Django Reinhardt: storia di un talento assoluto
Per me, non è possibile non parlare della vita di un musicista se si vuole comprendere fino in fondo la sua musica, la sua essenza artistica. Questo perché la musica “son fatti di vita“, è il prodotto di esperienze, vissuti, incontri, caratteri, allucinazioni, sogni, speranze, sofferenze, condivisioni. L’esempio di Django Reinhardt fa capire quanto il talento assoluto, l’ostinazione, il destino - per chi ci crede - chiamino all'appello dei grandi della musica un ragazzo, nato in una carovana nel gennaio del 1910, da una famiglia di etnia sinti.
Dopo un lungo girovagare in varie nazioni europee, la sua carovana si fermò presso la periferia di Parigi, città che fu scenario quasi della sua intera carriera. Una notte, la roulotte di famiglia fu divorata da un incendio; Django riportò gravi ustioni, tanto da perdere l'uso della gamba destra e di parte della mano sinistra. Ancora giovanissimo, rifiutò fermamente l'amputazione di mano sinistra e piede destro e, superando fortunosamente il rischio di cancrena che gli si prospettava, passò la lunga convalescenza a letto ad inventare una tecnica che gli consentisse di suonare la chitarra con l'uso di sole due dita della mano sinistra (indice e medio). L’anulare ed il mignolo, distrutti dal fuoco, furono saldati insieme dalla cicatrizzazione.
Come Stéphane Grappelli raccontò in seguito, Django impiegò degli anni per imparare a portare sopra la tastiera anulare e mignolo, semi-atrofizzati, per integrare le parti ritmiche sulle prime due corde. Questa limitazione può essere però considerata un prodigio, se si pensa che la sua mano si salvò grazie ad un'operazione chirurgica disperata, con l'anestesia al cloroformio ed una rieducazione autoimposta durante la convalescenza ospedaliera di diciotto mesi: la mano sinistra è per un chitarrista non mancino la mano con la quale muove gli accordi sulla tastiera della chitarra!
Questo incidente fu destinato a cambiare la storia stessa della chitarra jazz. Nonostante le dita atrofizzate, o forse proprio grazie a queste, egli sviluppò una tecnica chitarristica rivoluzionaria e del tutto particolare. A metà degli anni ’30, dall'incontro tra il violinista Stéphane Grappelli e Django Reinhardt nasce un quintetto di soli strumenti a corda, denominato Le Quintette du Hot Club de France che s'impone a livello internazionale come il primo importante gruppo jazz non americano
Sull'onda di questo successo, Reinhardt si rivelò come uno dei musicisti europei più talentuosi nel jazz tradizionale. La musica di Reinhardt era eccitante, carica ora di tensione, ora di leggerezza, quasi eterea e si aveva come l'impressione che egli, nell'improvvisazione, suonasse come se avesse lo spartito davanti. Utilizzava una forma particolare di ritmo percussivo la pompe (la pompa) che dà alla musica la sensazione di oscillazione rapida.
Subito dopo la seconda guerra mondiale, venne invitato negli Stati Uniti da Duke Ellington, che lo presentò come ospite in alcuni concerti, l'ultimo dei quali alla Carnegie Hall di New York.
Con l'avvento del bebop, Reinhardt diede ulteriore prova di maturità ed originalità artistica, incidendo dei brani memorabili con la chitarra elettrica: la poesia Manouche, miscelata alle sonorità più moderne, fa di quegli assolo una delle pagine più originali del jazz dell'epoca. Famose le incisioni al Club St. Germain del 1951 e le Paris Sessione del marzo e aprile 1953. Brani come Le Fleché d'or, Crazy Rithm, Brazil, September Song, mostrano un grande dominio del linguaggio jazz, oltre ad un'ottima dimestichezza con i nuovi mezzi tecnici, soprattutto l'amplificatore che all'epoca (1950) era una innovazione piuttosto recente.
Tra i suoi brani più celebri: Minor Swing, Manoir de mes rêves, Tears, Nagasaki, Belleville e soprattutto Nuages. Reinhardt è ricordato sia come un eccezionale virtuoso del proprio strumento, sia come compositore fertilissimo.
L'originale stile di Django Reinhardt, acclamato da musicisti di tutti i generi come geniale ed innovativo, fu il risultato delle influenze tzigane ereditate dalla sua vita immersa nella tradizione gitana e delle contaminazioni della sua vastissima cultura in musica classica .
Egli fu il primo gitano a conoscere la gloria riservata ai musicisti più popolari, e il primo a uscire dalla culla del jazz francese con l'Hot Club de France di Stéphane Grappelli. In un'intervista al mitico chitarrista dei Deep Purple, Ritchie Blackmore, alla domanda da chi avesse tratto l'ispirazione musicale, rispose che come influenza chitarristica aveva preso a modello Django Reinhardt.
Presso la biblioteca civica Dietrich Bonhoeffer è presente il cd raccolta Django Reinhardt e il cd doppio L’Orde Django in cui sono presenti moltissimi brani da lui suonati.
Ascoltatelo in macchina, o mentre pranzate con amici come sottofondo o in cuffia mentre fate attività fisica... Django scatenerà in voi una giornata di sole! Ascoltatelo e be happy!
Testo di Giacomo Aime, con la collaborazione di Paolo Barile.