La Biblioteca civica di Torino: storia di una mission

La sala di lettura della Biblioteca presso Palazzo Carignano, inaugurata nel 1948

In questa scheda si presentano brani tratti dai documenti pubblicati dalla Biblioteca civica in cui gli “addetti ai lavori” succedutisi nel corso del tempo (direttori, assessori, consiglieri comunali e personalità cittadine), facendo riferimento alla mission della Biblioteca, vale a dire al compito indicato per essa fin dall’inizio da Giuseppe Pomba, illustrano, declinando ciascuno a proprio modo, nel particolare contesto storico e nella situazione contingente, le finalità dell’Istituto.

Daniele Sassi - 1875

Il direttore Daniele Sassi, nel suo scritto La Biblioteca civica di Torino: relazione della Direzione, pubblicato nel 1875, a conclusione dell’excursus storico sugli istituti bibliotecari che in Torino nel passato anticiparono la creazione della Biblioteca comunale voluta da Pomba, cui sono dedicati i primi due capitoli dell’opuscolo, cosi si esprime a proposito della proposta del 1855: A trarli dall’oblio, a far rivivere l’idea nobilissima di fondare una Biblioteca propria del Comune, la quale concorresse a soddisfare i bisogni intellettuali della cittadinanza cresciuta assai di numero e di sapere, doveva sorgere nel 1855 un ottimo ed operosissimo cittadino, il consigliere POMBA, il quale dopo avere colla più intelligente solerzia spinto a rapidissimi e profittevoli progressi l’arte della stampa, provvedendo a renderne veramente efficaci ed universali i benefici col divulgare i più preziosi tesori delle letterature antiche e moderne, predicava coll’autorità dell’esempio e della lunga esperienza la necessità di provvedere più largamente a quegli studi che ingentiliscono i costumi ed arricchiscono il popolo di utili cognizioni.
Riportiamo la parte del capitolo V dell’opuscolo di Sassi dedicata all’Indole speciale e scopo principale della Biblioteca, alla Necessità di questa sua indole speciale, e al Perché non debba essere e non possa essere solamente tecnica, ma specialmente tecnica: Scorrendo le recenti origini dell’attuale Biblioteca e le peripezie alle quali fu soggetta; esaminando i verbali delle Commissioni, le discussioni, i decreti, i documenti tutti che riguardano l’impianto di questa istituzione, si vede chiaramente come prima idea fosse quella di formare una biblioteca speciale tecnica, la quale servir dovesse agli operai, agli allievi delle scuole serali industriali, a quanti insomma avevano maggior bisogno di dedicarsi a quelle scienze pratiche elementari ed a quelle arti delle quali, o non avrebbero trovato, o non avrebbero potuto consultare i trattati nella Biblioteca della Università.
Però l’egregio comm. Pomba per il primo, nel fare la sua proposta, avvisando assennatamente come non tutti quei libri provenienti dai collegi, dalle corporazioni religiose o dai privati, potevano essere di natura tale da fornire per bene una biblioteca speciale, esprimeva il desiderio che la civica dovesse essere una biblioteca ad uso specialmente di quei cittadini cui riuscisse malagevole il frequentare quella dell’Università, sia per la natura dei loro studii, sia per quella delle loro giornaliere occupazioni.
E questo criterio ha sempre guidato il Municipio nello ordinamento della sua libreria. Nessuno vorrà certamente disconoscere la opportunità e la saviezza di questi intendimenti. Dopo che la consegna della prima biblioteca all’Università ed il disperdimento della seconda avevano privato il Municipio di libri preziosissimi di scienza e letteratura antica: dopo che lo sperpero e l’abbandono gli avevano lasciato soltanto libri di minor valore scientifico, era follia pensare a fondar una biblioteca classica universale, tanto più che Torino ne possiede un’altra di 225,000 volumi, la quale tiene meritatamente un bel posto fra le più ricche e le migliori d’Italia.
Però, aprire all’operaio la strada d’istruirsi, compiere con una Biblioteca l’opera già tanto progredita della pubblica istruzione, era cosa degna di una cuittà colta e civile, e Torino lo fece.
Essendo d’altronde impossibile, e forse inopportuno, che la Biblioteca, fondata con lasciti e acquisti di libri d’ogni maniera, fosse dedicata ad un solo ramo di pubblica istruzione, si tenne fermo nel primo proposito di renderla accessibile a tutti, conservando i libri che c’erano e accettando tutti quelli che sarebbero donati, mentre per le compere a farsi si doveva sempre aver di mira lo scopo, se non unico, precipuo della libreria.
Così si fece, e tutte le compere, man mano fatte dal Municipio, furono sempre rette da questo proposito, e i libri acquistati furono in massima parte opere relative alle scienze pratiche moderne, alle arti, alle industrie, ai commerci ed ai mestieri. Egli è in questo modo che la Biblioteca tende a raggiungere il proprio scopo di utilità pratica e quel punto di perfezione al quale si spera giungerà in avvenire per rispondere specialmente ai bisogni intellettuali di quella classe lavoratrice che va ogni dì aumentando di numero, importanza, e nella quale il desiderio d’imparare, che comincia a saldamente radicarsi, merita di essere in ogni miglior maniera e con tutti i mezzi efficacemente incoraggiato. La popolazione della Biblioteca civica si recluta specialmente fra gli operai, e la classe operaia torinese attende in massima parte a quelle arti ed a quelle industrie che maggiormente richiedono il concorso ed i dettami della scienza.

