La rosa che Guido non colse

L’opera di Amalia Guglielminetti non ha posto nelle antologie scolastiche, poesie e prose sono dimenticate. La conosciamo unicamente per l’infelice, appassionato epistolario con il poeta Guido Gozzano. Sono lettere di indubbia qualità nelle quali il poeta, prodigo di virtuosismi letterari e languori, fissa e poi distoglie lo sguardo su di lei in un ambivalente gioco cerebrale di richiami e fughe. Amalia risponde schietta, in una lingua limpida e accurata che mira a rendere chiari i suoi sentimenti. Guido ammicca, Amalia invita, Guido fugge, Amalia insegue. Ma l’opera di questa scrittrice va ben oltre il famoso carteggio, gode di una autonomia poetica e stilistica che meriterebbe maggiore considerazione. Rimasta orfana del padre a soli 5 anni, Amalia viene accolta nella famiglia del nonno, fervente cattolico. La sua educazione avverrà all’interno di istituti religiosi, improntata allo studio e al massimo rigore. Il Novecento però è alle porte, tumultuoso, inquieto, illuminato da rivolgimenti culturali profondi e la giovane, intelligente Amalia morde il freno, sente il bisogno di essere intellettualmente indipendente, di emanciparsi, di liberare il pensiero. Nel 1907 la sua raccolta di poesie Le vergini folli riceve ottimi giudizi di critica, ma fa gridare allo scandalo i perbenisti: le poesie riflettono emozioni, sentimenti e suggestioni legate alla sua educazione conventuale e vengono lette come una provocazione. Il plauso di D’Annunzio, che la definirà l’unica vera poetessa d’Italia, porrà un sigillo a protezione dell’autrice. Affascinato e curioso,Gozzano legge l’opera e cerca il contatto con Amalia: per lui è un fiorire di sentimenti irrisolti, per lei è la visione concreta di un amore.

Ogni successiva opera di Amalia viene accolta con favore, ma la fine del tormentato rapporto con Gozzano interrompe la produzione poetica. Amalia si volge alla prosa. Scrive fiabe per bambini (una attività “riposante”, dice), opere teatrali, romanzi e moltissime novelle la cui lettura, davvero piacevole, può permetterci di scoprire e apprezzare la sua vivace personalità, l’arguzia, l’intelligenza, il gusto e la malizia con cui disegna i suoi personaggi, un album colorato e variegato di uomini e donne borghesi, colti nell’intimità di situazioni a volte minime, familiari e mondane, ma sempre prossimi a cadere in qualche trappola o a tenderne una. Maschi benestanti e ipocriti vengono messi elegantemente alla berlina, giovani uomini facoltosi sono brillantemente buggerati da donne astute e affascinanti. Amanti che tradiscono, amiche che vengono tradite si muovono tra balli e ricevimenti, viaggi e alberghi in cui si gioca, si bara, si mente, si truffa, si vive, si muore. Gli amori romantici nascondono sempre qualche diavoleria truffaldina. Sarebbe un errore considerare queste novelle, talvolta fulminee per brevità, una produzione minore di Amalia Guglielminetti o puri esercizi di stile. Esse riflettono appieno lo spirito del tempo. Se l’ispirazione vera non è sempre la Costa Azzurra, ma piuttosto qualche intrigante salotto torinese dove Amalia coglie al volo ogni discorso ed ogni vezzo, poco importa: è una donna informata, aggiornata, alla moda, con una propensione frizzante alla trasgressione; la forza dirompente, spudorata, provocatoria;che scorre sotto la sua prosa, fa emergere, in uno stile elegante e sciolto, quel tanto di pruriginoso e ipocrita che preme dietro le maschere di morigerate signore e signorine, di notabili austeri e benpensanti. Gozzano non volle cogliere la rosa che Amalia coltivava per lui con passione, energia, intelligenza e cuore. Il poeta che, con ricercata ironia, ci seppe offrire in una celebre poesia l’odore stantio delle «buone cose di pessimo gusto», non ebbe mai il coraggio di abbandonarsi alla vitalità di Amalia, una donna che a quell’odore di chiuso sapeva rimediare togliendo ogni velo ai moralismi, con il passo
leggero ma sicuro di chi, entrando nella sala del gran ballo, non ha paura di danzare da sola.

Testo di Marina Caramello (Biblioteche civiche torinesi)