Ripensare la globalizzazione. La globalizzazione ha una storia

Richard Baldwin

L'economista Richard Baldwin, che si occupa di storia della globalizzazione in un libro intitolato La grande convergenza. Tecnologia informatica, web e nuova globalizzazione (Il Mulino, 2018), sarà uno dei relatori del Festival Internazionale dell'Economia 2023. La tesi di Baldwin sintetizzata nel titolo è che «la globalizzazione compì un balzo in avanti agli inizi degli anni ’80 dell’Ottocento, quando la macchina a vapore e la pace globale ridussero i costi del trasporto dei beni». Questa globalizzazione produsse una divergenza tra paesi: «le antiche civiltà asiatiche e mediorientali, che da quattro millenni dominavano il mondo, in meno di due secoli furono soppiantate dai moderni Paesi ricchi». Un esito che gli storici definiscono la ‘grande divergenza’ e che Baldwin descrive nei primi due capitoli del libro. Ma alla fine del Novecento «i cambiamenti rivoluzionari verificatisi nella tecnologia della comunicazione hanno determinato un sostanziale mutamento della globalizzazione [...], la posizione di supremazia dei paesi ricchi è tornata al livello del 1914, una tendenza che potremmo definire la 'grande convergenza’ e che è all’origine di gran parte dell’avversione per la globalizzazione nutrita da una parte della popolazione dei paesi ricchi e del carattere aggressivo assunto recentemente dalle realtà etichettate come ‘mercati emergenti’». A questa ‘grande convergenza’ è dedicato il corpo centrale del libro, che ne spiega le cause, le dimensioni, gli effetti economici, sociali e politici.

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Richard Baldwin. La grande convergenza. (Il Mulino  2018) e Jurgen Osterhammel, Niels Petersson.  Storia della globalizzazione. Dimensioni, processi, epoche  (Il Mulino, 2005)

Della globalizzazione si sono occupati anche gli storici Jurgen Osterhammel e Niels P. Petersson, che nel libro Storia della globalizzazione (Il Mulino, 2005) spiegano perché la parola ‘globalizzazione’ abbia conosciuto particolare fortuna a partire dagli anni Novanta e come intorno a questo concetto siano stati esaminati processi essenziali come l’indebolimento degli Stati nazionali rispetto alle forze di mercato o l’omologazione culturale sul modello anglosassone. Nel libro si parte dalla globalizzazione che precede la rivoluzione industriale - favorita dalla creazione di grandi imperi, commerci a lunga distanza e credenze religiose estese su vasti territori - per concludere con la globalizzazione di fine Novecento, che per via della diffusione delle nuove tecnologie ma anche di processi geopolitici come la fine dell’URSS configura una possibile ‘età globale’.

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 Jeffrey Sachs. Terra, popoli, macchine. Settantamila anni di globalizzazione. e  Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni (Einaudi, 2006)

Il libro di Osterhammel e Petersson viene scritto agli inizi del XXI secolo. Quindici anni dopo, l’economista Jeffrey Sachs torna alla storia con Terra, popoli, macchine. Settantamila anni di globalizzazione (Luiss University Press, 2020). Il saggio, scritto poco prima dello scoppio della pandemia, si propone di restituire in maniera divulgativa tutta la complessità della globalizzazione che, come scrive Sachs, «è la storia delle gloriose imprese e delle atrocità compiute dall’umanità, dei danni che a volte ci siamo inflitti da soli e della complessità del progresso umano che avviene nel mezzo di continue crisi. La globalizzazione, potremmo dire, prevede l’intricata interazione tra geografia fisica, istituzioni umane e conoscenze tecniche», come in un certo senso il fenomeno globale del Covid-19 ci ha mostrato. E in effetti, nel suo viaggio dagli albori delle civiltà a oggi Sachs evidenzia la forte correlazione tra i fenomeni naturali e geografici, lo sviluppo tecnologico e le trasformazioni sociali politiche ed economiche. Un insieme di relazioni che si ritrova in un altro libro, Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni (Einaudi, 1997, nuova ed. accresciuta, 2006), scritto questa volta da un biologo, Jared Diamond, che prende le mosse dalla domanda che un giorno gli rivolge Yali, un uomo politico della Nuova Guinea: «Come mai voi bianchi siete così tanto più ricchi di noi?».

Nel libro Diamond ripete più volte che non c’è un’unica risposta ma in conclusione scrive «che le società umane hanno avute storie differenti a causa della geografia e dell’ecologia, non delle peculiarità biologiche dei vari popoli. La tecnologia, le forme di governo centralizzate e altre caratteristiche tipiche delle civiltà complesse si sono potute manifestare solo in presenza di grandi agglomerati di popolazioni sedentarie, in grado di accumulare surplus alimentari grazie all’agricoltura e all’allevamento (due invenzioni che risalgono all’8500 a.C. circa). Ma le piante e gli animali essenziali per queste attività non erano disponibili ovunque nel mondo. Le specie più preziose erano concentrate in sole nove aree limitate del pianeta, che divennero così le culle dell’agricoltura. Gli abitanti originari di tali zone ebbero dunque un vantaggio in partenza, che permise loro di arrivare primi nella corsa verso le armi, l’acciaio e le malattie. Il corredo genetico, le lingue, le specie coltivate e allevate, la tecnologia e i sistemi di scrittura di questi popoli si diffusero in varie parti del mondo, nell’antichità e in gran parte dell’era moderna». 

Fa parte di: Festival Internazionale dell'Economia 2023 - Ripensare la globalizzazione. Consigli di lettura.

Testo a cura di Festival Internazionale dell'Economia - Editori Laterza.