Ringo, dal suo giardino inglese

Marinella_Venegoni

Sir Richard Starkey, meglio conosciuto come Ringo Starr, è stato il batterista dei Beatles, sebbene all’inizio del suo esordio non fu molto apprezzato dal produttore George Martin e addirittura sostituito. Sicuramente meno in luce rispetto a Lennon e McCartney e meno travolto dalle inevitabili competizioni interne, fu per questo definito “lo sfortunato” del gruppo. Tuttavia, la sua propensione da attore lo rese sempre disinvolto nelle performance, insieme al suo carattere estroverso. Partecipò attivamente alla discografia dei Beatles, componendo personalmente, tra le altre, Don’t pass me by e Octopus’s garden. Precursore assoluto, ha di fatto inventato il ritmo dell’odierno brit-pop e subito dopo la fine della esperienza beatlesiana ha continuato la sua carriera di musicista e batterista, esordendo anche come attore, pittore, showman. In questo articolo, Marinella Venegoni ci restituisce l’immagine dell’artista che parla di sé confidenzialmente dal giardino della sua dimora e dell’ultimo ultimo disco, registrato nella sua casa, in compagnia di amici musicisti.

Ringo, dal suo giardino inglese

Da ragazzo semplice quale è sempre stato, Ringo Starr ha faticato a reggere l'impatto del dopo-Beatles e l'onda lunga del loro mito. Coca e alcol sono stati a lungo suoi compagni di strada, condivisi con la compagna di matrimonio Barbara Bach, ex Bond Girl ancora oggi accanto a lui. Sul piano discografico la sua opera è stata in 30 anni episodica e mai memorabile, con dischi come “Ringo” nel '73 e “Goodnight Vienna” nel '74, cui fa seguito un lungo silenzio-(dovuto alle note tribolazioni) che si chiude con “Time Takes Time” nel 1993, quando riappare libero delle dipendenze e finalmente smilzo indossa giacche stravaganti che sono un po' la sua divisa. “Ringo Rama”, che uscirà il 31 marzo, è ancora un disco odoroso del Beatles sound, una saga vivace di 13 mediti spesso così semplici da apparire elementari, con tenere rime un po' scolastiche. Sono per lo più pezzi allegrotti (però non manca qualche malinconia venata di ironia) ruspanti e artigianali alla maniera della sua epoca, suonati benissimo da un pugno di amici divertiti che rappresentano il gotha del rock storico, da Eric Clapton fino a Dave Gilmour dei Pink Floyd. Da uomo di citazioni, Starr ha scritto una ballad che risalta subito, Never Without You, impreziosita dalla chitarra di Eric Clapton. Vi sono intenzionalmente ripercorsi i capisaldi della tecnica di George Harrison e le sue avventure chitarristiche nei Travelling Wilburys con Bob Dylan. È un inno all'amico scomparso un anno e mezzo fa, nel quale ricorda i bei tempi andati: “Eravamo giovani/ ci divertivamo/e non potevamo esser tristi...eravamo sui titoli di tutti i giornali/ Giomi pazzi e notti insonni…”; insomma, la storia che sappiamo, che però ingloba il senso di una continuità storica: “E tuo figlio continuerà a suonare senza di te…”. Fra i pezzi rock spicca “I Think Therefore I Rock'n' Roll”, un rockettino amletico (“To be or not to be” è il ritornello) che vede alla chitarra la sapienza di Gilmour, impegnato a tirar su anche la superbeatlesiana “Missouri Loves Company”. Willie Nelson dà invece il suo contributo alla chitarra e in voce nel fragile country-pop “Write One For Me”. In “Elizabeth Reigns” autobiograficamente Ringo parla di sé e della moglie Barbra “in un giardino inglese”: il disco è stato infatti registrato nello studio della loro casa in Inghilterra, dove abita accanto agli amici che qui suonano con lui. E dove Ringo scorda l'amara California, riappropriandosi del suo pesante accento liverpoodiano in un album che alla fine ti lascia un sapore di smemorata freschezza.

Marinella Venegoni - «La Stampa», 26 marzo 2003

Di Renzo Bacchini

Rielaborazione grafica di Roberta Di Martino

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