Annalisa Ambrosio a Leggermente, 12 dicembre 2023

Annalisa Ambrosio

Nell'ambito del progetto Leggermente, il Gruppo di lettura Villa Amoretti ha incontrato Annalisa Ambrosio - direttrice didattica di Academy, corso di laurea in scrittura della Scuola Holden - in occasione della presentazione de Lo spazio tra le cose. Aristotele e la felicità del cambiamento (Treccani, 2023). 

Se in Platone. Storia di un dolore che cambia il mondo (Bompiani, 2019), Ambrosio raccontava di Aristocle, vero nome di Platone, e di come l'allievo abbia trasformato il dolore per la morte di Socrate attraverso la narrazione dialogica del suo maestro, cercando di «costruire un posto dove un giusto non possa mai venire ammazzato», in Lo spazio tra le cose l'autrice mette in atto un vero e proprio cantiere filosofico sul binomio aristotelico Potenza/Atto. 

La coppia aristotelica Potenza/Atto è talmente entrata nel nostro patrimonio comune di conoscenze, che a prima vista non ci appare possibile risignificarla, giacché la usiamo in tanti ambiti, da sempre: quando a scuola l'insegnante afferma che l'allievo ha delle potenzialità ma non si applica, o quando noi stessi ci stupiamo di trovare gratificazione in una attività sportiva o artistica che non avevamo mai praticato. Ambrosio, con felicità di scrittura e di pensiero, ha esemplificato la possibilità di applicare la prospettiva potenza/atto in diversi ambiti del nostro vivere quotidiano e relazionale e soprattutto ha indagato «la zona di passaggio dalla potenza all'atto», lo spazio tra le cose appunto, «che separa [...] la possibilità dalla realtà». Lo spazio tra le cose, quello in cui le cose stanno per accadere ma non sono ancora accadute, è luogo segreto, di penombre e sfumature, in cui però - se vi si pone la giusta attenzione - si possono cogliere gli indizi di un'amicizia nascente - da sostenere - o di un sentimento triste e velenoso, da combattere. Anche nei periodi di apparente stasi e immobilità, tra «il punto A e il punto B c'è la vita che continua a scorrere, le cose che si vedono e che non si vedono convivono insieme, come parti integranti della realtà che abitiamo». 

L'affermazione di Ambrosio relativa alla permanenza dell'identità nel cambiamento, ha diviso il gruppo di lettura in due posizioni differenti. Scrive Ambrosio che «c'è qualcosa di nostro che resta identico. Si passa attraverso il cambiamento restando se stessi». Secondo Ambrosio - e con lei alcuni partecipanti al gruppo di lettura - gli accidenti non cambiano la sostanza, per usare un linguaggio aristotelico. Altri lettori del saggio si sono invece chiesti che valore abbia il caso - l'imprevisto esistenziale - all'interno del dispositivo potenza/atto ed hanno sottolineato la non perfetta coincidenza fra potenzialità e possibilità; quest'ultima sembra infatti essere più ampia della potenzialità, che può inoltre essere stabilita sempre e solo a posteriori, quando diviene Atto. La potenzialità in Aristotele sembra essere una versione forte della possibilità, un processo ontologicamente inerente all’Ente che, se nulla interviene ad impedirlo, si manifesterà come Atto: «Aristotele è arrivato a pensare che nella realtà tutto funziona come un seme» scrive Ambrosio. Applicata agli esseri umani la teoria del seme ricorda molto la teoria della ghianda contenuta ne Il codice dell’anima dello psicanalista junghiano James Hillman, secondo la quale ciascuno di noi perché porta con sé un disegno al quale non si può sottrarre (uno dei capitoli è dedicato al tema del Cattivo Seme). «L'individualità risiede in una causa formale, per usare il vecchio linguaggio filosofico risalente ad Aristotele», scrive Hillman, che si ispira anche al mito platonico di Er, secondo il quale l’anima di ciascuno di noi sceglie un 'compagno segreto', un daimon - che può essere anche malvagio - e nel testo vengono indagati a fondo i temi della prevenzione e della consapevolezza del Male.