L’autore, dopo aver a lungo argomentato sul problema della ristrettezza degli spazi e sulla necessità di un ampliamento della Biblioteca che permetta di meglio adempiere al suo scopo ed al costante incremento del numero dei frequentatori, chiede anche che il Municipio torinese aumenti i fondi destinati all’acquisto di libri, in modo che la Biblioteca cresca in rapporto alla crescita della scuola.
Scrive Sassi:
Il decoro della città ed il numero dei lettori richiedono questo aumento, e non meno lo richiede il bisogno di mettere la Biblioteca in relazione col crescere delle pubbliche scuole. Scuola e biblioteca sono due stabilimenti che si danno la mano per compiere l’istruzione e l’educazione popolare; l’una è il necessario complemento dell’altra. Se la Scuola è il campo di battaglia sul quale si combattono alacremente le tardigrade falangi dell’ignoranza, la Biblioteca è l’arsenale in cui, a tanto combattimento, si apprestano le armi. Lo sviluppo dell’una deve trarsi inevitabilmente addietro lo sviluppo dell’altra, poiché la popolazione delle biblioteche cresce sempre in relazione a quella delle scuole. E a Torino questa proporzione non esiste ancora, poiché laddove la spesa per le scuole oltrepassa il milione, ci pare insufficiente che quella destinata all’acquisto di libri oltrepassi a mala pena il migliaio.
Noi crediamo pertanto di adempiere ad un dovere vivamente sentito col richiamare l’attenzione dell’Amministrazione comunale su quanto si è esposto, poiché siamo convinti che tutti, come noi, vorranno avvisare alla utilità grandissima che l’ampliamento della Biblioteca può portare alla classe operaia ed alla nostra città tutta.
Quando si lamenta che molti fra gli operai preferiscono alla scuola l’osteria; allo studio i bagordi, alla scienza i disordini e le turbolenze;
Quando si lamenta che ai progressi della istruzione a Torino mal corrispondono quelli della educazione;
Quando si vede il bisogno che l’opera istruttiva e l’educatrice procedano di pari passo, l’istituzione delle pubbliche biblioteche, delle sale di lettura e di convegno onesto e tranquillo, ci si presentano come i mezzi migliori di compiere l’opera dei maestri, rendere più efficaci i buoni risultamenti delle pubbliche scuole, e fare in modo che i miglioramenti ottenuti corrispondano alle ingenti spese che per questo ramo si sostengono.

E nella città nostra, nella quale, non solo chi presiede alla pubblica istruzione, ma anche le società private intendono con nobili sforzi a migliorare la mente ed i costumi di quella parte della classe operaia che più ne abbisogna; nella città nostra in cui le scuole serali, le scuole operaie, le società di mutuo soccorso, d’incoraggiamento e di educazione popolare, tendono, con mezzi diversi, ma efficacemente tutte al medesimo scopo, crediamo sia naturale e spontaneo in tutti il desiderio di veder crescere e fiorire una istituzione, la quale, mentre aggiunge splendore e decoro ad una città civile può farsi fattore importantissimo di morale ed intellettuale miglioramento.
Insegnare ai figli del popolo a leggere e a scrivere non basta, bisogna educarne la mente a nobili pensieri, il cuore a generosi affetti, l’animo alle usanze ed ai costumi di popolo civile. Allora soltanto che questo scopo sarà pienamente raggiunto, si potrà dire d’avere efficacemente combattuto quei germi di civile corruzione che non mancano mai di trarre con sé i pericoli più gravi di sfacelo sociale. E che all’educazione popolare efficacemente si provveda collo incremento delle pubbliche biblioteche ebbe, non ha guari, a riconoscere chi regge il Ministero della pubblica istruzione quando stabiliva doversi ampiamente, quando lo permettessero le condizioni delle finanze, sussidiare questi stabilimenti, cosicché la sola Biblioteca universitaria torinese avesse un maggiore assegno di 12,000 lire.
E il Municipio di Torino, che ha mai sempre posto la mente e l’opera al benessere intellettuale, morale e materiale della cittadinanza, ed a rendere quanto più si potesse giovevoli le istituzioni destinate alla istruzione ed educazione popolare, avviserà eziandio al modo migliore di far fiorire questa, che più d’ogni altra può provvedere allo svolgimento delle forze intellettuali d’una classe numerosissima, e a correggere la tendenza d’una parte di essa a quelle viziose abitudini che tramutano in breve un popolo onesto, tranquillo e laborioso in una plebe scostumata, oziosa e turbolenta.

