Laura Forti a Leggermente, 4 aprile 2023

Laura Forti

 «Mi chiedevo a quale esistenza sarei dovuta tornare. A una vita per la quale non provavo più gioia, come nel sogno della casa in fiamme: era di nuovo tutto a posto, il fuoco si era spento, ma che restava della struttura originaria se non macerie bruciacchiate? Dov’era finito il senso della nostra famiglia?»
(Laura Forti, Una casa in fiamme)

Nell'ambito del progetto Leggermente, il Gruppo di lettura Cesare Pavese e il gruppo di lettura LeggiAmo | Letture condivise a KM0 hanno incontrato, allo Spazio WOWla scrittrice e drammaturga Laura Forti, una delle autrici italiane più rappresentate all’estero. Laura Forti, che ha presentato il libro Una casa in fiamme (Guanda, 2022), insegna scrittura teatrale e autobiografica e collabora come giornalista con radio e riviste nazionali e internazionali. Con Giuntina ha pubblicato L’acrobata e Forse mio padre, romanzo vincitore del Premio Mondello Opera Italiana, Super Mondello e Mondello Giovani 2021.

Una casa in fiamme ripercorre cinque stagioni di vita (dall’estate all’estate) di Manuela, una scrittrice che, dopo aver pubblicato un toccante romanzo sulla sua storia familiare, si rifugia in uno stile per lei meno emotivamente coinvolgente. Intorno alla protagonista ruotano il marito Sergio, che svolge un lavoro insoddisfacente ed è in competizione con una ingombrante figura paterna e i figli Lea ed Elias, intrappolati rispettivamente nei ruoli di «figlia così perfetta» e bambino problematico.

La malattia di Manuela è il detonatore che dà il via allo scoperchiamento di tutte le criticità latenti di questa casa che va – appunto - in fiamme, tema che si presenta in sogno a Manuela e ricompare come background ebraico dal Midrash, un racconto della tradizione ebraica interpretato dal rabbino Ottolenghi - ospite alla cena di Pesach - come «midrash sulla libertà»: «Se non ci fosse il male, se il palazzo non andasse a fuoco, come faremmo a scegliere quello che per noi è giusto?». Come nell’haiku di Mizuta Masahide (1657 -1723) «Il tetto si è bruciato, ora posso vedere la luna», il disvelamento - o meglio, la rottura del silenzio di tutta una serie di disfunzionalità e di disarmonie familiari, si rivela alla fine salvifico e consente un’evoluzione, l’inizio di un percorso di consapevolezza in Manuela e, a cascata, in tutte le figure che gravitano intorno a lei. 

Durante la sessione dei due gruppi di lettura, i partecipanti hanno sottolineato la grande varietà di temi presenti in questo romanzo matrioska, soffermandosi ciascuno su alcuni argomenti rispetto ad altri, in una sorta di rispecchiamento e proiezione individuale e collettiva. «La scrittura è prendere responsabilità di sé»: questa frase che compare all’inizio del romanzo, e che indica nello scrivere un potente atto creativo e curativo, ha riecheggiato durante la presentazione con l’autrice. Nel confronto con Laura Forti, è emerso quanto la scrittura e la lettura possano divenire micce in grado di innescare un viaggio interiore in un gioco di specchi tra i personaggi del romanzo, lo scrittore e i lettori imbevuti e immersi nel proprio presente.

Il rapporto con la memoria e i 'non detti', in questo caso quella storica e generazionale di Manuela e Sergio sulla Shoah - che fanno da sfondo a vicissitudini personali - sono raccontate in una prospettiva di varietà e ricchezza multiculturale italiana e rimarcano come la stessa identità ebraica sia una identità plurale: la protagonista privilegia l’aspetto culturale dell'identità ebraica rispetto a quello religioso; il marito Sergio - impegnato in un recupero della tradizione ebraica negatagli dal padre, profondamente ferito dalla Shoah - vorrebbe essere un ebreo osservante ma allo stesso tempo non disdegna la virtualità di Second Life; la figlia Lea dopo un brillante Bat-mitzvà e dopo alcuni vissuti ansiosi decide di diventare «un’ebrea militante, di cercare il confronto e se necessario lo scontro». 

Questa scelta narrativa dell’autrice - che rappresenta quasi una novità stilistica per la letteratura italiana - ricorda quella di alcuni noti autori americani o, ancor più, israeliani, quali Eshkol Nevo ed Etgar Keret, con il loro evidente desiderio di una normalità che riesca comunque a convivere con la complessità di alcune esistenze (cfr ad esempio Tre piani e La simmetria dei desideri di Nevo e Sette anni di felicità di Keret). Lo spaccato di vita nell’Italia contemporanea di una famiglia ebraica, di ebrei italiani 2.0 come indica Forti, ha altresì incuriosito i lettori e le lettrici dei due gruppi di lettura evidenziando al contempo l’assenza - nel panorama editoriale italiano - di racconti contemporanei analoghi.

