«Una remota possibilità di bene»: Carlo Greppi racconta la vita di Lorenzo Perrone che, ad Auschwitz, salvò Primo Levi
Il 12 aprile 2023, alla Biblioteca civica Villa Amoretti, in collaborazione con Libreria Gulliver e con Editori Laterza, lo storico Carlo Greppi ha presentato il suo ultimo saggio, Un uomo di poche parole. Storia di Lorenzo, che salvò Primo (Laterza, 2023). Lorenzo è Lorenzo Perrone (o Perone, «il primo inciampo della nostra storia» scrive Greppi) e Primo è naturalmente Primo Levi.
Nella vicenda concentrazionaria di Primo Levi, Lorenzo Perrone - un muratore di Fossano, classe 1904 - ha avuto un ruolo importante, anzi, stando a quanto afferma lo stesso Primo Levi, ha rappresentato la ragione principale della sua salvezza: «un operaio civile italiano mi portò un pezzo di pane e gli avanzi del suo rancio ogni giorno per sei mesi; mi donò una maglia piena di toppe; scrisse per me in Italia una cartolina, e mi fece avere la risposta. Per tutto questo, non chiese né accettò alcun compenso, perché era buono e semplice, e non pensava che si dovesse fare il bene per un compenso» (Se questo è un uomo).
La frase leviana «una remota possibilità di bene», oltre a dare il titolo all’incontro, ed ora a questo scritto, è stata la stella polare che ci ha condotto attraverso il testo di Greppi, costituendone la riflessione portante, perché la questione della possibilità del Bene, di compiere il Bene anche se circondati dal Male radicale, è stata di rilevanza assoluta non solo per Primo Levi ma anche per gli altri reduci dai campi.
Durante l’incontro abbiamo ricordato la conversazione avvenuta nel 1995 tra Jorge Semprún ed Elie Wiesel, Tacere è impossibile. Dialogo sull’Olocausto, in cui Wiesel afferma «[...] noi abbiamo conosciuto il Male assoluto. Ma il Bene assoluto, quello no» e Semprún risponde che mentre il Male assoluto lo si può trovare, il Bene o il percorso verso il Bene sono difficili da trovare. A quel punto Wiesel ricorda che era sufficiente che ad Auschwitz, e poi nel Campo Piccolo di Buchenwald, qualcuno lo chiamasse per nome «per credere che l’uomo fosse capace di Bene».
Così anche per Levi l'incontro con Lorenzo nel cantiere di Monowitz è ragione non solo di salvezza fisica ma soprattutto spirituale, perché prova dell’esistenza di «qualcosa o qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e non selvaggio, estraneo all’odio e alla paura; qualcosa di assai mal definibile, una remota possibilità di bene, per cui tuttavia metteva conto di conservarsi» (Se questo è un uomo).
Dal punto di vista dell’opera leviana ci troviamo nel capitolo I fatti dell’estate di Se questo è un uomo: Levi è a Monowitz, uno dei tre campi principali che formavano il complesso concentrazionario situato nelle vicinanze di Auschwitz, dove si trovava la fabbrica di gomma sintetica di proprietà della Farben, «la Buna dai mille camini» della poesia di Levi. Greppi ci ha raccontato chi fosse Lorenzo Perrone prima dell'incontro con Primo Levi nel giugno del 1944 e perché si trovasse ad Auschwitz come lavoratore civile "volontario". Sul lavoro volontario, o coatto, degli italiani in Germania varrebbe la pena approfondire (ricordiamo gli studi accurati di Brunello Mantelli) anche perché il fenomeno riguardò, tra il 1938 e il 1945, oltre 5 milioni di italiani; dopo l’8 settembre del 1943 la Germania trattenne i lavoratori civili, che si trasformarono dunque in lavoratori coatti. Quello che Greppi chiarisce è che lavorare in Germania per Lorenzo non significò connivenza con il fascismo o col nazismo, fu semplicemente un modo come un altro per sbarcare il lunario; inoltre Lorenzo era da sempre stato un lavoratore frontaliero ed è molto probabile, come scrive Greppi, «che non avesse alcuna idea di dove stesse andando» quando la ditta Beotti lo inviò ai confini di Auschwitz nel marzo del 1942, in qualità di muratore.
