Viscardello & C.: le trame dei libretti e gli orditi della censura

Viscardello_copertine

Parliamo di libretti d'opera e in particolare di quel significativo corpus (oltre tremilacinquecento esemplari censiti) della produzione operistica italiana tra ‘600 e ‘900 di proprietà della Biblioteca musicale Andrea Della Corte. Molte delle opere liriche, di cui sono la struttura testuale, giacciono ormai dimenticate; eppure il solo passaggio tra le mie mani di catalogatrice ne vivifica il senso poiché, rimuovendole dall’oblio degli scaffali, le rimuove anche dal tempo dell’attesa in cui per diritto di conservazione sono state poste.
È così, in questo paziente passaggio dal tempo della loro nascita (la pubblicazione) a quello del loro collocamento a riposo, dove la carta si è degradata virando nelle gradazioni dei colori della malinconia (si sono ingialliti, ingrigiti, imbruniti...), che saltano fuori codesti libretti dai titoli famosi - perché rimasti in repertorio fino ai nostri giorni - o assolutamente ignoti: usciti solo una stagione o caduti nell’oblio per le ragioni più varie.
E tra i tanti che passano tra le mani un libretto incuriosisce, visto che l’autore indicato è arcinoto (G. Verdi), mentre il titolo ci appare enigmatico: nasce in questo modo il caso strano del Viscardello. Domanda: ma Verdi per caso ha scritto un’opera dal titolo Viscardello? Nessuno ne sa nulla, ma il dubbio dura pochi secondi perché ai tempi di Internet (oh, tempi felici!?) nulla o quasi resta senza risposta.

E qui si apre il sipario… pardon! Uno squarcio sulla storia del rapporto tra melodramma e società. Incominciamo col dire che il Viscardello non è un’opera di Verdi; eppure lo è, perché questo titolo altro non è che il Rigoletto censurato! Eh sì, perché per poter andare in scena, ogni testo doveva passare attraverso le forche caudine degli uffici della censura.
Per inciso, capita alle volte di vedere apposti su alcuni libretti (sempre quelli che saltano fuori dagli scaffali per lavoro o per diletto) dei timbri che testimoniano di questo passaggio, cioè dell’avvenuto controllo censorio. Siamo negli anni Cinquanta dell’Ottocento, in piena epoca d’oro del melodramma: le opere vanno in scena secondo stagioni teatrali ben definite e si susseguono sui cartelloni titoli sempre nuovi, che ogni Stato italiano provvede a mettere sotto il controllo preventivo e/o successivo della censura.
La storia del Rigoletto/Viscardello (e non solo: ché altri cambi di titolo subì) è emblematica del rapporto tra censura e produzione teatrale. Verdi dà mandato al librettista Francesco Maria Piave di scrivere il testo per una nuova opera che dovrà uscire alla Fenice di Venezia nel 1850, basandosi sul dramma Le roi s’amuse di Victor Hugo. Il grande maestro sa esattamente ciò che vuole; è affascinato dall’intreccio e dalle “belle posizioni” dei personaggi del testo di Hugo, uscito a Parigi nel 1832 e subito ritirato dalla censura francese, tanto da definirlo “un grande dramma moderno”.
A Piave spetta il compito di tradurre (“tienti al francese e non sbagli”, gli scrive il maestro) i versi che già Verdi sente musicalmente costruire il “suo dramma”.

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Hugo_Verdi_Rigoletto(Shuisky)

Viene scritto un primo libretto che secondo i desideri del compositore ha per titolo “La maledizione”, ovvero il perno, il fuoco drammatico di tutta la storia. Seguendo le puntuali indicazioni di Giuseppe Verdi (“stile conciso, poche parole”) Piave riassume in circa 700 versi i quasi 1700 dell’originale, attenendosi allo schema e ai personaggi creati da Victor Hugo. Il dramma ruota attorno a Francesco I re di Francia, immorale e vizioso, gaudente, e a Triboulet (vero uomo del dramma), che nasconde sotto il suo corpo deforme da gobbo e il cinismo di buffone di corte il suo autentico sé, disvelato attraverso la maledizione di un personaggio della corte a cui il re ha violata la figlia.
Triboulet (il vero Triboulet) nasconde agli occhi del mondo corrotto del re, da cui è stipendiato, una candida figlia; sarà lei, nell’intrigo mortale del dramma, l’incolpevole vittima della maledizione iniziale, che si abbatterà non sul vero responsabile (il re stupratore), ma sull’incitatore al crimine - il buffone - e sul padre, difensore dell’innocenza, ovvero su un sol uomo: Triboulet.

Il bel soggetto, non inferiore ai drammi di Shakespeare secondo Verdi, non è però altrettanto ben visto dagli uffici della censura veneziana, che bloccano il testo. Dalle ceneri del primo libretto La maledizione, di cui si son perse le tracce, Piave fa emergere un secondo testo dal titolo Il duca di Vendôme, che Verdì così criticherà: “Ridotto a questo modo manca di carattere [...] ed infine i punti di scena sono diventati freddissimi [...] senza questa maledizione, quale scopo, quale significato ha il dramma? [...] in coscienza d’artista, non posso mettere in musica questo libretto”.
Sotto la scure della censura, Piave modifica alcuni punti del dramma: il re viene ridimensionato a nobile di rango inferiore, e ridimensionato anche il suo carattere di impenitente libertino, al punto che Verdi, vedendo annullato di fatto il senso stesso del dramma, medita di far cadere il contratto con la Fenice.
Nella corrispondenza tra Verdi, Piave e gli amministratori del Teatro si rintraccia però il succedersi degli eventi che porteranno a concordare una convenzione tra le parti, per formulare un nuovo libretto - già depurato dalla censura - che mantenga in parte la volontà di Verdi (che di fatto sul primo testo aveva già musicato quasi tutto) e possa, garantendo il contratto iniziale, andare in scena come previsto. La terza stesura del libretto, approvata a fine gennaio 1851 dalla censura, debutta in marzo alla Fenice con gran successo di pubblico e incassi, con il titolo Rigoletto: sarà un successo replicato a Venezia tra il 1851 e il 1860 per ben 14 volte!

