Pazzi per Phil Collins, il diavolo romantico

Marinella_Venegoni

Il 25 aprile 1994 il Both Sides Tour di Phil Collins fece tappa al Forum di Assago. Marinella Venegoni c'era...

Pazzi per Phil Collins, il diavolo romantico

Gli sposi ancora in abito da cerimonia, lei in bianco lungo, lui in frac, seduti comodi dietro il mixer, si sono goduti qualche secondo di celebrità, con gli applausi che Phil Collins invocava per loro dai dodicimila fans di Assago. Vittime certamente, i due, del romanticismo lieve, ipnotico e assai professionale che in tutti questi anni ha procurato legioni di appassionati al Collins cantante solista, alter ego del Collins magistrale batterista dei Genesis. Le sue due carriere procedono quiete, in un impiegatizio tran-tran discotour dei Genesis / disco-tour solista che ha portato l'altra sera il cantautore inglese all'unico concerto italiano qui al Forum, pieno anche di gente umida reduce dalla manifestazione del 25 aprile: perché il quarantatreenne Phil Collins non è solo romantico, è anche una nonstar, un uomo socialmente impegnato che non pensa solo ai miliardi accumulati; è nota la sua battaglia per i senzatetto, seguita all'Another day in paradise loro dedicata ed eseguita qui in una versione - applauditissima - assai pimpante. Molti che non badano al testo in inglese l'avevano impropriamente scambiata, agl'inizi, per una canzone d'amore, e questo la dice lunga su una certa tendenza del Nostro ad essere musicalmente monocorde; Collins comunque incalza e non dà tregua, legge un foglietto in italiano: «Quando uscite, lasciate qualcosa al banco in fondo per Fratello Ettore, che penserà a distribuirlo. E comprate anche la videocassetta delle prove del tour: i guadagni andranno agli homeless». La paura, all'inizio del concerto, era che Collins ci piazzasse lì tre ore di musica d'atmosfera da tramortire anche i fans più accesi. Il penultimo «Serious Tour» solista, coperto di luci blu, era a rischio di “ron ron” e il nuovo album Both Sides che porta in giro adesso non lasciava sperare granché dal vivo, con le sue atmosfere inappuntabili certo, romantiche e/o impegnate di sicuro, ma anche piuttosto ripetitive. Invece qualcuno deve avergli detto qual era il problema, e il buon Phil ha messo su uno spettacolo vivace la cui scenografia ricordava - con scenari di città industriale o di bohème raccolta che le luci di volta in volta rivelavano - addirittura gli show di Prince, re dell'anti-noia. Inizio subito gagliardo, con Collins vestito grunge che scaldava da suo pari i piatti della mitica batteria con Don't care anymore. Poi, via con ballate e ballatone caramellate: «Vai a un party, vedi una, e improvvisamente la tua vita diventa un casino», legge Phil dal suo foglio in italiano introducendo la struggente I Wish it would rain; One more night e la vecchia Groovy kind of love fanno piangere il sax; poi, un tamburino sottolinea la marcetta celtica di We wait, we wonder», dedicata alla convivenza dei britannici con il terrorismo. Una omogenea coperta ipnotica si stende, è inutile negarlo, anche sulle sfumature, malgrado Stuemer alla chitarra, Lawson alla batteria e il bravissimo Nathan East al basso intreccino un ottimo accompagnamento alla voce di Collins. Nel secondo tempo, sorpresa, lo scenario musicale cambia con l'innervamento di quattro simpatici fiati che lassù da una balconata stravolgono e vivacizzano anche i pochi brani di Both Sides. Collins cammina, corre, balla che neanche Mick Jagger, mentre vampate di rhythm'n'blues accendono Hang in long enough, Missed again» (dedicata al calcio inglese: ognuno ha i suoi guai), la cover Easy Lover, fino al funky finale di Sussudio. Sono passate tre ore e c'è ancora tempo per i bis. Per questa volta, si dormirà a casa. Successone.

Marinella Venegoni - «La Stampa», 27 aprile 1994

Di Renzo Bacchini

Rielaborazione grafica di Roberta Di Martino

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