Maddalena Vaglio Tanet a Leggermente, 8 maggio 2024
«Queste note nei giorni
sono briciole
per ritrovare il sentiero
lungo il bosco degli anni».
(Valerio Magrelli, Nature e venature, in Le Cavie)
Nell'ambito del progetto Leggermente, Maddalena Vaglio Tanet ha presentato Tornare dal bosco (Marsilio, 2023) - libro incluso tra i dodici candidati al Premio Strega 2023 - in dialogo con il Gruppo di lettura Villa Amoretti.
Il romanzo - una memoria familiare che prende ispirazione da un fatto di cronaca realmente accaduto - utilizza il bosco come luogo archetipico per costruire una storia sulla possibilità di riparare la propria identità ferita. Siamo nel 1970, in ottobre, a Bioglio, nel biellese. A far saltare in modo drammatico l’ordine naturale delle cose è il più innaturale degli eventi: Giovanna, una bambina dell’ultimo anno delle elementari, si è suicidata. Quando la maestra Silvia Canepa trova, sulla prima pagina del giornale, la notizia della morte della sua allieva - a cui era particolarmente legata - decide di non andare a scuola, di prendere distanza dal consorzio umano e di addentrarsi nel bosco: «Invece di andare a scuola, la maestra entrò nel bosco». Coprotagonista della storia è un ragazzino, Martino, trasferitosi da Torino in cerca di «aria buona»; Martino si inoltra nel bosco alla ricerca della maestra Canepa per diventare un eroe e «guadagnarsi la stima e la gratitudine» di tutti ma poi - pur ritrovandola - manterrà il segreto, dando tempo alla maestra di autodeterminarsi; non diverrà un eroe ma in qualche modo assumerà la forma dell'«aiutante magico» e del «donatore» delle fiabe (cfr. V. Propp, Morfologia della fiaba) portando alla maestra il cibo della sopravvivenza.
In esergo alla sua storia Maddalena Vaglio Tanet pone i versi di due poetesse (Amelia Rosselli e la contemporanea Azzurra d’Agostino), rivelando alcune chiavi d’accesso al libro: da un lato la potenza simbolica e poetica del bosco e dall’altro il dialogo con i morti.Il bosco da sempre - sia nella tradizione letteraria che in quella favolistica popolare - contiene in sé un groviglio di significati (cfr. il capitolo La foresta misteriosa in V. Propp, Le radici storiche dei racconti di fate). Si presta a suggestioni simboliche, allegoriche, metaforiche e si trasforma spesso in una sorta di terra di mezzo: accoglie il viaggiatore nel suo momento di smarrimento, diventa zona di confine fra mondo terreno e ultraterreno; una cosa è certa - così come è accaduto alla maestra Silvia Canepa - non si esce dal bosco così come si era entrati. «Per le spicce: L’ultima mia proposta è questa:/ se volete trovarvi,/ perdetevi nella foresta» scrive Giorgio Caproni.
Da un lato Vaglio Tanet descrive con precisione l’ambiente boschivo (chi conosce i boschi ci si ritrova) ma questa precisione non va incontro a una mera esigenza realistica; al contrario, ogni immagine boschiva trasporta in una dimensione onirica e fiabesca. L’eroe della fiaba, «sia esso il principino, oppure la figliastra scacciata di casa, oppure il soldato disertore, si ritrova invariabilmente in una foresta, e per l'appunto in essa hanno principio le sue avventure» scrive Propp nel saggio Le radici storiche dei racconti di fate. Per Martino infatti il bosco torna ad essere «quello delle fiabe [...] dove i bambini si smarriscono e vengono abbandonati» - scrive Vaglio Tanet - ma anche diventano grandi. Compaiono nel testo alcuni riferimenti alle fiabe dei fratelli Grimm: Il ginepro, una potente fiaba sui temi della nascita, morte e rigenerazione, e - proprio nel finale - La vergine Malvina, una delle tante varianti di Raperonzolo, con protagonista una principessa imprigionata che conquista - dopo dure prove - la sua salvezza.
