Marzia Sabella a Leggermente, 31 marzo 2023

Marzia Sabella

«Un ‘aula giudiziaria. Una donna vestita di nero seduta quasi al centro, tra il banco della corte e quello degli avvocati, alle spalle la gabbia degli imputati, di fronte il pubblico ministero». 
(Leonardo Sciascia, Per Carlo Lizzani in «Questo non è un racconto»).

Nell’ambito del progetto Leggermenteil Gruppo di lettura Villa Amoretti ha scelto di incontrare Marzia Sabella - procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Palermo - per la presentazione del libro Lo sputo (Sellerio, 2022), romanzo in cui l'autrice esplora le tante sfaccettature della figura di Serafina Battaglia (1919-10 settembre 2004), la prima donna testimone di giustizia contro la mafia dopo l’assassinio del compagno e del figlio. 

A partire da un’intervista televisiva che Serafina Battaglia rilasciò nel 1967, Sabella mette in atto una pratica narrativa che ibrida due generi di diversa natura discorsiva: la realtà biografica e il verosimile letterario. Il lettore è avvertito, in una nota finale, che solo le frasi virgolettate e qualche stralcio di sentenze e verbali appartengono al vero. La struttura del racconto è circolare: inizio e fine - giocati sull’ultimo giorno della vita di donna Fina, il 10 settembre 2004 - vengono a coincidere. 

Serafina Battaglia nel libro della Sabella viene descritta come una 'sibilla' con il dono della profezia, a cui i spesso fatti danno ragione, dimostrando l'abilità di saper «leggere i retroscena, scegliere le mosse, anticipare gli accadimenti»: Stefano Leale, per cui la donna aveva lasciato il marito, con lei sente «di possedere un’arma che nessun altro» possiede; ma alla fine anche Serafina, come la Sibilla Cumana che scriveva le sue indecifrabili profezie su foglie agitate dal vento, comprende di essersi tragicamente ingannata nell’aver spronato Stefano «all’ascesa senza rimediargli un giusto riparo».

Serafina Battaglia è dunque una figura non esente da contraddizioni: decide di testimoniare solo dopo la morte del figlio, di cui è in parte responsabile, avendolo invitato a compiere la vendetta per l’uccisione del padre; nel romanzo di Sabella è consapevole di essere un «torrente che non conosce una sola verità» e non prova vergogna per questo. Il ravvedimento in fondo comporta uno sforzo che non permette di mantenere una linea retta: «Sentiva che non si sarebbe mai nascosta sotto la propria veste, tra i colpevoli o gli innocenti, perché, nel vivere se stessi, le colpe sono riparate dal perdono e l’innocenza è tradita dal peccato». 

Anche Leonardo Sciascia era rimasto affascinato dalla figura di Serafina Battaglia: l'editore Adelphi, nel 2021, ne ha recuperato gli scritti dedicati al cinema e, tra questi, spiccano tre inediti: uno di questi progetti cinematografici, destinato al regista Carlo Lizzani, contiene la ricostruzione della vicenda di Serafina Battaglia. Lizzani proporrà a Sciascia degli aggiustamenti ma, come ricorda Paolo Squillacioti nella Nota al Testo, alla fine il progetto rimarrà irrealizzato. Il testo, contenuto in «Questo non è un racconto», fa emergere anch’esso la figura di una donna fieramente sola ma - a differenza di Sabella - nell’interpretazione di Sciascia, è proprio il compagno di Serafina a intuire tragicamente che «quella era la giornata segnata», trascorsa ad aspettarsi il peggio e conclusasi con il suo assassinio. 