Quintino Carrera - 1892

Il direttore Quintino Carrera nella sua annuale relazione generale La Biblioteca civica di Torino nel 1891, pubblicata nel 1892, in conclusione della lunga disamina sulle gravi inadeguatezze causate dall’insufficienza di spazio affronta il tema di come un edificio adeguato meglio contribuirebbe al raggiungimento degli scopi prefissati della biblioteca.
Quanto infine al concorso dei lettori, la statistica dell’ultimo decennio … prova due cose: che la Biblioteca Civica risponde col suo indirizzo speciale ad un vero bisogno della cittadinanza e che questa passa sopra ad ogni disagio e ad inconveniente per poter consultare quelle opere che trova
solo nella Biblioteca stessa. Ora quando in una popolazione c’è una tendenza così spiccata e così lodevole allo studio, non è forse cosa dolorosa di non poterla ampiamente assecondare, anzi di dover talvolta interdire l’ingresso a chi vi richiede un libro, la vita intellettuale?
E data una simile tendenza, quali risultati non si potrebbero conseguire, se invece di una piccola biblioteca in cui non più di cento cinquanta persone possono trovar luogo col massimo disagio, se ne istituisse una che serbando l’indirizzo presente di favorire cioè lo studio delle scienze applicate alle arti ed alle industrie e di fornire cognizioni utili alla classe operaia (Art. 1 del Regolamento), rispondesse alla entità della popolazione della nostra città, non che alle esigenze dell’igiene e presentasse quelle modeste comodità che occorrono in consimili pubblici ritrovi?
Studiosi d’ogni classe vi accorerebbero certo numerosissimi e quindi pienamente giustificate sarebbero le spese che si farebbero per la costruzione ed il mantenimento di essa; e sarebbero tanto più giustificate in quanto che la sede presentemente occupata dalla Biblioteca potrebbe utilmente adoperarsi per altri servizi municipali, a cui si attende ora con disagio nei locali loro destinati.
Ed intanto con l’istituzione di questa nuova biblioteca il Municipio di Torino, che fu sempre il municipio delle grandi iniziative, che con tanta larghezza sovvenne e soviene ad ogni ramo d’istruzione, compresa quella superiore - e ne fa prova il concorso da esso dato per l’erezione dei nuovi edifizi universitari - provvederebbe nel campo dell’istruzione e dell’educazione popolare al compimento dell’opera gloriosa a cui attende da tanto tempo, con tanto plauso e con esito così favorevole.
Furono queste le considerazioni principali che indussero la Commissione ad esprimere il voto sovra riferito, di cui auguro non lontana l’attuazione.

Costanzo Rinaudo - 1893

Il 30 dicembre 1892, il Consiglio comunale di Torino approva il trasferimento della Biblioteca. L’assessore Costanzo Rinaudo, con la relazione Sul trasferimento della Biblioteca civica pubblicata nel 1893 si propone di affrontare e chiarire i punti inerenti alla questione. Scrive l’autore: Con tale voto il Consiglio incoraggiava la continuazione degli studi, affinché si potesse in tempo più propizio riprendere l’esame particolareggiato della questione e adottare concreti provvedimenti sulle modalità di trasferimento e della spesa. Questa relazione mira appunto a porgere gli elementi per una deliberazione matura e ponderata È intento mio di svolgere obbiettivamente soltanto i punti che più direttamente concorrono allo scioglimento della questione. 
E questi possono ridursi ai seguenti:

1° Opportunità di una Biblioteca Civica di carattere popolare;
2° Incremento del patrimonio della nostra Biblioteca;
3° Importanza del numero dei lettori e continuo aumento;
4° Descrizioni delle condizioni presenti della Biblioteca;
5° Proposte varie di trasferimento non accolte;
6° Progetto ora presentato e calcolo della spesa;
7° Considerazioni.

Si riporta il brano relativo al punto 1°. L’istituzione d’una biblioteca municipale non è certo imposta dalla legge, ma, quando si governasse il Comune strettamente applicando le sole spese obbligatorie per legge, si dovrebbero depennare dal nostro bilancio circa 3 milioni. Grande sarebbe l’economia, ma la nostra città rinuncerebbe ad ogni iniziativa, che è il carattere più spiccato dell’autonomia, e scenderebbe all’ultimo gradino dei Comuni italiani. Or questa non è certamente intenzione di alcuno dei Consiglieri comunali di Torino, e quindi nessuno in nome di questo criterio sorgerà, spero, a combattere qualsiasi spesa per una biblioteca municipale. Si potrebbe però obiettare, che, se occorrono al perfezionamento e progresso della vita cittadina molte spese facoltative, tra queste non deve comprendersi quella d’una biblioteca, non essendo ufficio del Municipio il provvedere ad una tale istituzione. All’obbiezione vien naturale anzitutto la risposta, che in tal caso ancor meno spetterebbe al Municipio farsi azionista della Società promotrice di belle arti, mantenere un corpo di musica, fondare a suo carico scuole d’istruzione media, concorrere al mantenimento dell’Istituto internazionale, sostenere le spese di un Liceo musicale, di un Museo Civico e di un Museo merceologico, sussidiare il Museo industriale, partecipare al Consorzio universitario, sovvenire alla costruzione di nuovi edifici universitari, sussidiare il Teatro Regio, il Circolo filologico, il Club alpino, la Società d’archeologia, il Rowing Club, ecc. Ora, siccome la quasi unanimità dei Consiglieri votò queste spese, e non v’è dubbio che per la massima parte di esse non verrà mai meno l’approvazione del Consiglio in considerazione del decoro, della dignità e del progresso civile d’una grande città come Torino, così parmi logico che non si abbia a dubitare della convenienza d’una spesa per la biblioteca
Ma quando il dubbio persistesse, a dileguarlo basterà ricordare i benefizi che da una biblioteca civica possono ritrarsi e l’esempio delle più colte città d’Italia.

