Marta Barone a Leggermente, 13 dicembre 2022

Marta Barone

«... Ma il più bel monumento resta pur sempre l'immagine stessa dell'uomo. Più di qualsiasi altra cosa essa ci dà un'idea di ciò che egli fu». 

(Goethe, Le affinità elettive

A quasi tre anni dall'uscita, in controtendenza con il progetto Leggermente, che spesso rincorre le novità editoriali, il Gruppo di lettura Villa Amoretti ha voluto dedicare del tempo alla lettura (in alcuni casi rilettura) di Città sommersa (Bompiani, 2020) e all'incontro con Marta Barone, autrice dai due esordi letterari: uno molti anni fa, precocissimo, come scrittrice per ragazzi, con Miriam delle cose perdute (Rizzoli, 2008) e poi quello più recente, nell'editoria per adulti. Dal 2017, inoltre, Barone segue la curatela dell’opera di Marina Jarre ed è anche grazie al suo impegno se l'opera di questa straordinaria e misconosciuta scrittrice del nostro Novecento è tornata ad essere disponibile. Bompiani sta infatti ripubblicando i suoi testi: sia il racconto in forma autobiografica I padri lontani, sia il romanzo Negli occhi di una ragazza sono preceduti dalle illuminanti introduzioni di Marta Barone. 

C’è sempre qualcosa di assurdo nel pensare all’età che avrebbe un morto se vivesse ancora, ma è proprio da questo calcolo paradossale che nasce Città sommersa perché - per verificare l’esatto anno di nascita del padre - Marta Barone si trova fra le mani una memoria difensiva per la Cassazione, relativa ad un processo che lo aveva riguardato, svoltosi nei primi anni Ottanta, per partecipazione a banda armata. Quello che a grandi linee già sapeva diventa improvvisamente reale e la scrittrice avvia una lunga, laboriosa e pervicace ricerca sull’ambiente politico e amicale che orbitava attorno alla figura del padre, raccogliendo testimonianze, visitando archivi, cercando foto e articoli di giornale. Attraverso la paziente ricucitura di questi frammenti la narratrice, che si è posta «in viaggio verso il passato» (in Lea Ritter Santini, Ritratti con le parole, Il mulino, 1994), gradualmente riesce a far affiorare anche aspetti soggettivi del clima politico degli anni Settanta a Torino colmi di contrasti, ma anche pervasi da felicità. In questo percorso di conoscenza dell'altro e di sé, il linguaggio - particolarmente curato - è caratterizzato da scelte lessicali originali, dal ritmo ternario degli aggettivi che dipingono efficacemente un volto o una situazione e da una punteggiatura rigorosa. 

Non tutti gli scrittori hanno talento nel comporre ritratti, quella strana maestria che sta nel mettere in campo un’attenzione potenziata per cogliere un particolare decisivo, una vibrazione della realtà che renda viva una persona sulla pagina scritta. Ci siamo chiesti se, nel caso di Marta Barone, questo non sia un talento umano prima che letterario; infatti nel testo leggiamo: «ma quanto mi piacevano le persone, quanto mi interessavano. Temo di più di quanto volessero rivelare di sé […]. Mi sembrava di cominciare a vedere le persone davvero, che quella strana distanza che avevo provato negli ultimi anni (o forse da sempre?) dalle facce e le vite si fosse allentata». Interesse per le persone non significa facile socievolezza né superficiale estroversione: quello da lei definito «un atto di interesse» nei confronti della vita sconosciuta del padre si espande man mano fino a diventare quell’attenzione estrema descritta da Cristina Campo nel breve saggio "Attenzione e poesia” contenuto nella raccolta Gli imperdonabili (Adelphi, 1987); un'attenzione che non conduce all’analisi ma alla sintesi, nella consapevolezza che non si può restituire la totalità della vita di una persona e che qualsiasi ritratto è destinato all’incompiuto e che «gli altri, anche i più intimi, hanno di noi soltanto una conoscenza frammentaria, superficiale e deformata» (in R. Bourneuf, R. Ouellet, L’universo del romanzo). Come sottolinea Antonia S. Byatt in Ritratti in letteratura (Archinto, 2004) - riprendendo il pensiero della scrittrice Iris Murdoch - «i ritratti riusciti sono, come tutte le opere d’arte, un tentativo di raccontare la verità, per quanto difficile sia il raccontare, per quanto parziali le verità raccontate».

