Sibilla Aleramo, la rosa Spirit of Freedom

Ritratto a matita di Sibilla Aleramo, elaborato al computer

«[...] Alfine mi riconquistavo, alfine accettavo nella mia anima il rude impegno di camminar sola, di lottare sola, di trarre alla luce tutto quanto in me giaceva di forte, d'incontaminato, di bello; alfine arrossivo dei miei inutili rimorsi, della mia lunga sofferenza sterile, dell'abbandono in cui avevo lasciata la mia anima, quasi odiandola. Alfine risentivo il sapore della vita, come a quindici anni». (Da Una donna, 1906)

La vita di Rina Faccio (1876-1960), a tutti nota come Sibilla Aleramo, è segnata precocemente da eventi molto drammatici: la morte della madre, sofferente di depressione, ricoverata nel manicomio di Macerata e lo stupro che a 15 anni Rina subisce da un dipendente della fabbrica dove il padre lavorava come direttore. All’abuso segue il “matrimonio riparatore” che la costringe ad una vita squallida in una cittadina anonima e senza alcuna prospettiva sociale o intellettuale. La nascita del primo figlio le offre una illusoria parvenza di miglioramento, presto seguita da una forte depressione che la porta ad un tentativo di suicidio.

È da questo momento che Rina inizia a leggere e soprattutto a scrivere, fortemente coinvolta nelle tematiche femministe che il neonato Partito Socialista promuove attraverso numerose riviste. Inizia corrispondenze importanti con donne e uomini impegnati nella causa della promozione sociale e dell’emancipazione e tenta addirittura di costituire sezioni del Movimento delle Donne proprio nelle Marche. Nel 1898 segue il marito a Milano, città di grande vivacità intellettuale e politica, nella quale si inserisce come direttrice del settimanale socialista «L’Italia femminile», attraverso il quale rilancia e amplifica i tempi dell’emancipazione delle donne. Conosce Filippo Turati e Anna Kuliscioff, Matilde Serao e Ada Negri.

Nel 1900 il marito le impone un nuovo trasferimento nelle Marche, dove subentra al padre di Rina nel ruolo di direttore della stessa azienda. I rapporti sono molto difficili e Rina, sempre più determinata a seguire la propria vocazione e il proprio impegno sociale e politico, abbandona il marito e il figlio nel 1902 e si trasferisce a Roma. Nella capitale inizia una relazione con Giovanni Cena che la incoraggia a scrivere quella che sarà una delle sue opere più famose, il romanzo Una donna. Edito nel 1906, è la vicenda della sua stessa vita, dall’infanzia alla traumatica decisione di lasciare marito e figlio per trovare una propria dimensione. Per la prima volta Rina Faccio compare con lo pseudonimo che userà per il resto della vita: Sibilla Aleramo. La relazione con Cena si conclude nel 1911 e per Rina/Sibilla inizia un lungo periodo di vagabondaggio, di frequentazioni importanti, di relazioni brevi e passionali (Cardarelli, Rebora, Quasimodo, Papini, Boccioni). Allo scoppio della Prima Guerra mondiale conosce Dino Campana, poeta dalla personalità inquieta e segnato già all’epoca da un forte disagio mentale. Nasce con lui una relazione burrascosa, violenta, ambivalente, fatta di passione intensa e furibondi litigi, abbandoni e inseguimenti. Nel 1919, quando Sibilla Aleramo tenta di indurre Campana a seguire una terapia psichiatrica, la relazione finisce.

Nel periodo in cui è legata a Campana, Sibilla Aleramo si allontana progressivamente dalle avanguardie femministe, senza per questo abbandonare i temi che le sono cari. L’avvento del Fascismo la vede inizialmente opporsi ma, dopo la presa di potere di Mussolini, scende a compromessi col regime per sopraggiunte difficoltà economiche: chiede e ottiene dal duce l’ammissione all’Accademia d’Italia e nel 1933 si iscrive all'Associazione nazionale fascista donne artiste e laureate. Nel 1943 però rifiuta di riconoscere la Repubblica di Salò e di seguire il nuovo governo nazi-fascista come ordinatole dal Ministero della Cultura.

Gli anni del dopoguerra la vedono convinta militante nel Partito Comunista Italiano, collaboratrice de «L’Unità» e impegnata come intellettuale sul fronte della pace. Intreccia, negli anni a seguire e fino a tarda età, nuove e intense relazioni sentimentali con donne e con uomini, anche molto più giovani di lei. Una lunga malattia la conduce alla morte nel 1960, all’età di 83 anni. Sarà proprio sul letto di morte che riuscirà a riconciliarsi con il figlio il quale, per molti anni, si era rifiutato di incontrarla. È sepolta a Roma, nel Cimitero del Verano.

L'immagine di copertina è una elaborazione grafica realizzata da Evaluna Lovera.