Una biblioteca pubblica, specialmente di carattere popolare, rappresenta un grande servizio intellettuale e morale e ad un tempo una grande economia per i cittadini. L’istruzione ricevuta nelle scuole primarie è affatto insufficiente alla vita moderna, anche delle classi operaie; conviene dunque fornire i mezzi perché possa continuarsi anche senza l’aiuto del maestro e senza spesa. Ed ecco le biblioteche circolanti, utilissime se bene ordinate, ma non bastevoli allo scopo, sì perché sfornite per loro natura delle opere più costose, sovra tutto in argomento di disegno industriale, come perché deficienti dei comodi opportuni al raccoglimento della lettura. E cogli operai possono giovarsi d’una pubblica biblioteca popolare gli studenti meno agiati, che non trovano nelle case loro né libri, né quiete, anzi spesso gravi distrazioni e cattivo esempio. Coll’esperienza della sola nostra biblioteca si potrebbe tessere tutta una storia di giovinetti di povere famiglie, che, impediti di attendere agli studi dalla mancanza de’mezzi di fortuna e dall’ambiente domestico, riuscirono, coll’aiuto dei nostri libri, a compiere i loro studi e ad occupare nella società un posto ragguardevole. Ma non sono soltanto gli operai e i poveri studenti che abbisognano d’una pubblica biblioteca popolare; spesso ne hanno bisogno i maestri e le maestre, gl’impiegati numerosi del nostro Comune, e anche persone discretamente agiate, a cui non è agevole il provvedersi di libri e d’atlanti talora costosissimi.
Quale sia poi il vantaggio morale della lunga e serena compagnia di buoni libri, specialmente per operai e studenti, ciascuno può facilmente immaginare, quando pensi alle facili e frequenti distrazioni che una grande città offre soprattutto agli inesperti.
Né è vero che gli operai, stanchi della lunga giornata di lavoro, non possano pur desiderare il libro; anzitutto perché abbiamo la prova del contrario, poi perché il libro è un salutare riposo ed una ricreazione all’uomo affaticato nelle membra, e infine perché è nella natura umana l’attingere sempre più avidamente alle fonti del sapere quando s’è cominciato a gustarne, anche superando difficoltà e disagi. Devono essere ben evidenti questi vantaggi economici, intellettuali e morali, se tutti i Municipi italiani e forestieri di qualche importanza hanno rivolto le loro cure a fondare, ad accrescere e migliorare le loro biblioteche.

L’autore passa quindi a trattare il punto 2° (Incremento del patrimonio della nostra Biblioteca): La città di Torino, che meritamente si vanta di non essere seconda ad alcun’altra città italiana nell’amore e nelle cure per il progresso dell’istruzione de’ suoi abitanti, non poteva rimanere priva del benefizio d’una biblioteca comunale popolare, tanto più considerando che una sola grande biblioteca aperta al pubblico esiste in Torino, cioè la Nazionale, e questa più specialmente riservata agli insegnanti e agli studenti d’Università ed ai cultori più elevati delle lettere e delle scienze.
Concludendo la breve rievocazione dei quattordici anni resisi necessari per realizzare la proposta di Giuseppe Pomba, Rinaudo ricorda che alla fine il Consiglio comunale, in seduta 7 gennaio 1866, deliberava di fondare una biblioteca civica a speciale vantaggio dei cittadini, che professano arti e mestieri, da collocarsi nel palazzo civico. … La Biblioteca non potè però inaugurarsi che la sera del 22 febbraio 1869 con circa 20,000 fra volumi ed opuscoli.
Per quanto riguarda il patrimonio della Biblioteca, Rinaudo nota come nel corso degli anni l’apporto fondamentale al suo notevole accrescimento siano state le donazioni, per l’attrazione che esercitano le buone istituzioni. A questo proposito scrive l’assessore, E’ naturale, che una biblioteca in gran parte formata con doni non presenti perfetta regolarità nel suo patrimonio, rispondente all’intento della sua fondazione e del suo regolamento, che è di giovare in particolar modo all’istruzione artistica ed industriale delle classi operaie; così pure è naturale, che possegga molti duplicati e non pochi libri inutili o trascurabili; ma si apporrebbe male chi credesse che, pur estendendo l’ambito dei suoi servizi a più categorie di persone, la nostra biblioteca abbia deviato dal suo principale e primitivo scopo, come cadrebbe in fallo chi opinasse che essa non sia fornita di molte opere pregevoli rappresentanti un alto valore commerciale.