Il bosco delle favole «circonda l'altro mondo» e «la strada che passa per l'altro mondo passa attraverso la foresta» (V. Propp, Le radici storiche dei racconti di fate): questo altro regno, per Propp, è il mondo dei defunti. Nella prima pagina di Tornare dal bosco la maestra Canepa sente i propri passi «come se venissero da sottoterra»,come se «qualcuno da sottoterra bussasse». Per la maestra il bosco è anche un luogo familiare («Del bosco invece non aveva paura, era cresciuta in anni in cui si usava, così come si usavano i pascoli e i campi»), consueto e funzionale alla vita (per la raccolta di funghi, lumache, castagne) e diventa per lei luogo trasformativo, di rigenerazione e di metamorfosi. La maestra Canepa sembra quasi trasformarsi, agli occhi di Martino, in un organismo vegetale, in «un pezzo di bosco» e lei stessa vorrebbe «perdere consistenza, sfaldarsi lentamente»: «Il maglioncino è quasi muschio, la pelle bianca e gelida, da biscia». I processi trasformativi del bosco sono connessi anche alla sua vitalità: « [...] essere avariati è uguale ad essere vivi. Il danno ricevuto testimonia l’esistenza: i parassiti, la muffa, i graffi, le ulcere, i denti traballanti, i nodi di pelo infeltrito, le ali menomate, le sciancature. Non c’è nulla di integro se non, talvolta, l’embrione, la gemma dura e chiusa, la spora». La vita è strettamente connessa all'imperfezione e così la maestra Canepa riuscirà ad accettare di stare conficcata nella vita di sbieco, «come una vite spanata».
Il cibo che nelle fiabe viene consumato nei boschi è spesso «un genere speciale di cibo». Propp indica che questo è il «cibo dei morti» che conferisce forza magica e permette all’eroe di entrare nel regno dei defunti, certificandone in un certo senso l'onestà degli intenti. Il desiderio di nutrimento è anche, più semplicemente, la prima risposta indotta dall'istinto di sopravvivenza: pur avendo fame la maestra Silvia in un primo momento non vorrebbe aprire il pacchettino di cibo che le ha lasciato Martino: «Essere vista mentre mangiava voleva dire ammettere la sua resa alla sopravvivenza del corpo. Cos'é la pena davanti a una fetta di torta?» Dopo alcuni giorni dalla scomparsa la maestra raccoglie un sasso e lo assaggia, poi un grumo di terra, poi foglie e paglia: i sassolini le ricordano «le finte caramelle di Giovanna», che recuperava gli incarti di caramella gettati dai compagni. Se il cibo portato da Martino riporta alla vita, solo dopo aver assaggiato il nutrimento dei morti - i sassolini e la terra - la maestra esprimerà a Martino il suo senso di colpa per la morte della sua allieva. Questo percorso compiuto dalla maestra Silvia - analogo al fenomeno della «morte temporanea» presente nei racconti fiabeschi - ha in sé una dimensione affine a quella delle tragedie greche e l'avvicina al percorso compiuto da Edipo nella tragedia sofoclea Edipo a Colono dove Edipo, ormai cieco, giunge nel bosco sacro di Colono, sorretto dalla figlia Antigone, figlia e sorella. Qui dopo aver ripensato alla sua esistenza - sospesa fra innocenza e colpa, scelta e destino («[...] mali enormi ho sofferto. Ma sappia il dio che nella colpa non c'era la mia volontà. Niente avevo scelto») - Edipo compie i riti di purificazione e conclude la sua vita, quasi pacificato dall'assunzione di colpe non sue. La sua morte rimane avvolta dal mistero: «Su di lui si è fermata l'ombra, un'ombra dolce e poi l'ha rapito giù verso una sorte ignota» commenta Antigone. La maestra, come Edipo, non ha colpa ma i fatti sono irreversibili, è stata lei ad avvisare la madre di Giovanna per l'assenza ingiustificata della ragazzina: l'intenzione - da un punto di vista psichico - conta ben poco, a pesare è il danno oggettivo che chiunque può infliggere senza averne volontà, considerato che persino le suore mortificanti del collegio - in cui la maestra Silvia ha studiato - sono state migliori di lei perché «con tutto quello che hanno combinato non hanno avuto un'alunna morta suicida» mentre lei sì.
Il capanno nel bosco - in cui la maestra Canepa trova rifugio - si trasforma in una stanza del «malardriss», del cattivo riordino di tutti i ricordi accumulati - una vera e propria selva di ricordi - e agisce come un catalizzatore di pensieri rispetto all'irrisolto della propria esistenza. «Il bosco dei miei pensieri è in fiamme» scrive Valerio Magrelli (in Ora serrata retinae, dal volume Le Cavie che raccoglie sei raccolte della produzione poetica di Magrelli); dopo l'incendio purificatorio - continua Magrelli - «bisognerà liberare il suolo, curarlo, coltivarlo e attendere con affettuosa cautela nuove piante». Magrelli è peraltro un autore che Vaglio Tanet ha ben studiato nel suo lavorare sul tema della metamorfosi e trasformazione, sia fisica che spirituale: «Dunque il dolore è metamorfosi / e le sue cause si susseguono / non viste mostrandosi / per quello che non sono.» scrive Magrelli in Se io venissi a mancare a me stesso (in Ora serrata retinae, 1980).
