I 250 di Ludwig (van Beethoven) - episodio 11 - Nel nome della musica

Ludwig_van_Beethoven_episodio_11

Vi è mai capitato di pensare che la musica fosse un'indispensabile ancora di salvezza?
Tutti quanti ci credono e ci hanno creduto fino alla fine sono fratelli in spirito

Eravamo rimasti agli ultimi anni di fatiche.
Mi trovo a Mödling da qualche tempo e dopo anni di poche distrazioni musicali, lei si ripresenta. La musica torna a girarmi intorno mentre passeggio tra monti e vallate, e avrà un futuro. Nuova potenza creatrice, altre opportunità per esprimerla, inaspettati spunti e slanci si fanno strada nell'estate del 1819, diradando le nebbie confuse di quell'inverno, forse di tutti quelli precedenti.

Si apre quindi un altro tempo, quello della risposta a me stesso, in cui concedermi la tranquillità che mi sono negato per troppi anni. Vado scrivendo sul mio diario che la quiete e la libertà sono i beni più grandi e mi consacro al trittico del mio personale credo: uomo, natura e Dio (il mio Dio).
Il primo frutto di questa schiarita lo colgo portando a termine quella sonata per pianoforte (Hammerklavier) che mette alla prova ogni grande pianista voglia cimentarvisi, tanto sono riuscito a renderla lunga e tecnicamente impegnativa!
Devo però ammettere che oltre al richiamo della foresta sento anche quello dell'orchestra, e l'investitura ad arcivescovo di Olmütz dell'Arciduca Rodolfo - mio illustre allievo - mi offre l'opportunità di iniziare a fissare finalmente sulla carta prima il mio Kyrie, poi il Gloria, e sentire arrivare il Credo, cominciando così a comporre il puzzle di quella Missa Solemnis che concluderò solo qualche anno dopo e che sarà presentata al pubblico insieme all'altro appuntamento musicale con la storia che mi sono concesso e vi ho regalato.
Ma non bruciamo le tappe.
A Vienna ormai mi circondo di diversi amici, alcuni dei quali mi frequentano per affetto sincero, altri forse per piaggeria. Poco importa. Sono editori, musicisti, giornalisti, critici musicali e solo loro probabilmente riescono a pesarmi con gli strumenti giusti; da altri, non pochi a dire il vero, arrivano giudizi poco lusinghieri sui miei modi, le confusioni, le stranezze, l'eccentricità.
Per dirne una che forse non sapete. Una volta mi hanno anche arrestato! Non si capacitavano mi venisse di guardare dalla strada attraverso le finestre degli altri... Io, i miei capelli ispidi e la lunga barba non piacciamo molto alla polizia viennese, ma l'essere considerato un po' matto mi ha consentito di non ricevere eccessive e ulteriori attenzioni. Bene così, visto come si sono messe le cose a Vienna: censura e polizia costituiscono una rete di protezione sempre più stretta tirata dal buon Metternich, che con i miei amici vorremmo veder allentata, senza una precisa risposta sul come, a dirla tutta.
Nell'isolamento uditivo e mentale che di fatto vivo ormai da tempo si crea lo spazio che mi consente di coltivare e far nascere nuove creature musicali. Non sono certo i ritmi ai quali avevo abituato il mio pubblico anni fa, ma ho imparato a non preoccuparmene; so che sto lavorando molto e non manco di intervallare lo spazio da dedicare alla musica a quello che mi rimette in contatto con le cose che adesso ritengo semplicemente più gratificanti: una passeggiata, buona tavola, vino (forse troppo) e tabacco ad allietare i momenti in compagnia e accompagnare quelli di solitudine.
Questo è il tempo dell'orchestra, certo, ma anche delle composizioni per pianoforte: due sonate in due anni, l'op. 109 e l'op. 110 e poi l'ultima che scriverò per il mio strumento prediletto, l'op. 111, portata a termine nel gennaio del 1822. Nel 1823 finisco finalmente la Missa Solemnis (fuori tempo massimo rispetto all'investitura?), le Variazioni su un valzer di Diabelli, op. 120 e metto a segno una serie di opere anche minori. Mi viene anche richiesta una revisione delle Rovine di Atene (che subito prende il titolo didascalico l'Inaugurazione del Teatro e poi, col tempo, un più neutro Consacrazione della casa) per l'inaugurazione del nuovo Josephstadt Theater; rispunta anche il Fidelio, che mettiamo ancora in scena nel novembre del 1822 e poi in diverse altre occasioni al Kärnthnerthor Theater.
E qui capita ciò che mai avrei voluto accadesse. Wilhelmine Schröder, alla quale sarebbe stata dedicata la serata, descrive l'accaduto con queste parole

Le ultime prove erano già state fissate, quando appresi, prima della generale, che Beethoven aveva chiesto di avere l'onore di dirigere egli stesso l'opera, per celebrare quel giorno[...]. Con un'espressione disorientata e gli occhi incredibilmente ispirati, agitando la bacchetta avanti e indietro con movimenti violenti, stava in mezzo agli esecutori e non udiva una nota! [...] Successe l'inevitabile: il maestro sordo fece andare i cantanti e l'orchestra completamente fuori tempo e nella più grande confusione, e nessuno sapeva più dov'era.

Quindi non ho scampo: per quanto cerchi ancora una cura, la strada è definitivamente segnata. 
Ma se non riuscirò mai più a dirigere, posso sicuramente comporre, e lo sprone giunge attraverso le parole dei firmatari di una lettera che suona come un appello capace di commuovermi

[...] Non negatevi più al godimento del popolo, non trattenete più dall'avvilito senso di ciò che è grande e perfetto un'esecuzione degli ultimi capolavori di Vostra mano. Noi sappiamo che una grande composizione sacra si è unita alla prima, nella quale Voi avete immortalato le emozioni di un'anima, penetrata e trasfigurata dalla potenza della fede e della luce soprannaturale. Sappiamo che un nuovo fiore risplende nella ghirlanda delle Vostre gloriose sinfonie, fino ad oggi senza pari [...]

Vi risparmio il resto della lettera, sorvolando su quanto gli amici si preoccupassero di mantener salda una certa tradizione musicale che consideravano minacciata da stili poco apprezzati a Vienna, ma il senso era uno ed uno soltanto.
Era tempo della Nona Sinfonia.

Di Laura Ventura

Illustrazione di Marisa Aloi