Nel trattare il punto 3° (Importanza del numero dei lettori e continuo aumento) l’autore così esordisce: Col crescere del patrimonio della Biblioteca, andò pure crescendo costantemente il numero dei lettori, sì, per notevole conseguenza dell’incremento stesso dei libri, come per lo scemare dell’analfabetismo. Ognuno sa poi che è sempre più apprezzata l’istruzione non solo per gli alti uffici sociali, ma anche per i più modesti, onde il bisogno di completare l’istruzione elementare, specialmente per l’esercizio di arti, mestieri, industrie che richiedono qualche maggior cultura
Riportiamo alcuni dati statistici forniti dall’autore, utili al fine di approfondire il tema della mission della Biblioteca: È difficile determinare con precisione la qualità delle persone che frequentano la nostra Biblioteca; ma da informazioni assunte e da parziali statistiche fatte si può ritenere che sopra 1000 frequentatori circa 450 sono studenti, 350 operai, 100 artisti industriali e 100 persone di varia condizione; dai quali dati si rileva che la Biblioteca risponde sempre nel suo complesso all’intento fondamentale per cui fu fondata (Allegato H). Le opere domandate nel 1892 furono 89,320 ripartite in svariatissime categorie. Più richieste furono quelle di letteratura e filologia, che figurano in 40,728, quelle di matematica, fisica, chimica, scienze naturali, in 16,488, quelle di storia, geografia e viaggi in 9002, quelle di arti belle e industriali in 6718, quelle di giurisprudenza, scienze politico-sociali in 5220.

Così conclude l’autore nel punto 7° (Considerazioni): Dall’esposizione fatta si rilevano tre punti ormai fuori di contestazione:
1° Che l’istituzione d’una Biblioteca civica in una grande città, fornita d’una sola Biblioteca nazionale ad uso specialmente scientifico, sebbene non richiesta dalla legge, è opera altamente civile;
2° Che lodevole fu quindi il fondare e promuovere nella nostra città una biblioteca municipale, dirigendola specialmente a intento popolare;
3° Che il difetto originario dei locali assegnati alla nostra Biblioteca e il suo meraviglioso sviluppo in libri e lettori rendono necessario un trasferimento, anche in considerazione del bisogno urgente di locali per parte dell’Amministrazione per i suoi servizi interni.

Alberto Geisser - 1893

Nello stesso anno, il 1893, Alberto Geisser, avvocato, banchiere e consigliere comunale a Torino, pubblica un importante opuscolo dal titolo Deve Torino avere una biblioteca pubblica circolante? in cui sostiene, sulla base di una approfondita e puntuale ricerca relativa alle esperienze bibliotecarie più avanzate in paesi come Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Germania e Svizzera, che una moderna biblioteca pubblica, “popolare”, debba necessariamente contemplare tra i servizi offerti ai suoi lettori il prestito dei libri a domicilio, pena il disattendere gravemente a quella che noi oggi chiamiamo appunto la sua mission: in particolare, l’istanza patrocinata da Geisser è rivolta alla Biblioteca civica di Torino. Prima di entrare nel merito di questa proposta riportiamo il brano dedicato a le biblioteche di ordine scientifico e le biblioteche popolari, contenuto nel primo capitolo:
Oggidì le biblioteche si possono dividere in due categorie ben distinte, a seconda del loro scopo, scopo che a sua volta prescrive speciali provvedimenti e si svolge in una diversa cerchia di pubblico.

La prima: le biblioteche intese a raccogliere le manifestazioni tutte del pensiero, manoscritte od a stampa, ad alimentare ed agevolare la ricerca scientifica, ad essere corredo degli istituti superiori.

La seconda: le biblioteche le quali mirano invece essenzialmente all’istruzione ed all’educazione del maggior numero. – complemento e proseguimento delle scuole elementari e secondarie. L’istruzione scientifica superiore dall’un canto, l’istruzione elementare e secondaria dall’altro, ci offrono un chiaro e calzante parallelo di quanto debbano essere rispettivamente nello scopo, e quindi nei metodi loro, le biblioteche scientifiche e quelle popolari.
Appartengono al primo ordine di biblioteche, istituzioni quali la biblioteca del British Museum, la Bibliothèque Nationale di Parigi, e ad esso si debbono aggruppare preponderantemente le biblioteche universitarie di tutti i paesi e così del nostro. Sono destinate agli adulti, a chi fa dello studio la esclusiva o principale occupazione sua. Il profano ne potrà certo ricavare a volte profitto e diletto, come da una visita a un museo.
Ma solo il dotto e lo specialista saprà sceverare degnamente i tesori che vi sono raccolti, prenderne le mosse a nuove ricerche e conquiste del vero. L’immensa maggioranza dei visitatori invece ne potrà riportare un ricordo frammentario, curioso, piacevole, fors’anco fruttuoso, ma non farà mai di una biblioteca scientifica, più che di un museo, un’abitudine e quasi un perno della vita.
Di siffatte biblioteche non mi occuperò, chè esse eccedono come il tema di queste pagine, così la competenza mia.

