Oltre le mura: la poesia che cura

Alda Merini, la poetessa dei Navigli, varca la soglia del manicomio in seguito ad una diagnosi di depressione maggiore. Da questo momento il confine con il mondo esterno diventa sempre più netto e preciso, a marcarlo sono proprio quegli elementi che tanto ricorrono nei suoi scritti e che ben evocano l’aspetto di un limite fisico e mentale. I numerosi cancelli, le porte, le sbarre circoscrivono un mondo a sé, una condizione nuova e diversa dalla realtà esterna. All’interno di quel luogo si perde ogni contatto con il fuori, e tutto resta solo un dentro. La polarità dentro-fuori appartiene così alla condizione di malato e internato. Il manicomio rende tutti uguali, accomunati dallo stesso luogo, dalle stesse forme di cura, dalla psicopatologia e dall’impossibilità di vivere al di fuori di quel posto. Si viene trattati in egual misura, attraverso una continua perdita dell’identità personale e di ciò che caratterizza come individui unici e irripetibili. Tali aspetti vengono ben espressi attraverso versi endecasillabi nella raccolta intitolata La Terra Santa (Scheiwiller,1984), che la poetessa scrive solo dopo aver terminato quello che lei chiama “l’inferno”.

Il dottore agguerrito nella notte
viene con passi felpati alla tua sorte,
e sogghignando guarda i volti tristi
egli ammalati, quindi ti ammannisce
una pesante dose sedativa
per colmare il tuo sonno e dentro il braccio
attacca una flebo che sommuove
il tuo suo sangue irruente di poeta.
Poi se ne va sicuro, devastato
dalla sua incredibile follia
il dottore di guardia, e tu le sbarre
guardi nel sonno come allucinato
e ti canti le nenie del martirio

(Il dottore agguerrito nella notte, in La Terra Santa)

È importante sottolineare come l’aspetto di annullamento venga ben espresso anche con la continua ripresa della tematica del corpo.

Corpo, ludibrio grigio
con le tue scarlatte voglie
fino a quando mi imprigionerai?
Anima circonflessa,
circonfusa e incapace,
anima circoncisa
che fai distesa nel corpo?

(Corpo, ludibrio grigio, in La Terra Santa)

Il corpo è vittima di un decadimento sempre maggiore e viene trattato come qualcosa di svincolato dalla mente e dall’individualità del singolo.

[...] Iddio ti compariva
e il tuo corpo andava in briciole
delle briciole bionde e odorose
che scendevano a devastare
sciami di rondini improvvise [...]

(Laggiù dove morivano i dannati, in La Terra Santa)

Tuttavia, la possibilità di riemergere da questa morte corporea viene espressa attraverso le metafore bibliche che la poetessa utilizza. Risulta interessante come lei descriva la sua esperienza come un martirio e quindi la possibilità di ricongiungersi a Dio utilizzando la sofferenza corporea. In altri termini, il sacrificio e la passione, cosi come è stato per Gesù Cristo, diventano il mezzo per arrivare ad una resurrezione dopo la morte. Inoltre, il corpo e la sua identità subiscono numerose trasformazioni: Alda Merini deve abbandonare il ruolo di madre e quindi di sé come capace di generare, e assumere quello di malata, incapace di occuparsi delle sue figlie da cui viene allontanata.

[...] Ma io non perdonerò mai
e quel bimbo mi fu tolto dal grembo
e affidato a mani più “sante”
ma fui io ad essere oltraggiata
io che salii sopra i cieli
per aver concepito una genesi [...] 

(Il mio primo trafugamento di madre, in La Terra Santa)

L’internamento quindi annulla ogni aspetto di sé vitale e la porta in un nuovo mondo che diventa però inesprimibile. Tuttavia, la scrittrice ritrova nella poesia la sua forza vitale e la possibilità di riprendere il contatto con la realtà esterna.

Gli aspetti della morte sono talvolta abnormi,
ma non dovrebbe passare giorno
senza aggiungere qualcosa
al nostro staio di grano,
da stranieri benevoli e confusi,
ma oggi io non ho dato nulla
perché ospitavo la morte,
la sua sostanza grigia mi ha investito:
una pietra che dava lacrime,
allora ho tremato a lungo
al pensiero di non scrivere più
e poi ho tremato ancora
quando ho cominciato a scrivere

(Gli aspetti della morte sono talvolta abnormi, in La Terra Santa)

L’opportunità di dedicarsi alla scrittura viene sostenuta da quello che lei soprannomina il Dott. G. Quest’ultimo riconosce uno degli aspetti più significativi dell’individualità della Merini: l’importanza della scrittura. Scrivere era stato da sempre per la poetessa fonte di desiderio e dedizione, su cui però non aveva mai ricevuto l’appoggio e il sostegno, soprattutto da parte della sua famiglia di origine che la considerava un’attività poco remunerativa. Pertanto, la possibilità di ricontattare quella parte della sua identità, proprio durante il periodo di internamento, permetterà a lei di svincolarsi da quel dentro che la rendeva poco viva, riappropriandosi di un qualcosa che potesse oltrepassare le mura del manicomio. La poesia rappresenta ancora una volta una forma di resurrezione per lei, e la possibilità di vincere sulla malattia mentale. La scrittura allora diventa il mezzo che cura e la rende viva riportandola poi in una nuova condizione. È interessante, inoltre, come la raccolta sia stata scritta quando la poetessa abbandona il manicomio, quindi attraverso il contatto con il mondo fuori lei riesce a focalizzarsi e riflettere su quanto sia successo dentro: una strada nuova per ritornare a vivere e soprattutto ad amare. Con i versi emerge la sua voce interiore, che si ribella e attraversa il dolore in una nuova forma curativa. In altre parole, l’anima di scrittrice riprende vita in un corpo teso allo spegnimento e alla morte, che le permetterà di allontanarsi con la mente da ciò che il corpo stava vivendo e soprattutto subendo. Il corpo e l’anima quindi si ricongiungono in una sorta di armonia attraverso nuove sensazioni suscitate dalla poesia e dalla scrittura.

La poesia è vita e la vita è poesia

(Un’anima indocile. Parole e Poesie, La vita felice, 1996)

Testo di Chiara Donadio, volontaria del Servizio civile universale 2020/21

Bibliografia essenziale: