Il male oscuro di Kurt: solitudine

Marinella Venegoni

I Nirvana, nella loro breve carriera, durata poco più di 5 anni, sono riusciti a produrre pagine indelebili che, a buon diritto, li hanno proiettati nell’Olimpo della storia del rock. Gruppo più rappresentativo del grunge (sporco), in pochi anni, con una manciata di dischi, hanno rappresentato e interpretato l’umore di una intera generazione, trasformando il rock alternativo in un fenomeno di massa. La morte di Kurt Cobain, a 27 anni, di cui si occupa Marinella Venegoni in questo articolo, avvenuta in circostanze che col tempo non sono state del tutto chiarite, ha certamente contribuito a creare intorno alla band un mito che può essere paragonato a quello dei R.E.M. o degli U2 del decennio precedente. Pur avendo attinto a piene mani da diversi generi del passato (in particolare dal punk e dal noise-rock, dal rock e dal pop), ciò che li ha resi immortali è soprattutto l’impronta del loro leader, sorta di menestrello rabbioso e disperato che tanto ha saputo rappresentare per l’apatia della Generazione X, che rifiutava i valori della generazione precedente e denunciava la sensazione di essere ormai perduta, inutile per la propria società.

Il male oscuro di Kurt: solitudine

Si arricchisce il macabro parterre de rois nei cimiteri del rock. La tomba di Kurt Cobain, il leader dei Nirvana suicidatosi l'altro giorno con un colpo di pistola alla tempia, si aggiungerà a Seattle - grazie a lui capitale internazionale del grunge - ad un'altra già meta di visitatori da tutto il mondo, quella di Jimi Hendrix, morto di eroina 24 anni fa. Presley, Morrison, Joplin, Hendrix, il punk Johnny Rotten e ora ecco il ventottenne Cobain ad allungare le fila delle vittime di un disagio esistenziale impossibile da superare. In questo ormai lungo e disperato elenco, Cobain è stato l'unico a togliere ogni ambiguità al proprio desiderio di morte, con quella pistolettata casalinga che è suonata come una scorciatoia alla fine per droga sfiorata a lungo (l'ultima volta a Roma non un mese fa). Il suo male oscuro se lo portava dentro dall'infanzia, Kurt, da quando aveva sette anni e i suoi genitori si separarono; da quello choc non si riprese mai. Ieri la madre Wendy ha parlato di “morte stupida”, riferendosi a suo figlio, e cercava forse di ricacciare indietro i sensi di colpa per quel momento del passato che lui non era riuscito ad elaborare. Forse sarebbe bastato un bel percorso psicanalitico, per uscirne fuori. Ma non era roba per Cobain, che credeva di aver trovato la sua cura nella musica e nella scrittura dei testi. Era lì che la sua angoscia senza tregua trovava l'approdo, sublimandosi in un'arte che va ora riconosciuta nella sua drammaticità visionaria. Un'arte che ha avvicinato il lavoro dei Nirvana a quello dei più grandi rocker del passato, saltando d'un colpo gli inutili Anni Ottanta. La sua è musica che martella il cervello con i riff incalzanti e la batteria ossessiva, in un crescendo mai gratuito che spesso poi trascolora in note dolcissime, di grande delicatezza ma anche profondamente irrequiete e oscure. Il recente album dei Nirvana, In Utero, uscito pochi mesi fa, rifletteva le esperienze di vita degli ultimi due anni del cantautore: il rapporto con la droga, il matrimonio con Courtney Love (un tipetto da niente anche lei, leader del gruppo femminista Hole), la nascita della figlia Frances Bean, di due anni, che non è riuscita a fermare l'ineluttabilità del destino. I testi erano stati scritti da Cobain con la consueta sincerità disarmante, che denunciava una maturazione dolorosa e inevitabile. “Vorrei divorare il tuo cancro quando diventerai nera / ...Avvolgimi in capelli d'angelo e in un respiro di bambina”. Versi molto personali, decadenti, lontani dal “Teen Spirit”, lo spirito adolescenziale cantato in un brano che aveva fatto il successo della band. Non a caso, In Utero si apre con queste parole: “L'angoscia adolescenziale ha reso bene / Adesso sono vecchio e annoiato”. Cobain è stato uno che non si è mai raccontato storie. La sua parabola artistica è stata un percorso fulmineo. Nel 1985 è l'incisione del primo nastro, Fecal Matter, seguito nell'88, con già l'organico dei Nirvana al completo, dal primo album Bleach e subito dal secondo, Blew. Tutto materiale praticamente introvabile fino ad arrivare, nel '91, a Nevermind, che vende otto milioni di copie, e che precede In Utero. L'album che doveva consolidare una carriera è ora un oscuro testamento spirituale.

Marinella Venegoni - «La Stampa», 10 aprile 1994

Di Renzo Bacchini

Rielaborazione grafica di Roberta Di Martino

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