Il secondo ordine di biblioteche, - cioè le biblioteche popolari, - sono destinate al gran pubblico, ad ogni persona fornita di istruzione elementare o mezzana; si propongono di essere semplicemente focolari di coltura, di utili cognizioni, di piacevole ricreazione e di eccitamento dello spirito. Quindi non tutti i libri, non annali possibilmente completi del sapere umano in ogni paese ed età, ma essenzialmente i libri adatti o desiderabili al maggior numero, per materia e per lingua, debbono formare il patrimonio delle biblioteche popolari.
Alla diversità dello scopo, al numero tanto maggiore delle persone cui possono servire, devono necessariamente corrispondere per le biblioteche popolari speciali metodi e mezzi di azione. Nella stessa guisa che l’istruzione primaria deve, per l’essenza stessa del suo istituto, comprendere tutti i fanciulli in una data età e procacciare di conferire loro quella maggior copia di cognizioni positive, di abitudini intellettuali e morali consentita dalle possibilità attuali, - così le biblioteche popolari debbono proporsi di abbracciare il più largo numero di lettori e di raggiungere la maggiore intensità nella circolazione dei buoni libri.
Ora è ovvio come in città popolose le distanze, le occupazioni professionali o domestiche dei più fra gli abitanti, i limiti stessi di spazio, di tempo, di spesa prefissi per necessità di cose ad ogni servizio pubblico non permettono di conseguire lo scopo di una biblioteca popolare, se non dandovi forma di biblioteca circolante, ossia col prestito dei libri a domicilio.
E chiaro è pure che fra la stessa scolaresca delle classi elementari e secondarie, dove l’allievo trascorre poche ore al giorno ed in parte soltanto dell’anno, il libro non può svolgere la benefica sua azione istruttiva ed educatrice se non venga affidato al fanciullo stesso, fra le pareti domestiche.
Col sistema in vigore fra noi, insegniamo bensì a leggere, ma non ci curiamo di sapere se e cosa legga il fanciullo nelle cui tenere mani abbiamo posto uno strumento efficace pel bene, non meno formidabile pel male. Tutto ciò hanno inteso da tempo le nazioni più civili che consideriamo emule ed eguali al nostro paese e vi hanno contrapposto il solo rimedio attuabile, una vasta e sempre più fitta rete di biblioteche circolanti.
In Francia, in Isvizzera, in Germania, in Inghilterra, negli Stati Uniti, più non si discute sui concetti fondamentali delle biblioteche circolanti. Sono senz’altro giudicate utilissime, anzi necessarie, e l’opera dei loro fautori, degli stessi poteri pubblici, è solo rivolta a crescerle di intensità e di numero. L’idea non è nuova neppure in Italia, ma le applicazioni frammentarie, infelici, ch’essa vi ha avuto, per insufficienza di mezzi, di metodo e di volontà tenace, sono forse riuscite più che altro a rafforzare quello scetticismo che è la comoda e decorosa risposta della inerzia umana ad ogni innovazione. Nelle pagine seguenti io mi sono studiato di dissipare coll’autorità degli esempi altrui i pregiudizi paurosi e l’indifferenza che hanno fin qui tenuto lontano dal nostro paese uno dei fattori più efficaci per l’istruzione ed educazione popolare.

Ho ravvisato preferibile il porre in rilievo i tratti salienti di alcune tra le più notevoli biblioteche popolari, anziché tracciare, generalizzando, un’immagine sistematica e quasi ideale di siffatte istituzioni. Questo disegno implicherà ripetizioni e riuscirà forse tedioso: ma l’immagine ne uscirà più viva e conforme alla realtà; essa darà, per quanto me lo permette la necessaria brevità, qualche luce sulle vicissitudini e lo svolgimento graduale di siffatte istituzioni, - e consentirà alle persone competenti di sceverare quali elementi e modalità meglio risponderebbero all’indole nostra ed alle difficoltà che sono sempre compagne ad ogni nuovo sperimento ...

Dopo aver esposto il lungo risultato della ricerca sulle biblioteche “popolari” più avanzate in Europa ed anche negli Stati Uniti, Geisser dedica gli ultimi due capitoli alla Biblioteca civica di Torino. Nel primo di questi, intitolato La Biblioteca civica di Torino, egli presenta l’Istituto cogliendo alcuni punti critici.
Scrive l’autore: A meglio lumeggiare la posizione ed il compito della biblioteca municipale di Torino in rapporto all’istruzione ed alla coltura della nostra cittadinanza, convien ricordare che Torino, sede di un’Università la quale conta oltre 2000 studenti, possiede pure una biblioteca nazionale colla quale è provveduto alle esigenze della scienza, ai bisogni dei professori e degli studenti universitari, nonché di quelli fra i nostri concittadini i quali coltivano studi di ordine più elevato ...
La biblioteca nazionale torinese, al pari delle altre, e come consiglia l’indole di siffatti istituti scientifici, non dà opere in prestito che con norme speciali e rigorose ... Non richiamerò qui le differenze profonde e caratteristiche fra le biblioteche scientifiche e quelle popolari. Solo giova l’accennare che l’istituzione di una biblioteca nazionale connessa all’università, lascia viemmeglio libera la biblioteca civica di rivolgere l’opera sua alla diffusione della coltura fra le classi più numerose della popolazione.

Ciò, se non mi inganno, ridonderà pure a vantaggio della biblioteca nazionale di Torino la quale fin qui ha non pochi lettori e deve servire a bisogni affatto estranei, gli uni e gli altri, all’istituto suo.

