perduta di cui non si ricordava l’esistenza, nei cui anfratti è possibile ritrovare profumi, giocattoli, spettri sonori, colori. Un capolavoro assoluto verso il mondo della pura e dolce malinconia.

Di Renzo Bacchini

Collocazione in Biblioteca musicale: 21.F.282