Alcuni partecipanti al gruppo sono stati molto severi nel giudicare la crisi esistenziale della maestra Silvia, reputandola persona poco equilibrata e dunque poco adatta all’insegnamento; altri invece hanno messo in luce il tema liberante e catartico dell’imperfezione. È bene qui ricordare che un gruppo di lettura non arriva mai ad una verità comune e definitiva sui testi ma piuttosto - attraverso una sorta di cooperazione interpretativa - accosta punti di vista diversi che consentono un grado di maggiore conoscenza del testo stesso. La prospettiva rappresentata da Gianni, uno dei personaggi del libro con cui l'autrice ha voluto rendere omaggio a Beppe Fenoglio, è illuminante: «Disse che non poteva parlare come un medico, uno psichiatra, ma soltanto come uno che osserva le persone e legge libri. Secondo lui la follia non era qualcosa di estraneo alla gente sana di mente, ma una possibilità che stava dentro ciascuno». A chi non è mai capitato di voler scomparire per un po’, di nascondersi, di fuggire dal mondo per fare i conti - in solitudine - con una occorrenza esistenziale difficile da accettare? Il disagio esistenziale appartiene all'esperienza umana: anche la più integrata cognata di Silvia, Luisa, pur essendo moglie e madre felice, a volte «si era chiesta cosa ci facesse lì, e con lì intendeva nella sua vita».
L'autrice in realtà dissemina, lungo tutta la storia, le molte qualità positive della maestra; all'interno del gruppo di lettura abbiamo cercato di individuarle tutte:
- Silvia Canepa è una maestra consapevole dei propri limiti: «Per fare la maestra non occorre essere la migliore della classe», dice Silvia a Martino;
- è attenta anche agli allievi più fragili come Giovanna;
- tratta con rispetto la sofferenza altrui: è l'unica, dopo la perdita del primo figlio della cognata Luisa, che non cerca di minimizzare la sua sofferenza - consolandola inutilmente - ma semplicemente le sta silenziosamente accanto
- la sua capacità attenzione e di ascolto sono assoluti («Si interessava agli altri senza riserve [...]. Non faceva nessuna differenza che il suo interlocutore fosse un bambino») ma nel contempo rispettosi della visione del mondo altrui: «Non dava mai consigli» tuttalpiù chiedeva notizie e aggiornamenti.
- da ragazzi, nella primavera del 1944, Silvia salva il cugino Anselmo dai repubblichini a caccia di disertori sulla tramvia fra Biella e Oropa: Anselmo non ha con sé un documento di identità e dimostra ben più dei suoi 13 anni, così Silvia coraggiosamente sottolinea di fronte ai repubblichini che è solo un ragazzino ed è suo cugino
- è sempre coraggiosa se deve aiutare gli altri: nel bosco interviene e fa scappare un cinghiale che ha spaventato Martino.
Il personaggio di Martino è inventato: nella realtà della cronaca nessun bambino ha mai trovato la maestra rifocillandola con piccole offerte di cibo. Questa invenzione narrativa, innestata su una vicenda reale, ricorda Il grande viaggio, opera in cui Jorge Semprun inventa il personaggio del ragazzo di Semur, per avere - se pur solo nella finzione letteraria - un amico nel viaggio di cinque giorni da Compiègne a Buchenwald. Probabilmente Vaglio Tanet ha inventato il personaggio di Martino perché la cugina di suo nonno potesse avere una presenza amica a cui confidare la propria sofferenza, un bambino - come simbolo dei suoi molti allievi passati e futuri - che le potesse fare compagnia durante l’elaborazione del trauma. La letteratura serve anche a questo, a porre rimedio alla realtà, ad aggiustarla un po’, laddove la realtà si sia dimostrata più avara e carente.
Testo di Stefania Marengo (Biblioteche civiche torinesi)
La registrazione dell'incontro con Maddalena Vaglio Tanet è avvenuta a cura delle Biblioteche civiche torinesi. Il video è stato pubblicato sul canale YouTube delle BCT. L'evento si è svolto in collaborazione con Libreria Gulliver e con casa editrice Marsilio.
Maddalena Vaglio Tanet ha studiato letteratura all’Università di Pisa e alla Scuola Normale. Si è poi trasferita a New York per un dottorato alla Columbia University. Ha scritto una tesi sull’opera in versi e in prosa di Valerio Magrelli ed una tesi sull'opera plurilingue di Amelia Rosselli. Ha vissuto a Berlino per molti anni e da poco si è trasferita nei Paesi Bassi (Maastricht), dove lavora come scout letteraria. Ha pubblicato poesie in italiano e tedesco, oltre ai libri illustrati Il cavolo di Troia e altri miti sbagliati (Rizzoli 2020, finalista al premio Strega Ragazzi 2021 come miglior esordio), Casa musica (come un papero innamorato) (Ri Raum Italic, 2022) e Rim e le parole liberate (Rizzoli, 2024).Tornare dal bosco (Marsilio, 2023) è il suo primo romanzo.