I 250 di Ludwig (van Beethoven) - Ultimo episodio - Si compie la storia

Ludwig_van_Beethoven_episodio_12

Dove eravamo approdati? Ah, certo, alla Nona Sinfonia, l'ultima che sia riuscito a scrivere, e soprattutto a un episodio che necessita di essere completato

Sapete che la Nona è entrata a far parte del patrimonio universale dell'umanità per volontà dell'Unesco? E che è l'inno ufficiale dell'Unione Europea?
A distanza di poco meno di 200 anni non mi sarei aspettato un riconoscimento tanto alto, ma anche volendo prescindere da questa circostanza, credo che questa sinfonia abbia dato più di una prova della sua unicità.
Del concerto nel quale compare in programma per la prima volta vi ho forse già accennato. La realtà è che quella sera del 7 maggio 1824 ho avuto la sensazione che al Kärnthnertheater di Vienna si stesse compiendo qualcosa di memorabile.
Sul palco ci sono Schuppanzig e Umlauf: io sono lì fra loro a girar le pagine della partitura e tenere il tempo, anche se orchestrali e coristi si guardano bene dal venirmi dietro!
Non sento pressoché nulla di quello che stanno suonando e cantando, ma ho ben presente ciò che ho scritto e so di aver messo sul pentagramma qualcosa che nessuno mai aveva pensato fino ad allora: quando in programma arriva il momento della Nona Sinfonia e in particolare del suo ultimo movimento, ne prende atto anche il pubblico, probabilmente a bocca aperta, non saprei dirvi con certezza perché sono girato di spalle, e neanche riesco a godermi gli applausi terminata l'esecuzione (ma qualcuno, bontà sua, dimostra il suo apprezzamento facendo sventolare un fazzoletto).
Ma è dall'incipit che inizio a spiazzare, dall'inizio di quel primo movimento nel quale gioco di sospensione con una tonalità che arriva ad affacciarsi in ritardo e che non esito a lasciare repentinamente. Poi, per la prima volta nella storia delle pagine sinfoniche, compaiono delle voci, quelle dei solisti e di un coro memorabile che trova la sua strada dopo una ricognizione musicale che è vero tributo ai padri della musica e alle mie radici musicali; e irrompe infine in Sala con l'Ode alla Gioia.
Un Inno che da allora si riverbera e viene replicato nelle sale da concerto di tutto il mondo, facendosi simbolo.
L'intera composizione è frutto di una gestazione durata anni e i versi sono tratti dal
l'Inno alla gioia (o alla libertà?) scritto da Schiller anni prima e già ben noto prima di trasfigurarsi in musica mio tramite.
Qualora non fosse sufficientemente chiaro quali siano le mie intenzioni, sono le parole che scelgo a farsi strada nel concedere e nel considerare per l'umanità tutta piena speranza.

Gioia, bella scintilla degli dei,
tu, figlia dell'Eliso
Noi ebbri di fuoco;
O Celeste, entriamo nel tuo santuario

I tuoi incantesimi ricongiungono
ciò che le avide convenzioni hanno diviso
Tutti gli uomini diventano fratelli
ove spira il tuo dolce alito
[...]
Lieti come i suoi astri volano
Nella splendida volta celeste
Percorrete fratelli la vostra strada,
gioiosi come eroi alla vittoria

Abbracciatevi moltitudini
Questo bacio al mondo intero
[...]