Alcuni partecipanti al gruppo hanno sottolineato, dal punto di vista esperienziale, di non riconoscersi affatto in quello che erano prima di un certo mutamento: come ha messo bene in luce la filosofa francese Catherine Malabou in Ontologia dell’accidente. Saggio sulla plasticità distruttriceun trauma, un incidente, una malattia, una separazione dolorosa possono cambiare il corso di una vita irreversibilmente. Possono l'accidentale e il fortuito farsi sostanza e contribuire alla costruzione dell’essenza individuale? Manteniamo aperta questa domanda.

Una delle tante invenzioni aristoteliche sottolineata da Ambrosio è quella delle categorie. Ancora oggi noi usiamo le categorie per dividere la realtà in sottoinsiemi, in gruppi di individui, di cose, di concetti, appartenenti a uno stesso genere, specie, tipo o classe. Nella discussione di gruppo qualcuno ha trovato scontate e anacronistiche le categorie aristoteliche, rifacendosi anche alla posizione di Piergiorgio Odifreddi per il quale hanno solo un valore grammaticale (cfr. Il diavolo in cattedra. La logica da Aristotele a Gödel) ma è innegabile che classificare sia anche molto utile quando gli oggetti sono numerosi. «Le  categorie - scrive Ambrosio - sono uno strumento estremamente potente, perché grazie ad esse si può ordinare il mondo e si possono scrivere i dizionari». Aggiungerei che i libri delle nostre biblioteche territoriali sono disposti sugli scaffali, a disposizione di lettrici e lettori, proprio grazie alla suddivisione della conoscenza in categorie, attuata grazie alla Classificazione Decimale Dewey, dal nome del suo inventore. Il pensiero di Melvil Dewey (1851-1931), inevitabilmente occidentalocentrico, è caratterizzato da una fiducia assoluta nella ragione e una visione democratica della conoscenza e dell'educazione. La sua classificazione trae spunto dalla struttura della conoscenza già sottolineata da Francesco Bacone nel Novum Organum, che a sua volta intendeva rifondare l’Organon di Aristotele (che raccoglieva le sei opere di Logica). E quindi, come bibliotecari, non possiamo che ringraziare Aristotele, che oltretutto fu uno dei massimi collezionisti di libri dell’antichità e può considerarsi l’inventore della biblioteca così come la conosciamo oggi (cfr. The library of Aristotle. The most important collection of books ever formed e The great libraries: from antiquity to the Renaissance dello storico del libro Konstantinos Staikos). 

Molto belle le pagine di Ambrosio sul discorso interiore, una conversazione continua che abbiamo con noi stessi - di cui l'autrice traccia una sorta di fenomenologia - descrivendo come idee e soluzioni brillanti arrivino alla nostra coscienza e come, riversando «i pensieri sulla carta», srotolando «il filo del discorso interiore», utilizziamo la scrittura come pratica chiarificatrice e disciplinatrice, prendendo distanza dalle cose che accadono e interpretandole. Soprattutto se la nostra scrittura è di tipo diaristico, rileggendoci, avremo la possibilità di vedere le tante identità presenti in noi ed essa si configurerà come intrinsecamente dialogica (su questo tema cfr. C. Capello, Il Sé e l'Altro nella scrittura autobiografica). Per certi versi la pratica della scrittura è anche ricollegabile alla catarsi, così come è introdotta nella Poetica da Aristotele, che si verifica nello spettatore quando fa un'esperienza estetica e vede rappresentate nei personaggi teatrali le proprie stesse emozioni, alleviando un carico emozionale potenzialmente nocivo.

Abbiamo senz'altro colto, nel saggio di Ambrosio, il pregio di agevolare un pensiero ottimista sulla realtà senza dimenticarne la complessità: niente viene dal niente e «se c'è uno spazio tra le cose, significa che in questo spazio possiamo intervenire». 

Testo di Stefania Marengo (Biblioteche civiche torinesi)

La registrazione dell'incontro con Annalisa Ambrosio è avvenuta a cura delle Biblioteche civiche torinesi. Il video è stato pubblicato sul canale YouTube delle BCT. L'evento si è svolto in collaborazione con Libreria Gulliver