A più riprese - per sovrapposizioni successive che si addensano come colori su una tela - combattendo fino all’ultima pagina una battaglia contro la memoria fallace e l'evanescenza dei ricordi, Marta Barone compone - con un andamento a onde - il ritratto sfaccettato ma durevole di un uomo etico e carismatico, quale fu suo padre, senza mai cadere nell’agiografia ma facendoci cogliere quella «luce incantatoria», quel «fuoco violetto» che da lui promanava. Le foto del padre bambino - o quelle sgranate dell’arresto recuperate sui quotidiani - non la riconducono ad una unità: come scrive Benedetto Croce nel saggio "Il ritratto e la somiglianza" (in Problemi di estetica), di fronte «alla molteplicità dei ritratti di un singolo personaggio, tutti diversi uno dall’altro, tanto diversi che sembrano riferirsi ad individui diversi» non si può provare che spaesamento e smarrimento. «Chi sei?» si chiede Marta Barone; ma alla fine queste immagini che si moltiplicano trovano una propria risoluzione, disegnano una fisionomia significante, così che qualcosa possa essere comunque sottratto alla morte. 

Fulminante è il ritratto dello scrittore Antonio Moresco, descritto visivamente come un airone, animato da «una tristezza immensa, fatale, molto più vasta del suo corpo minuto». Dalla lettera di Moresco ad Aldo Brandirali contenuta in Lettere a nessuno, Marta Barone ricava informazioni utili relative al Pcim-l (Partito Unione dei comunisti italiani marxisti-leninisti), un partito che controllava ossessivamente anche la vita privata dei suoi militanti (fra i quali anche suo padre), che aveva dato vita alla testata «Servire il popolo» (autunno 1968, con cadenza quindicinale e settimanale fino al 1975); uno scatto fotografico in movimento risulta invece la veloce apparizione di Bianca Guidetti Serra in una via di Torino, «una vecchina diafana, appoggiata a un bastone, con i capelli bianchi e lucenti nel sole», incarnante «lo spirito della città»; molti sono i ritratti affettuosi e vividi della «foresta di adulti» (una delle tante felici metafore del romanzo) in cui l’autrice afferma di essere cresciuta. 

Per certi versi nel processo del ritrarre gioca sempre anche un elemento fortemente soggettivo; anche quando ci si vuol contrapporre a chi si ritrae agisce una complicata dinamica di identificazione e rispecchiamento. La composizione di un ritratto in parole si fonda sulla competenza visualizzante del narratore (che a sua volta si affida a quella di ogni singolo lettore), che consente di raffigurare con precisione e accuratezza «l’aspetto delle cose – aspetto che ne veicola i molteplici significati - e di afferrare il colore, il rilievo, l’espressione, la superficie, la sostanza dello spettacolo umano» senza però dimenticare che un buon romanzo sfrutta anche «la ricchezza dell'imprecisione, degli indizi» (sempre in S. Byatt, Ritratti in letteratura).

La singolare nostalgia che Marta Barone afferma di provare alla fine del suo percorso, «una nostalgia al futuro anteriore» è proprio quella che il filosofo Spinoza definisce, nella sua Etica «una tristezza che riguarda l’assenza», assenza di ciò che abbiamo amato e che non cessiamo di amare.  

Testo di Stefania Marengo (Biblioteche civiche torinesi), in collaborazione con Patrizia Di Blasi (GdL Villa Amoretti). 

La registrazione dell'incontro con Marta Barone è avvenuta a cura delle Biblioteche civiche torinesi; il video è stato pubblicato sul canale YouTube delle BCT.