E fratellanza sia, mi dico! In fondo per me quel 1824 è stato l'anno della riconciliazione. Proprio mentre vado scrivendo il finale della Nona, tendo la mano verso Johanna, le scrivo, offrendole aiuti finanziari e anche pratici. Ma non durerà a lungo, così come non sarà possibile per me reggere al mutamento dei rapporti con mio nipote Karl, che raggiunta la maggiore età sfugge a un controllo che ritengo ancora necessario e anzi mi adopero affinché si faccia ancor più stretto.
A complicare la mia salute (e di conseguenza la mia predisposizione d'animo) arriva anche quell'infiammazione intestinale che più volte aveva dato segni di non voler recedere e che nel 1825 rischia di mandarmi al tappeto. Secondo il dottore dovrei controllare la dieta, rinunciando tra le altre cose al piacere del vino e del caffè, ma sapete bene come son fatto: non ci penso neanche per un secondo!
Sono gli anni, questi, in cui mi devo dedicare alle composizioni che ho lasciato indietro, ai quartetti che avevo promesso al principe russo Nikolaj Galitzin e che cerco di farmi pubblicare trattando dei diritti con Peters e Schott's Söhne. Nonostante tutto mi metto al lavoro e termino nell'ordine i quartetti dell'op. 127, 132, 130 (con la Grosse Fuge finale, definita da una rivista di Lispia incomprensibile, una sorta di rompicapo cinese e che modificherò come ultimo atto da artista), 131, per arrivare all'ultimo, quello dell'op. 135, nel quale propongo il quesito dei quesiti e mi concedo anche la risposta (a voi la ricerca...).
Composizioni dedicate a chi resiste, vale a dire a tutti quanti non smettono di seguirmi, e che sono disposto a far eseguire anche in occasioni private, senza ormai curarmi del successo di pubblico.
Piuttosto, mi capita di prendermela un po' con tutti, con Karl in particolare. Anche quando la mia salute accenna a migliorare - non certo per disciplina nel seguire i consigli del medico - proseguo la strana crociata mossa nei suoi confronti, arrivando ad apici di tensione tali da portare il ragazzo a valutare un gesto estremo.
Nell'estate del 1826 la deflagrazione: Karl si sente in trappola fra mura vere e percepite, fugge a Baden, si procura due pistole e, salito su una montagna, tenta di spararsi.
Fortunatamente colpendo il solo cuoio capelluto.
La necessità di un cambiamento di prospettiva è evidente: dopo le cure, la tutela di Karl passa a Breuning e ci trasferiamo tutti - ad eccezione di Johanna - nella casa di mio fratello Nikolaus Johann a Gneixendorf.
Strano e surreale momento di riunione familiare... Eppure benvenuto per gli effetti che produce. Karl troverà la sua strada, per forza di cose diversa da quella che avevo così ostinatamente voluto per lui.
Per quanto mi riguarda, meine lieben Freunde, prosegue la progressione fatale della mia malattia. La prima crisi mi coglie quando sono ancora a casa di mio fratello: riesco comunque a raggiungere Vienna e rientro alla Schwarzpanierhaus, i miei appartamenti.
Cosa succede? Sembrerebbe di tutto: dai polmoni, all'intestino, al fegato, al piede, tutto si infiamma, in un crescendo di dolori insopportabili. Ma ne vengo fuori, almeno per un momento, il tempo di pensare con Schindler a un'edizione integrale delle mie opere, di mettermi a studiare quelle di Händel e di interessarmi alle Sinfonie di Schubert; e fantasticare di nuovi viaggi. Prima che arrivino i tremendi giorni del fatidico 1827 e i medici decidano, dopo una serie di drenaggi, di arrendersi all'evidenza.
Benché le mie condizioni mi costringano a letto, questi sono mesi nei quali mi sembra di far pace con il passato e di godere, per quanto possibile, l'affetto dei tanti che si affacciano a farmi visita o mi viziano in mille modi diversi. Chi inviandomi i dolci viennesi che tanto amo, chi, come gli amici di sempre - Schindler, Holz, i von Breuning, Diabelli e molti altri - allietando il tempo che mi rimane. Io stesso cerco di procurarmi quanto ritengo possa aiutarmi e scrivo affinché mi venga spedito del buon vino dalla Renania!
C'è però ancora un passo da fare, anche questo nella direzione di una definitiva presa d'atto, e il 23 marzo metto mano a penna e testamento. Con grande fatica e lasciando perplessi i molti che ne vengono a conoscenza, lo aggiorno

Mio nipote Karl sarà il mio solo legatario, ma il capitale del mio patrimonio toccherà ai suoi eredi naturali o testamentari.

Sì, avete capito bene, apporto tale modifica consapevole del fatto che mio nipote è sotto le armi e nel caso di sua morte prematura sarebbe Johanna ad ereditare tutto. D'altra parte mi è rimasta accanto fino alla fine, insieme all'altra persona presente in quel momento, il compositore Hüttenbrenner. Almeno così fu lui stesso a testimoniare, perché Schindler (ah, quante ne ha combinate dopo la mia morte), avrebbe glissato sull'identità della donna nel ricostruire quei momenti.

Plaudite amici, comoedia finita est sono le parole pronunciate a quanti mi circondano il 24 marzo. Lo stesso giorno giungono le bottiglie di vino spedite da Mainz.
Due giorni prima della resa definitiva...
Peccato, peccato, troppo tardi!

Di Laura Ventura

Illustrazione di Roberta Di Martino