Goliarda Sapienza, la gioia dell’arte

Goliarda Sapienza (Catania, 1924 – Gaeta, 1996) è stata una delle scrittrici più controverse e sfaccettate del Novecento, definita da Elena Gianini Belotti come “una scrittrice in anticipo con i tempi”. A sedici anni si iscrisse all’Accademia d’Arte drammatica Silvio d’Amico di Roma, tra gli anni ’40 e l’inizio degli anni ’70 recitò a teatro e al cinema. Negli ultimi anni della sua vita fu docente di recitazione presso il Centro sperimentale di Cinematografia di Roma. In un’intervista pochi anni prima di morire, Goliarda Sapienza disse: “Ho imparato tutto dal cinema, ho imparato a scrivere dalla macchina da presa”. All’inizio della sua carriera da attrice recitava spesso in opere di Pirandello, interpretando personaggi ambigui e contraddittori. Il teatro, il palcoscenico, stare in scena davanti a un pubblico, questi elementi sono stati elementi fondamentali nella vita di Goliarda Sapienza. Nel suo primo libro, Lettera aperta (1967), spiegò cosa significava per lei l’esperienza teatrale: “Il teatro è una vita bruciata in poche ore. Una 'prima' è come una nascita. E quando cala il sipario, sull’ultima battuta dell’attore, è come un funerale tra il profumo di fiori e il marcio delle strette di mano, degli abbracci, delle lacrime. Insomma, quando l’uomo ha inventato il vino, il profumo, ha inventato anche questo concentrato di azioni, passioni, quest’estratto di vita. Per tenerla in pugno almeno per un paio d’ore". 

Negli anni ’60 lasciò la carriera di attrice per dedicarsi totalmente alla scrittura. Il suo primo romanzo Lettera aperta (1967) che raccontava l’infanzia catanese fu poi seguito da Il filo di mezzogiorno (1969), L’università di Rebibbia (1983), Le certezze del dubbio (1987). Uscirono postumi L’arte della gioia (1998), Io, Jean Gabin (2010), Il vizio di parlare a me stessa. Taccuini 1976-89 (2011), La mia parte di gioia. Taccuini 1989-92 (2013). Nel 1980 finì in carcere, dove fu detenuta per tre mesi, per un furto di gioielli in casa di un’amica. Per la scrittrice entrare in carcere aveva il valore di un atto di ribellione, un gesto anarchico nei confronti della società. Per lei la realtà del paese si poteva conoscere andando in ospedale, in manicomio e in carcere; così scrive ne L'università di Rebibbia“Vedi, qui la giornata è così piena di avvenimenti che alla fine diviene come una droga […]. Si torna a vivere in una piccola collettività dove le tue azioni sono seguite, approvate se sei nel giusto, insomma riconosciute [...] non sei sola come fuori […]. Non c’è vita senza collettività, è cosa risaputa: qui ne hai la controprova, non c’è vita senza lo specchio degli altri”. 

In particolare, mi soffermerò sul suo unico romanzo: L’arte della gioia. Goliarda Sapienza iniziò a scriverlo nel 1967 e lo concluse nel 1976, con la revisione finale del marito Angelo Pellegrino. La scrittrice riuscì a far stampare nel 1994 soltanto la prima delle quattro parti del libro, il quale venne considerato troppo sperimentale e immorale. Il libro uscì postumo nel 1998, edito da Stampa Alternativa, grazie al marito. Il successo di Goliarda Sapienza è arrivato postumo, prima all’estero e solo successivamente in Italia. L’Arte della gioia uscì in Germania diviso in due parti, tra il 2005 e il 2006, poi in un’edizione completa nel 2013. Il testo poi venne tradotto in francese da Nathalie Castegnè, L’art de la joie, ottenendo un enorme successo. In Italia è stato pubblicato da Einaudi nel 2008, dopo trentadue anni dalla fine della stesura.

“Ed eccovi a me, a quattro, cinque anni in uno spazio fangoso che trascino un pezzo di legno immenso. Non ci sono alberi né case intorno, solo il sudore per lo sforzo di trascinare quel corpo duro e il bruciore acuto delle palme ferite dal legno. Affondo nel fango sino alle caviglie ma devo tirare, non so perché, ma lo devo fare. Lasciamo questo mio primo ricordo così com’è: non mi va di fare supposizioni o di inventare. Voglio dirvi quello che è stato senza alterare niente”: questo è l’incipit de L’arte della gioia, romanzo che racconta la vita di Modesta (o Mody), a partire dall’infanzia fino all’età matura (dai primi anni del Novecento agli anni ’60). Modesta è una donna che rivendica la propria libertà di persona e di donna, nonostante in quel periodo non fosse affatto semplice affermarsi; Mody ama le donne, gli uomini ed è socialista, l’opera si può definire sovversiva.

“Ecco la strada giusta: bisognava, così come si studia la grammatica, la musica, studiare le emozioni che gli altri suscitano in noi. Il senso di calore e di liberazione che mi invase a questi pensieri mi confermò che avevo scoperto qualcosa di sensato. Chiusi gli occhi e mi vidi correre fra il grano, tremante come una bambina di sette, otto anni”:  Goliarda Sapienza ha scritto un libro fortemente universale e autobiografico allo stesso tempo, i temi de L’arte della gioia si ritrovano in altri libri della scrittrice siciliana, come la cultura, l’amicizia, il senso di giustizia sociale e l’esperienza in carcere. Possiamo considerare Goliarda Sapienza come una scrittrice femminista e Mody come uno dei personaggi femminili tra i più vivi del nostro Novecento. “Goliarda non potrà vedere la sua Modesta in libreria. Ma so che il dolore non è più suo, è tutto mio per lei. Goliarda non è più qui. Però Modesta esiste”: queste sono le parole usate dal marito Angelo Maria Pellegrino, nella prefazione del romanzo, riferendosi alla relazione intima tra Sapienza e Modesta. “Goliarda è in ognuno dei personaggi femminili sconfitti in L’arte della gioia. Ma è anche un po’ in Modesta: nella passione estrema che mette in ogni cosa e nella fissazione di approfittare di ogni attimo per sperimentare ogni passo di quella passeggiata che chiamiamo vita. In una cosa certo non le assomiglia: nel non essere mai stata forte al punto da riuscire a non lasciarsi corrompere da se stessa” scrive Giovanna Providenti in La porta è aperta. Vita di Goliarda Sapienza

Per Goliarda Sapienza scrivere significava rubare il tempo anche alla felicità. Lei scriveva di sé in prima e terza persona, scriveva sulla vita in Sicilia, sul trauma dell’elettroshock subito dopo due tentativi di suicidio e sull’esperienza psicoanalitica: “Goliarda scriveva come leggeva, da lettrice, scriveva per i lettori più puri e lontani, con abbandono lucido e insieme passionale, affettuoso e sensuoso, attenta ai battiti cardiaci di un’opera, più che ai concetti e alle forme” ricorda suo marito nella prefazione intitolata Lunga marcia dell’Arte della gioia.  Nella postfazione, invece, il traduttore e critico letterario, Domenico Scarpa, afferma: “Quando è al suo meglio la scrittura di Goliarda Sapienza è una tessitura priva di cuciture, un intreccio di fili che non si arriva a numerare, un vettore fluviale dove si possono cogliere le vene della corrente che si rilevano e rivoltano cambiando forma al pelo dell’acqua”.

Testo di Samuele Satta, volontario del Servizio Civile Universale 2020/2021

Bibliografia critica