L'Oriana furiosa

Oriana Fallaci ha la sua rosa al Mausoleo. Un fiore dal colore delicato, i petali elegantemente aperti a sprigionare un profumo che evoca segreti giardini orientali. Eppure Fallaci è occidentale in tutto, nella sua storia personale e familiare, nello stile, nel lessico solidamente ancorato alla nostra lingua, nel peso specifico di ogni parola che rende il suo modo di raccontare personale e immediato, destinato a comporre storie e ritratti espressivi e di facile lettura. Fallaci scrive, fin dagli esordi, con estrema attenzione per il lettore: ogni porta che si apre, ogni personaggio che appare, ogni scenario è destinato a noi; lo spazio che la narrazione costruisce ci include, ci avvolge.

Oriana scrive per raccontare, i fatti sono radicati nella realtà, bella o brutta che sia, il suo lavoro di scrittura li coltiva, li illumina con efficacia narrativa. Oriana Fallaci scrive per tutti e costruisce la storia seguendo scrupolosamente le “cinque W” del bravo cronista: Who? (Chi?), What? (Che cosa?), When? (Quando?), Where? (Dove?), Why? (Perché?). Si attiene a questa griglia professionale, sia che si occupi - come fu nella sua lunga carriera giornalistica - di moda, di guerra, di celebrità, di politica o di cultura. Le sue storie scorrono in una lingua ricca di colore, satura di informazioni, mai faticosa. Fin dagli inizi Oriana Fallaci offre a chi legge uno stile che conquista ogni tipo di pubblico.

Percorrendo la sua biografia è tuttavia impossibile sciogliere il nodo tra la sua tenace ricerca della verità e il suo feroce, scomposto bisogno di libertà. Oriana accorre ovunque la storia lasci un segno e ce ne offre una rappresentazione vivida, avvincente. Nel contempo, rabbiosa, cerca di liberarsi dai lacci della stessa realtà che descrive. In quel momento la cronista fedele è combattuta tra l’evidenza delle cose che si incontrano e si scontrano e il dolore o l’indignazione che salgono dentro di lei. Fallaci è appassionata e schietta, non esita a salire sulle barricate se nell’intimo la realtà infrange le sue aspirazioni, minaccia la sua cocciuta indipendenza. Non si confronta e, se lo fa, vuol vincere ad ogni costo. Competitiva e furiosa, corre da sola dentro la grande Storia. Ma che cos’è questa sua libertà? Da cosa o da chi non vuole essere assoggettata? Non è facile rispondere, perché la parola libertà corre su troppe bocche, nasconde spesso una volontà repressiva secondo la quale essere liberi significa agire senza regole o definirle su una base personale ed esclusiva.

È certo nel nome della libertà ideale che Oriana si lega, nel 1973, ad Alexandros Panagulis, oppositore del regime fascista greco, carcerato e torturato, eroe della resistenza. La loro relazione è tormentata, il figlio che concepiscono non nascerà per il trauma fisico che Oriana subisce durante un litigio. Questo dramma darà origine nel 1975 a Lettera a un bambino mai nato, intensa e controversa opera in cui Oriana mette a nudo dubbi, paure, visioni intorno alla scoperta della propria possibile maternità. Panagulis morirà in un misterioso incidente automobilistico nel 1976 e Oriana sosterrà sempre la tesi dell’omicidio politico premeditato. La figura di Panagulis sarà al centro del romanzo Un uomo, che Fallaci nel 1979 pubblicherà con enorme successo di pubblico, ma anche con numerose critiche sulla sua effettiva qualità di opera letteraria. La breve, passionale, controversa storia con Panagulis riflette in modo limpido il tormento e l’aspirazione di Fallaci alla libertà, un ideale che parte da lontano: figlia di un partigiano socialista, lei stessa – quasi una bambina – opera a Firenze nella Resistenza come staffetta. Rivendicherà sempre questa esperienza anche quando, nell’isolamento e nella malattia a New York, si scaglierà senza mediazioni e senza appello in giudizi definitivi e aggressivi sull’Islam, si rivolterà come una tigre ferita contro i suoi detrattori, ma anche contro i suoi sostenitori, accomunati tutti dal tentativo di relegarla in una definizione, imprigionarla in un qualche serraglio politico.

Oriana è sempre in guerra, in una trincea circolare che si è costruita da sola e nella quale ha per compagni lutti importanti, relazioni interrotte e, negli ultimi anni, il cancro. Le ultime opere - note come la “trilogia” e figlie dell’11 Settembre 2001 - sono, fin dai titoli, l’espressione della sua cieca, angosciosa furia: la forza, la ragione, la rabbia, l’orgoglio, l’apocalisse. Rabbiosa e spaventata, infedele ormai al vademecum del buon cronista, sola e devastata dalla malattia che la sta uccidendo, Fallaci non spalanca più la porta delle sue storie a tutti i lettori e legge i fatti con lenti completamente deformate. L’attacco al mondo occidentale - il suo mondo - diventa una minaccia personale: tutto si fa patologico, il suo tumore si dilata nella rappresentazione dell’Islam come cancro mondiale. Finisce dunque così la brillante, tormentata vita di Oriana? Il suo lascito di scrittrice è forse corroso, inacidito da queste ultime opere stravolte? Forse no. Mentre guerreggia con i suoi fantasmi e la sua disperazione, Fallaci preserva e protegge quella parte di sé che sa raccontare, ne ha il gusto e la forza; raccoglie e compone – proprio negli ultimi difficili anni - una storia familiare antica e densa di figure in cui si riconosce: donne toscane forti e trasversali alla cultura dominante, storie contadine di riscatto e d’amore che si innestano e si sviluppano dentro la Storia d’Italia. Un cappello pieno di ciliege (senza la “i”, per suo espresso volere) viene stampato dopo la sua morte e ci invita a considerare, perfino con tenerezza, quanto le correnti impetuose che hanno attraversato la vita di Oriana Fallaci, il suo istinto di narratrice, il suo stile inconfondibile e accogliente, che hanno tradotto in libri anche le sue tragedie personali, siano più forti dell’angoscia, della rabbia cieca, della sofferenza, della morte stessa.

Le parole sono pietre; Oriana lo sapeva: ha costruito muri ma ha anche creato corridoi, porticati e sentieri ben tracciati per accedere alle stanze della Storia, nella sua rappresentazione più vivida, appassionante, coinvolgente.

Testo di Marina Caramello (Biblioteche civiche torinesi)