"Mor. Storia per le mie madri": un graphic novel di Sara Garagnani
«Era un freddo da cui non ci potevamo proteggere. Penetrava, attecchiva nelle ossa e si solidificava negli anni della crescita. Ce ne abituavamo attraverso un processo lento e invisibile che avveniva per sottrazione. Era la temperatura dell'assenza materna, che diventava la misura della nostra fiducia nel mondo».
(Sara Garagnani, Mor. Storia per le mie madri)
Nell'ambito di Torino che legge, alla Biblioteca civica Villa Amoretti, il 29 aprile 2022, è stato presentato il graphic novel Mor. Storia per le mie madri (Add, 2022), con l'autrice Sara Garagnani. Attraverso la storia di quattro generazioni di donne, tra Svezia e Italia, l'autrice ha raccontato come i traumi non elaborati si possano trasmettere di generazione in generazione (in lingua svedese “mor” significa madre, “mormor” madre di madre, ovvero nonna, e così via).
Uno dei pregi dei graphic novel è la possibilità di unire la profondità narrativa all’immediatezza dell’immagine. Se usata con cura, quest’ultima è capace di sostituire la sovrabbondanza di parole o di amplificare la portata di poche e concise frasi. Fin dalle prime pagine, Mor si racconta con uno stile peculiare, ma proporzionato alle tematiche trattate. Le tavole acquerellate, il colore desaturato, le macchie che debordano dalle vignette: ogni cosa rende anzitutto l’idea di un ricordo, di una memoria che sente il bisogno di emergere. Così emergono le prime immagini, le prime parole. Come attraverso la cucitura che, aprendosi nei primi quadri, apre il libro stesso.
L’atmosfera delle località nordiche si respira fin dalle prime vedute: nei panorami, nei cieli, nelle distese innevate, lungo le strade e nei boschi. È un’atmosfera che s’imprime, come la sigla di una serie televisiva; qualcosa che rimane, di sottofondo, per tutta la durata del libro. Leggere Mor è in qualche modo associare immagini ai suoni. Si ha spesso la sensazione di un suono ovattato, di un tempo in sospensione. Il silenzio stesso è fondamentale in alcuni passaggi e le tinte sbiadite danno l’idea di una distanza – in questo caso generazionale.
Su questo sfondo s’intrecciano i fili delle memorie e le storie dei personaggi. I riquadri descrittivi, come il colore, non risultano invadenti. Talvolta si ha l’impressione che l’autrice ci tenda una mano e ci guidi per qualche passo attraverso la storia, lasciandoci tuttavia un ampio spazio di contemplazione. È in questo spazio che si comincia a cogliere dettagli, a fare delle riflessioni. Si cercano indizi e chiavi di lettura nascoste. Così d’improvviso la mano si ritrae, lasciandoci in balìa dell’incerto, delle zone d’ombra. Sono le prime fasi di una destabilizzazione (come quando a uno dei personaggi, Christer, viene a mancare il pavimento da sotto i piedi). In questi spazi irregolari, la narrazione procede su più livelli e può concedersi le più disparate licenze visive, soprattutto nelle splash pages.
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Le tavole assumono infatti una forma meno lineare. A tratti, alcuni disegni ricordano i lavori di Maurits Cornelis Escher. La composizione è mutevole e imprevedibile, ma mai fuori luogo. Si gioca con il surreale, subentrando così nella psiche dei personaggi: un nuovo livello di movimento e lettura, talvolta labirintico ma essenziale per inoltrarsi nella storia.
Se è vero che l’uso di metafore visive ricorre, poiché parte della cifra stilistica, è in queste fasi che ottiene maggiore risalto, nonché libertà di espressione. La psicologia del colore, oramai approfondita in numerosi ambiti (basti pensare al cinema e al neuromarketing) vede qui un utilizzo che amplifica le metafore stesse, nonché le emozioni attraverso le quali riusciamo a immedesimarci.
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Il distacco, la solitudine, il disamore possono essere espressi attraverso toni freddi, ma sarebbe sbagliato limitarsi a pensare che tutto dipenda dalla temperatura: una serie precisa di tavole monocromatiche associa, per esempio, diversi colori alle esperienze emotive. Ogni tinta ha la capacità di amplificare una sensazione. Così ci ritroviamo a provare sgomento, delusione, rabbia. Ci manca il respiro, gli spazi possono soffocare o estendersi oltremodo.
Nella seconda parte del libro, anche lo stile grafico subisce dei cambiamenti. Il disegno è più netto – forse in funzione della memoria più recente che tratta. Ma il colore e il disegno sono altresì capaci di nobilitare l’affetto, la speranza, la gratitudine e infine l’amore. Perché Mor ha questa potenzialità di trascinarci attraverso fasi alternate, di farci vivere esperienze diametralmente opposte, spesso senza preavviso, come accade nella vita stessa.
Testo di Norman Sgrò
L'incontro è stato condotto da Norman Sgrò, in collaborazione con Libreria Gulliver e Add editore.
La registrazione dell'incontro con Sara Garagnani è avvenuta a cura delle Biblioteche civiche torinesi; il video è stato pubblicato sul canale YouTube delle BCT.