Se fin qui si è parlato di censura preventiva, ora, all’uscita dell’opera verdiana sulle scene mondiali a partire dall’estate di quello stesso 1851, il Rigoletto, comunque sempre accompagnato dalla sua fama di opera immorale, varca i confini dello Stato Pontificio, mettendo all’erta la censura papalina e quella delle piazze italiane dove gli impresari dovranno allestire l’opera. Nel territorio dello Stato della Chiesa in un primo tempo l’opera viene proibita, dando però la possibilità all’editore Ricordi, che ne detiene i diritti, di modificarla e ristamparla diffondendola con altro titolo, in modo da aggirare l’ostacolo della censura.
A Roma esce dunque, nell’estate 1851, con un’ambientazione americana - la scena si finge a Boston nel 1500 - il libretto licenziato da Ricordi con lo strano titolo Il Viscardello. Tale libretto sarà disconosciuto sia da Piave sia da Verdi e sarà, nonostante le modifiche apportate all’originale (Rigoletto), mal tollerato anche da un Gioacchino Belli trasformato all’epoca da profanatore e satirico poeta in reazionario funzionario della censura romana, che si dichiarò nauseato dal “putrido soggetto di questo dramma”.
Ma quali sono i bersagli della censura? Partiamo dal fatto che il dramma originale (Le roi s’amuse) è l’opera di un autore politicamente “compromesso” con posizioni liberali, che evidentemente Verdi considerava per lo meno non lontane dai suoi punti di vista, se non altro in campo drammatico, ma con “drammatiche” ricadute anche in ambito politico.
Portare sulle scene in quell’epoca un re dedito a un libertinaggio “feroce” e un padre che esibisce la sua deformità anatomica e sociale, invece della sua autorevolezza, ma che davanti alla possibilità di vendicare la figlia, rapita dal re e violata anch’essa, non si ferma e progetta la morte del re, è grande insolenza.
Inoltre tra i personaggi minori vi è Maddalena (già il nome è un simbolo), che nella caratterizzazione fatta da Hugo è una prostituta con il compito di attirare il re nell’imboscata tramata dal suo buffone di corte; vi è poi la scena successiva al rapimento di Blanche (anche qua il nome è un simbolo), dove la rapita è nella camera da letto del re: situazione che di fatto allude chiaramente all’atto di deflorazione della “Bianca” virginale fanciulla (Gilda nel Rigoletto). Il tutto culmina nel quadro finale, dove Triboulet/Rigoletto regge la scena da solo, con un sacco che dovrebbe contenere, secondo le indicazioni date al complice del delitto, il corpo esanime del re e invece, sulla strofa cantata in lontananza dal re vivo e vegeto, e quasi protetto da uno scudo diabolico, si scopre essere quello di Blanche/Gilda. Sulla disperazione del buffone cala il sipario.

Questi furono alcuni degli elementi che la censura metterà all’indice e che verranno o attenuati (la figura di Maddalena diventerà una zingara che legge la mano) o eliminati (la “scandalosa” scena della camera da letto) nel Rigoletto verdiano; sarà mantenuta la scena finale, con il solo Rigoletto in ribalta, ma modificata nelle versioni successive alla prima di Venezia.
Il principio della monarchia preso di mira da Hugo non può che essere difeso dalla censura degli Stati italiani e non (traballanti sotto i colpi della Rivoluzione liberale europea e italiana); nell’opera di Verdi, nonostante la sostituzione del re francese con il Duca di Mantova, traspare però con evidenza la “discendenza politica” dall’originale francese, che non sfugge alla censura. Alla critica ideologica di fondo operata da Hugo si accompagna l’”audacia romantica” di portare sulla scena la doppia sventura di un padre deforme/buffone che è il simbolo, assieme all’innocenza tradita della figlia, del mondo violato da un potere così assoluto da non poter essere scalfito, ma da provare assolutamente a scalfire.

Il Viscardello, assieme agli altri due titoli “confezionati” dalla censura borbonica (Clara di Perth e Lionello), rappresenta l’ipocrito espediente di ordire su una trama giudicata immorale, ma di fatto anche - e sottolineo anche - politicamente sgradita, il filo rosso della pruderie e della repressione di un costume e di una società che lo spirito di Verdi e dei nuovi tempi stavano attraversando con potenza e genialità.
E mentre Rigoletto trionferà nei teatri di mezzo mondo, portando appunto in controluce i segni di questi nuovi tempi, Le roi s’amuse dovrà aspettare la fine del secolo per ritornare sulle scene: potenza del melodramma!

Di Marisa Aloi

Per approfondire:
Un caso di censura : il Rigoletto / Mario Lavagetto. - collocazione in Biblioteca Centrale: 10.D.4755
Lettere / Giuseppe Verdi ; a cura di Eduardo Rescigno ; illustrazioni di Giuliano Della Casa. - collocazione in Biblioteca musicale: 809.D.145(5); in Biblioteca Centrale: 13.C.51

Libretti d'opera in Biblioteca musicale, già catalogati

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Victor Hugo, 1876, fotografia di Étienne Carjat (part.)

Giuseppe Verdi, 1866 circa, fotografia di Gaspard-Félix Tournachon (part.)

Mikhail Shuisky nel ruolo di Rigoletto, 1912, fotografia di Yanina Shuisky (part.)

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