Lo sputo è il titolo forte che Sabella ha voluto dare al libro ed è anche un gesto rituale che ritorna nel racconto più di una volta e con molteplici significati. Come gruppo di lettura abbiamo provato a tratteggiare una sorta di fenomenologia dello sputo: intanto lo  sputo è legato in modo intimo e profondo al nostro essere corpo e quindi indica qualcosa che sentiamo profondamente, nelle viscere. Il significato più immediato dello sputo rimane quello del disprezzo, della disistima, o della disconferma - come nel potente incipit del libro - che però evoca uno sputo disidratato e depotenziato dalla vecchiaia (è il 10 settembre 2004, giorno della morte di Serafina) ed è rivolto alla retorica televisiva sulla mafia. Donna Fina sputerà per terra tre volte prima di entrare in tribunale «fino a sentirsi la bocca pulita come dopo una sorsata d’acqua alla fontana», come atto purificatorio e di spurgo, propedeutico alla testimonianza che dovrà essere composta dalle «parole più vere, più bianche, più suadenti»; sputerà per finta, per simulare ritrosia, quando Stefano Leale, già ammogliato, si accosterà per la prima volta a lei; intuendo un agguato contro Stefano, compirà un rito apotropaico, sputando per terra per scongiurare influssi maligni e cattiva sorte; sputerà verso gli sbirri che vogliono allontanarla dal corpo morto del figlio, quasi a difendere un dolore inviolabile; sputerà con rabbia e disprezzo su ciascun imputato in aula e a mitraglia sul traditore Mattè, scusandosene con i giudici perché «il dolore di una mamma non ne conosce educazione».   

Come lettori ci ha sempre incuriosito il tema della scrittura letteraria praticata da autori o autrici che svolgono altre professioni: spesso abbiamo percepito un modo di raccontare più originale, più adeso alla vita ed un uso della lingua inconsueto; nel libro di Sabella abbiamo trovato dettagli linguistici curati e precisi, felici figure retoriche («una sete arida»), anafore («sola, con la veste scura, sola con l’arroganza che cela la paura, sola, dopo la sconfitta, in casa») che rimarcano un elemento della frase, belle inserzioni di lemmi siciliani ed alcune frasi fulminanti e dense, che recano un piacere quasi fisico nella lettura ad alta voce: «Nella lucida coscienza di quanto era accaduto, bel oltre la moderata anticipazione di Minucu il tedesco, Serafina, come un notaio che trascrive particelle e generalità indipendentemente dalla convenienza di un atto, annotò la morte del figlio nel rogito del cuore».

Durante il processo per l'omicidio del figlio, Serafina Battaglia decise di testimoniare contro il sistema mafioso, collaborando con il giudice istruttore Cesare Terranova. Per donna Fina di «giudice Terranova ce n’è solo uno sulla terra. Uno solo»: Cesare Terranova è uno dei pochi magistrati siciliani che in quegli anni non nega l’esistenza della mafia; verrà assassinato nel 1979 e per Serafina sarà un duro colpo, «un tempo di gelo e di morte» scrive Sabella. Leonardo Sciascia, in un articolo pubblicato su «L’espresso», il 7 ottobre 1979, e poi raccolto in A futura memoria, lo ricorda così: «E credo gli venisse, tanta acutezza e tenacia e sicurezza, appunto dal candore: dal mettersi di fronte a un caso candidamente, senza prevenzioni, senza riserve. Aveva gli occhi e lo sguardo di un bambino. E avrà senz'altro avuto i suoi momenti duri, implacabili; quei momenti che gli valsero la condanna a morte: ma saranno stati a misura, appunto, del suo stupore di fronte al delitto, di fronte al male, anche se quotidianamente vi si trovava di fronte». 

Leggendo Nostro onore. Una donna magistrato contro la mafia (Einaudi, 2014), il libro scritto da Sabella in collaborazione con la giornalista Serena Uccello, le giornate della magistrata appaiono già talmente dense e laboriose da costringerla ad utilizzare «l’ora provvidenziale» della pausa pranzo per scrivere «l’imputazione difficile da formulare». Durante l'intervista abbiamo chiesto a Sabella dove si è collocata invece «l’ora provvidenziale» della scrittura letteraria: l’autrice ci ha fatto una confidenza esaltante ed ha rivelato di aver prevalentemente scritto in volo, utilizzando il proprio cellulare (in barba ai rituali e alle manie di molti scrittori di mestiere...). 

Testo di Stefania Marengo (Biblioteche civiche torinesi).

La registrazione dell'incontro con Marzia Sabella è avvenuta a cura delle Biblioteche civiche torinesi; il video è stato pubblicato sul canale YouTube delle BCT.

Evento in collaborazione con Libreria Gulliver.