Musica in difesa degli immigrati

Marinella Venegoni

Non avrebbe bisogno di alcun commento, questo articolo di Marinella Venegoni, per ribadire che dopo quasi 30 anni il nostro Paese non è cambiato molto e soffre ancora di malesseri antichi, ancora pericolosamente attuali e contemporanei, che sono andati altresì peggiorando, in un concorso di colpe che ha visto l’Europa civilizzata e progredita non assumersi alcuna responsabilità di fronte al problema della immigrazione. Restano, fra le poche attuali serie iniziative, l’impegno di molti artisti che, oggi come ieri, hanno saputo scrivere testi e musiche di alto impegno civile e umano per ribadire e ricordare che proprio dalle nostre coste, molti decenni fa, sono partiti milioni di persone in cerca di una vita dignitosa.

Musica in difesa degli immigrati

La musica è un fatto sociale”: con la sua solita, timida sicurezza, Pino Daniele ha enunciato l'altra sera su Raiuno, in apertura del Concerto per gli Immigrati, una sacrosanta verità sempre ignorata dalla politica ufficiale e dalla cultura paludata, nonché ormai anche dai media, per i quali i fenomeni musicali sono diventati pittoresche curiosità di costume. Presi dalla fuga di Montanelli, dai miliardi di Cusani e dal governo in caduta libera, ci siamo trovati tutti quanti, davanti al video, un po' spaesati di fronte al racconto dei drammatici problemi di sopravvivenza vissuti dagli stranieri nel nostro Paese, interrotti da un concerto vero, dal vivo: la musica ha commentato o stigmatizzato questi drammi con la sua capacità immediata ed universale. Sul palcoscenico d'acciaio tirato su al Teatro Fellini di Cinecittà, ecco subito la chitarra magica di Pino Daniele in primissimo piano, a nobilitare una tantum la musica in tv: dal vivo, col cuore e senza portafogli (tutti si esibivano gratis), il musicista ha offerto con Sicily e Femmena una splendida prova che per pochi minuti ha ammazzato la volgarità dei mille karaoke, Castrocaro e Sanremo che ci funestano. Non che il resto sia andato altrettanto liscio, ma era lodevole il contributo degli artisti per far crescere la consapevolezza sui problemi di coloro che hanno scelto di vivere in Italia, proprio come i nostri bisnonni scelsero di emigrare in America o in Australia. Certo, tutti avevano un disco da promuovere: ma fingiamo di non essercene accorti. Non c'è stata raccolta di fondi, solo le interviste di Vincenzo Mollica aprivano squarci scomodi di verità sulla condizione degli immigrati: s'è scoperto per esempio che, proprio come gl'italiani, molti extracomunitari non escono di sera perché hanno paura; Francesco Baccini ha raccontato di aver visto un venditore nero su una spiaggia fare harakiri e morire dopo esser stato dileggiato da un gruppo di giovani imbecilli. Tragedie vere che il nostro particulare ci fa mettere da parte. In sala, i volti scuri erano in verità pochissimi: alcuni hanno fatto irruzione sul palco suonando accanto ai divi nostrani; i quali hanno trovato anche belle parole per interrompere la musica. Lucio Dalla aveva espresso prima del concerto il suo pensiero: “I nuovi popoli portano nuova energia, e quello che serve è una tolleranza al di là della retorica. Viviamo in una società a disagio, mi piace pensare che saremo costretti ad abituarci a tutto”. Lo spettacolo strettamente musicale è stato discontinuo. Con Gianna Nannini e Jovanotti si è ricreata l'atmosfera del concerto rock dal vivo, con i suoi vuoti e la sua vitalità; Vecchioni ha pigiato sui sentimenti; Carboni ha cantato l'esistenza tipo degli extracomunitari in Ci vuole un fisico bestiale, malservito dalla regìa. Dalla ha commosso con Liberi ed Henna. Baccini in due canzoni è riuscito a cambiare pettinatura e a distruggere No Woman No Cry: brano poi ripetuto in coro da tutto il cast, con ognuno attento a non mescolarsi troppo con il vicino. Fingiamo di non essercene accorti.

Marinella Venegoni - «La Stampa», 14 gennaio 1994

Di Renzo Bacchini

Rielaborazione grafica di Roberta Di Martino

Proposte bibliografiche