Fatta questa premessa l’autore prende in esame i dati statistici e nota come dal 1869, data della fondazione, sia il numero dei volumi (83.000 alla fine del 1891), sia quello dei lettori (75.000 nel 1891) siano stati in costante aumento, e aggiunge: il maggior concorso, così osserva l’egregio Direttore della biblioteca nella sua relazione pel 1891, è dato dagli scolari, dagli studenti e dagli operai. Un punto critico però riguarda il numero di opere richieste nel 1891: furono 89.400, cifra che rappresenta una circolazione di poco superiore ad una volta per ogni volume od opuscolo posseduto dalla biblioteca e non può non apparire esigua, anzi insufficiente, ragguagliata ad una popolazione di oltre 300.000 abitanti.
Per quanto riguarda la spesa per la biblioteca due sono i punti critici: il primo è il costo medio per ogni lettore: ritenuta la spesa annua di L. 36.000 e la cifra di 75.000 lettori che frequentano la biblioteca civica nel 1891, si ha una spesa media per lettore di 48 (quarantotto) centesimi. Confrontando questa cifra con quelle delle buone biblioteche popolari circolanti, si vedrà quanto queste riescano proporzionalmente più efficaci e meno costose di una biblioteca fissa quale la nostra Civica, malgrado i molti suoi pregi.
L’altro punto riguarda la proporzione della spesa per le biblioteca alla spesa complessiva per l’istruzione pubblica: nel quinquennio 1888-92 alla Biblioteca furono destinati solo 1,61 per cento (1,61 %) delle somme totali che il nostro Comune ha erogate per l’istruzione pubblica, e 6,67 p. % delle spese facoltative ordinarie [alle quali appartengono quelle per la Biblioteca] relative a tale ramo; - percentuale che si riduce a 5,52 %, ove si ragguagli al complesso delle spese facoltative (ordinarie e straordinarie) per la pubblica istruzione.

Scrive l’autore a proposito del regolamento: La biblioteca civica è retta da un Regolamento che il Consiglio Comunale approvò nella seduta del 25 novembre 1878, senza discussione alcuna. Di questo regolamento viene in particolare considerato l’articolo 1: «La Biblioteca Civica ha per oggetto principale di favorire lo studio delle scienze applicate alle arti ed alle industrie, e di fornire cognizioni utili alla classe operaia». … L’autore, considerando i principii cardinali sovra i quali si basa questo Regolamento – secondo la Relazione fatta nel 1878 dalla Giunta al Consiglio, - si sofferma sulle seguenti affermazioni: «Che l’oggetto principale della Biblioteca Civica sia costantemente quello di fornire cognizioni utili alla classe industriale e di vantaggiare lo studio delle scienze applicate alle arti ed alle industrie»; e inoltre: «Ad inevitabili pericoli di veder manomessa la proprietà dei libri si andrebbe incontro ove si tenesse aperta la via alla facoltà di chiederli a prestito. Una costante esperienza ha provato, come avviene altrove, che usciti una volta dalla Biblioteca non vi rientrano più. D’altronde il modo speciale col quale la biblioteca civica deve attendere a favorire la coltura del paese sta essenzialmente nel tener aperte le sale di lettura e di studio, massime a coloro, i quali professano un’arte od un’industria, o desiderano di trovare un nobile ed utile svagamento alle loro fatiche quotidiane con qualche amena lettura nelle ore serali o nei giorni festivi». A queste affermazioni contenute nel regolamento e nella Relazione del 1878, Geisser così replica: I dati di fatto riflettenti le biblioteche estere che ho addotti, con copia forse molesta, provano come gli autori del Regolamento trascurarono completamente quanto si veniva facendo da molti anni e su larga scala in tutti i paesi più civili, e scalzano senz’altro la nuda affermazione, in virtù della quale vollero bandito il prestito dei libri.

Le notizie che ho riportate circa la nostra biblioteca civica, dimostrano dal canto loro altresì come l’azione di questa non si sia, in fatto, contenuta entro i limiti troppo angusti, quasi esclusivi, che il Regolamento doveva, nell’animo dei suoi compilatori, prefiggerle. I risultati dell’esperienza, nostrana e forestiera, ci insegnano quindi che gli autori dell’attuale ordinamento della nostra biblioteca civica, uomini per molti altri titoli altamente onorandi e benemeriti, furono in questa prova impari al compito loro; non si ispirarono a cognizioni di fatto abbastanza estese e precise, a criteri sufficientemente larghi circa l’influenza educatrice generale d’una biblioteca comunale e la feconda alleanza della biblioteca con la scuola.
È lecito, anzi doveroso, soggiungere che Giuseppe Pomba, il coraggioso volgarizzatore di buoni libri fra noi, avrebbe avuto, secondo mi fu affermato, ben diverse vedute, se la vita gli avesse consentito di far forte e provetta quella biblioteca che fu soprattutto creazione di lui e che andrà ognora congiunta all’onorata sua memoria.

Un altro appunto che Geisser muove al regolamento è come esso disciplini la composizione della Commissione biblioteca: da questa sono esclusi i cittadini tutti non appartenenti al Consiglio comunale. Pur tenendo ferma la prevalenza dell’elemento consigliare in un istituto che è essenzialmente a carico del Comune, sembra ovvio che l’aggiunzione di altri elementi potrebbe apportare utile concorso di opera, di idee nuove, rendere più largamente nota in tutte le classi e quindi più feconda di buoni risultati la nostra biblioteca, procacciarle anche oblazioni piccole e grandi.