C’è sempre una certa asimmetria fra persona e personaggio, fra uomo e simbolo, lo stesso Levi ne era più che consapevole: «trovarsi ritratti in un libro con lineamenti che non sono quelli che ci attribuiamo è traumatico, come se lo specchio, ad un tratto, ci restituisse l’immagine di un altro: magari più nobile della nostra, ma non la nostra» (Il ritorno di Lorenzo in Lilit e altri racconti). Molti dei personaggi leviani non si riconoscono nella descrizione che ne viene data, anche quella più lusinghiera. Non sappiamo quali furono le reazioni di Lorenzo alla lettura dell'edizione De Silva (1947) di Se questo è un uomo regalatagli da Primo Levi. Greppi però ci conferma che la sua investigazione storica sulla figura di Lorenzo non si discosta, nella sostanza, da quanto raccontato da Levi: il metallo prezioso di cui era fatto Lorenzo non si ossida pur se sottoposto all'accurata indagine di Greppi; anche l'assurgere di Lorenzo a simbolo del Bene inaspettato risulta più che veritiero e quella «remota possibilità di bene» intravista da Levi - tendenzialmente prudente in ogni sua affermazione - pare davvero poter corrispondere al Bene assoluto che si contrappone al Male. In una delle sue ultime interviste Levi infatti racconta che Lorenzo non aveva aiutato solo lui ma altri due o tre prigionieri, di nazionalità francese e polacca. Il 7 giugno 1998, Yad Vashem - l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah istituito nel 1953 con un atto del Parlamento Israeliano - ha riconosciuto Lorenzo Perrone come Giusto fra le Nazioni.
Nel dopoguerra Primo Levi e Lorenzo non persero mai i contatti e rimasero amici; Levi andrà a trovarlo a Fossano, gli presenterà addirittura due sue vecchie zie (episodio ricordato nel racconto Lo scoiattolo in L’altrui mestiere) e lo aiuterà in vari modi senza però riuscire a salvarlo. Lorenzo morirà presto, nel 1952: non era un reduce, scrive Levi nel racconto Il ritorno di Lorenzo, ma morirà della malattia dei reduci, eroso da una interna sofferenza. La gratitudine ha avuto per Primo Levi memoria lunga, ha significato ricordarsi di Lorenzo anche dopo la morte dell'amico, attraverso il nome dato ai figli, attraverso racconti bellissimi e parole lusinghiere in molte interviste.
C’è un capitolo del libro di Carlo Greppi che narra di fatti che ho sempre trovato avere qualcosa di numinoso, ed è quello intitolato Messaggi. Lorenzo infatti scrisse per Primo Levi 3 cartoline («con una grafia insospettabilmente curata» osserva Greppi) indirizzate a Bianca Guidetti Serra, che arrivarono a destinazione, a Torino, in via Montebello, e consentirono a Levi non solo di stabilire un contatto con i familiari (arrivò, scrive Levi nel racconto Un discepolo, nella raccolta Lilit e altri racconti, una «lettera miracolosa» da casa) ma anche di ricevere ad Auschwitz un pacco di viveri e indumenti (Levi nel racconto L'ultimo Natale di guerra della raccolta omonima lo definirà «inatteso, improbabile, impossibile [...], un oggetto celeste») che Primo dividerà con l'amico Alberto (fatta salva una buona metà, che verrà rubata). Questi episodi costituirono per Levi piccole feritoie all'interno «dell'universo nero» di Auschwitz, attraverso cui infine poteva «passare la speranza» (da Un discepolo). Osservare la grafia di Lorenzo apre al nostro sguardo quella che la storica francese Arlette Farge - nel testo che l'ha resa famosa nel panorama storiografico internazionale (Le goût de l'archive, Editions du Seuil, 1989) - ha definito una breccia del tempo, la presa di coscienza di un avvenimento inatteso, la prova di un attimo eterno nella vita di persone ordinarie, raramente visitate dalla storia.
Altrettanto prodigiose sono le lettere inviate da Lorenzo a Primo Levi nel dopoguerra (ora nell’Archivio Primo Levi): Primo Levi le aveva conservate, seguendo la lezione di Walter Benjamin, laddove Benjamin afferma che anche oggetti apparentemente inutili, come «l'esemplare difettoso di un biglietto di tram, che era stato in circolazione per un'ora soltanto» (I passages di Parigi), possono essere raccolti.
La stessa nobile operazione - una «forma di rammemorazione» - compie Carlo Greppi che, nel ricomporre con rispettosa attenzione l’esistenza di Lorenzo Perrone, fa riemergere attraverso lacerti del passato e scarti di lavorazione del sapere storico «l'autenticamente unico, ciò che non ritornerà mai più» (I passages di Parigi).
Testo di Stefania Marengo (Biblioteche civiche torinesi)
La registrazione dell'incontro con Carlo Greppi è avvenuta a cura delle Biblioteche civiche torinesi. Il video è stato pubblicato sul canale YouTube delle BCT.