In effetti non sono molte le indicazioni bibliografiche che possiamo dare: c’è il romanzo (Non) si può avere tutto di Gheula Canarutto Nemmi, autrice che si definisce ’ebrea italiana osservante’ e che afferma che in Italia si sente molto poco la voce degli ebrei poiché forse sono proprio loro a stare in silenzio. Il libro racconta della diciottenne Deb Recanati, milanese, una ragazza studiosa, orthodox, ebrea osservante, che dando seguito al matrimonio combinato proposto dal rabbino, incontra Nathan Stern, una sorta di «principe azzurro ebreo» di cui è già praticamente innamorata e si avvia ad un matrimonio precoce a due mesi dall’esame di maturità. Indossa la parrucca, mangia cibo kosher, rispetta lo Shabat; ma non per questo vuole privarsi del suo diritto a studiare e fare carriera. Si entra così dietro le quinte di una famiglia ebraica italiana e del mondo universitario in cui Deb Recanati proverà a fare valere i propri diritti di donna, di madre (5 figli) e di ebrea osservante.

Opposta atmosfera si respira - nell’irriverente e rispettoso ad un tempo - libro di Roberta Anau, Asini, oche e rabbini, in cui l’autrice racconta «a modo suo il suo ebraismo» (così scrive Lia Levi nella prefazione, altra autrice italiana di riferimento, in cui però rimane centrale il tema della persecuzione razziale) assumendosi tutta la colpa di aver reso la propria figlia «disappartenente» e «mal-educata alla più completa laicità». D’altra parte lo scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua, nell’unico suo romanzo di ambientazione italiana, La figlia unica, fa dire alla dodicenne Rachele, l’arguta e intelligente protagonista, che appunto «di ebrei ce ne sono di tutti i tipi». Sulla scia di una normalità che si confonde con tutte le altre vite normali, il romanzo di Elena Loewenthal La carezza porta in scena la storia di Lea e Pietro. Lei paleografa, lui filologo, si incontrano a un convegno specialistico e nasce tra loro una fulminea e irresistibile attrazione che li spinge a passare insieme la notte. Qui l’identità ebraica della protagonista, Lea Levi, viene lasciata di sottofondo, emerge solo in un breve scambio di battute fra i due studiosi e amanti - o quando Lea paragona Matera e Gerusalemme, due città materiche, composte entrambe di «sostanza solidissima» - e poi nel pervasivo tema della corporeità (vissuta dagli amanti «pelle a pelle») che nella tradizione ebraica, lungi dall’essere prigione dell’anima, è il luogo in cui abita il soffio divino.  

Sul tema della normalità ebraica ha riflettuto Abraham B. Yehoshua nel saggio Elogio della normalità (Giuntina, 1991), sottolineando come non ci sia una parola che abbia una risonanza più negativa per gli ebrei di normalità, mentre invece occorrerebbe diventare consapevoli che «normale non significa piatto, banale, omogeneo, standardizzato» tanto che «grandissime opere sono state prodotte in condizioni assolutamente normali o banali o conformi alla generalità». Sempre nel suo romanzo La figlia unica, sul tema del ritorno degli ebrei della diaspora in Terra di Israele, Leah, la nonna della dodicenne Rachele, afferma che gli ebrei - proprio come condizione di un ricco e creativo pluralismo - «devono rimanere anche in Italia, altrimenti gli italiani dimenticheranno» la loro esistenza. 

Tornando a Laura Forti, la genitorialità è un altro macro tema del suo romanzo: Manuela cambia e con lei evolve anche il rapporto con i figli. Emblematici gli episodi della bicicletta, dell’accettazione del 'rischio di cadere', e quello della riconciliazione, del ricongiungimento famigliare che si svolge al Pride, un luogo simbolico e una manifestazione particolarmente sentita dai giovanissimi e per questo motivo scelto da Laura Forti come scenario corale di questo punto di svolta nella vita della famiglia di Manuela.

Il romanzo, però, non descrive la conclusione di un percorso di crescita, semmai l’inizio di un viaggio alla scoperta di possibilità 'altre'. Una famiglia impara a vivere e convivere con il passato, con il presente e con l’idea di futuro attraverso il confronto generazionale nell’Italia contemporanea e a ripercorrere la propria storia e le proprie tradizioni sotto la lente dell’insicurezza e alle prese con la malattia che diventa causa ed effetto di un processo di crescita: «Ho capito che la vita è preziosa non in assoluto, ma quando sei disponibile ad accoglierla, ad accettarla nel suo movimento, disordinata e contraddittoria, approssimativa e stropicciata com’è. Anche se porta dolore e confusione, se rivoluziona le certezze. Anche se avviene tra un incendio e l’altro». Ed è solo accogliendo la complessità  e imparando a ospitare l'energia della gioia e del dolore, che i protagonisti iniziano a comprendere la preziosità e l’unicità della loro esistenza, perché «Non c’è niente di più intero di un cuore spezzato».

Anche il rapporto con le famiglie d’origine è sviscerato sia da Manuela, che affronta la chiusura del lutto con la figura materna, sia nel rapporto problematico e conflittuale di Sergio con il padre: attraversare, ‘fare i conti’ con il proprio passato si riverbera sul rapporto con i propri figli e sulla qualità della vita della famiglia nella sua interezza.

Una casa in fiamme ha dunque aperto porte e stimolato curiosità ma, come per i personaggi del romanzo, il nostro 'viaggio' in qualità di lettori non è terminato, bensì solo cominciato.

Testo di Luisella Nuovo (LeggiAmo | Letture condivise a KM0) e Stefania Marengo (Biblioteche civiche torinesi) 

La registrazione dell'incontro con Laura Forti è avvenuta a cura delle Biblioteche civiche torinesi; il video è stato pubblicato sul canale YouTube delle BCT.
Evento in collaborazione con Libreria Gulliver