Ripensare la globalizzazione: le conseguenze politiche della globalizzazione

Raghuram Rajan

L’esercizio critico su quella che Dani Rodrik chiama 'iper globalizzazione’ è iniziato molti anni fa, anche ad opera di studiosi di discipline non afferenti all'ambito economico. Nel 1998 ad esempio era uscito un breve saggio del sociologo e filosofo Zygmunt Bauman intitolato Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone (Laterza) in cui si leggeva che «La globalizzazione divide tanto quanto unisce [...] e le cause della divisione sono le stesse che, dall’altro lato, promuovono l’uniformità del globo. [...] Ciò che appare come conquista di globalizzazione per alcuni, rappresenta una riduzione alla dimensione locale per altri», e «essere ‘locali’ in un mondo globalizzato è un segno di inferiorità e di degradazione sociale». «Le tendenze al neotribalismo e al fondamentalismo, riflesso delle esperienze delle persone che si trovano sul versante per così dire passivo della globalizzazione, discendono anch’esse da questa: una derivazione legittima quanto lo è l’osannata ‘ibridazione’ della cultura dominante, la cultura cioè dei vertici globalizzati», scrive Bauman. In anni - i Novanta del Novecento – in cui «la ‘globalizzazione’ sembra l’ineluttabile destino del mondo», Bauman si pone alcune domande sulle questioni che gli sembrano più rilevanti: dalle conseguenze sulle comunità alle trasformazioni delle città, dal futuro della sovranità a quello della cultura, per finire sul rapporto tra globalizzazione e il crescente senso di incertezza e richiesta di sicurezza dei cittadini.

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copertine dei libri citati

Negli stessi anni un altro sociologo di fama internazionale, Ulrich Beck, pubblica un saggio intitolato Che cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria (Carocci, 1999). Nel libro Beck si chiede se sia possibile e auspicabile rinunciare alla politica – resa residuale da una economia globale che sfugge ai vecchi controlli – oppure se occorra rilanciare una politica adeguata ai nuovi tempi e quale essa possa essere. Una politica nuova per la globalizzazione – fenomeno che Beck giudica irreversibile – non vuol dire necessariamente ripetere a livello globale le strutture degli Stati nazionali. Piuttosto, nella parte finale del libro l'autore propone una serie di politiche per ridurre gli effetti negativi della globalizzazione, dalla cooperazione internazionale alla partecipazione dei lavoratori al capitale, dalle regole fiscali alle misure sul welfare.

Sui risvolti invece più propriamente politici interviene Colin Crouch con un saggio intitolato Identità perdute.  Globalizzazione e nazionalismo (Laterza 2019). La tesi di Crouch è che le conseguenze economiche della globalizzazione - con la graduale cancellazione di interi settori industriali e di conseguenza di comunità e modi di vivere tradizionali - incidono fortemente sull’identità delle persone coinvolte e sulla «loro voglia di sentirsi orgogliosi nei vari ambiti di vita: nel loro lavoro, nella loro identità culturale, nelle loro comunità». A fronte di questa paura di perdere la propria identità si crea una reazione nazionalista e tradizionalista, gestita politicamente da una nuova destra sovranista.

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 Colin Crouch. Identità perdute.  Globalizzazione e nazionalismo (Laterza, 2019) e  Raghuram Rajan. Il terzo pilastro. La comunità dimenticata da Stato e mercati (Università Bocconi, 2019)

Di questa reazione si occupa anche Raghuram Rajan nel suo libro Il terzo pilastro. La comunità dimenticata da Stato e mercati (Università Bocconi, 2019). «È opinione diffusa – scrive Rajan - che la distruzione dei posti di lavoro derivi sia dal commercio globale sia dall’automazione tecnologica delle vecchie professioni. Minore è invece la consapevolezza che la causa più importante sia il progresso tecnologico. Purtuttavia, a mano a mano che l’ansia della popolazione si trasforma in rabbia, la politica più radicale considera più efficace attaccare importazioni e immigrati. Propone di proteggere gli impieghi manifatturieri sovvertendo l’ordine economico liberale concordato nel dopoguerra, ovvero il sistema che ha agevolato il flusso di beni, capitali e persone attraverso i confini nazionali. [...] Stiamo assistendo oggi alla reazione di movimenti populisti di estrema destra e sinistra. Quello che non è ancora avvenuto è il necessario cambiamento sociale, ragion per cui così tante persone non hanno speranza nel futuro». Ciò che Rajan vuole reintrodurre nel dibattito è quello che chiama, affiancandolo allo Stato e al mercato, il «terzo pilastro dimenticato, la comunità – cioè gli aspetti sociali della società» sostenendo che «molti motivi di preoccupazione in ambito economico e politico oggi nel mondo, compresa  l’ascesa del nazionalismo populista e dei movimenti radicali di sinistra, possono essere imputati all’indebolimento della comunità. [...] Se capiamo che la comunità conta, diventa chiaro perché registrare una forte crescita economica [...] non è sufficiente per un Paese. Anche i modi in cui questa crescita è distribuita tra le comunità del Paese contano immensamente». Nel libro Rajan suggerisce diverse politiche di rafforzamento delle comunità locali, ad esempio attraverso borse di studio all’estero condizionate al rientro nel territorio di origine, che ne prevengano l’impoverimento materiale e culturale.

Fa parte di: Festival Internazionale dell'Economia 2023 - Ripensare la globalizzazione. Consigli di lettura.

Testo a cura di Festival Internazionale dell'Economia - Editori Laterza.