Nel secondo dei capitoli dedicati alla Biblioteca civica, dal titolo Se, perché, come si dovrebbe attuare la biblioteca popolare circolante in Torino, l’autore, dopo una premessa sull’occasione in questo senso costituita dal trasloco in un nuovo edificio su cui si pronuncerà il Consiglio comunale, e dopo aver confutato e respinto le possibili obiezioni di carattere morale e materiale alla sua proposta, passa a delineare concretamente il possibile percorso per trasformare la Civica in una biblioteca circolante. Il Consiglio Comunale dovrà prossimamente deliberare in massima il trasloco della Biblioteca. Questo provvedimento, da attuarsi fra alcuni anni, offre opportuna, e, quasi direi, impellente occasione di esaminare se non si addica a Torino di battere una nuova via nel campo delle biblioteche popolari, e di precorrere, anche in questo, alle altre città italiane. E’ ovvio che la natura e lo scopo di una biblioteca è l’elemento essenziale da tenere presente nel predisporre l’edificio chiamato ad ospitarla, come sì nel regolare la classificazione dei libri, i cataloghi, le norme tutte del servizio interno.
Io non mi assumo di tracciare qui alcun preciso disegno, compito questo cui l’attuale Assessore per la Biblioteca Civica, mio onorato e caro maestro, ed il benemerito Direttore della Biblioteca stessa possono meglio d’ogni altro risolvere e in modo soddisfacente, con l’esperienza propria e con la scorta degli esempi altrui.
Le biblioteche popolari e scolastiche che sono venuto rapidamente illustrando, non hanno raggiunto, senza fatiche ed errori, senza l’opera emendatrice del tempo, l’attuale floridezza. Difficoltà materiali e morali non mancheranno neppure fra noi, e specifiche obbiezioni saranno verosimilmente sollevate non contro l’istituzione in se stessa, ma contro l’attuazione sua fra noi, invocando le esigenze del bilancio, ecc., e magari anche il grado, certo onorevole, che lo sviluppo dell’istruzione pubblica ha già, non senza gravi sacrifizi pecuniarii, raggiunto fra noi. Ma gli uomini che hanno retto e reggono la nostra Amministrazione municipale, ci hanno dato ognora l’esempio di combattere le difficoltà e superarle. Perciò io mi restringerò ad abbozzare poche idee intese a dissipare siffatte obbiezioni specifiche, le quali, nel sommesso mio avviso, non hanno fondamento, ed a rendere forse in alcuna parte più agevole e sicuro lo sperimento della biblioteca municipale circolante fra noi.

Per quanto riguarda le difficoltà materiali, Geisser si aspetta oltre al concorso dell’Amministrazione municipale anche quello di Enti morali, quali le Opere Pie di S. Paolo e la nostra Cassa di Risparmio. Istituzioni che mirano a provocare e rendere fruttuoso il risparmio, a moltiplicare i tenui capitali pel bene degli individui e del paese, non potrebbero destinare parte degli utili che loro sopravanzano, a scopo più saggio: poiché una popolazione istruita e che nell’imparare riconosce una forza ed uno dei suoi svaghi migliori, è sempre la prima ricchezza di ogni nazione. Prosegue l’autore: farà verosimilmente difetto la generosità dei privati cittadini, specie se il Consiglio comunale vorrà allentare i vincoli soverchiamente rigidi che fanno oggidì della Biblioteca Civica un servizio municipale al pari di tutti gli altri, e restringono ai solo Consiglieri comunali l’eleggibilità nella Commissione per la Biblioteca. Ho detto allentare e non spezzare i vincoli che legano la Biblioteca a tutta la vasta azienda municipale.
È risaputo infatti che il carattere esclusivamente ufficiale di qualsivoglia istituzione allontana od infiacchisce troppo spesso l’amorevole concorso di molti individui, e si risolve nel lasciare alla sola provvidenza delle autorità quello che pur potrebbe e dovrebbe essere compito comune dei singoli cittadini e dei loro rappresentanti.

Tornando all’apporto della Amministrazione municipale Geisser sostiene, cifre alla mano, che malgrado la liberalità costantemente spiegata a favore dell’istruzione pubblica, la nostra città molto può e deve fare, ove voglia emular l’esempio dei paesi più progrediti e civili. In particolare, riguardo all’istruzione elementare egli, pur riconoscendo che Torino tiene il primato fra le grandi città italiane per la efficace propagazione dell’istruzione elementare, ritiene che si dovrebbe fare molto di più seguendo l’esempio dei paesi più avanzati. E conclude: E dacché l’analfabetismo si è fortunatamente dileguato dalle nostre mura, ci si addice ora di afforzare e migliorare l’istruzione generale con provvedimenti nuovi per noi, ma già da tempo attuati e fiorenti altrove, come sono appunto le biblioteche pubbliche circolanti.

Geisser affronta quindi le obiezioni morali che potranno sorgere contro la sua proposta: Quanto alle difficoltà d’ordine morale, - la natura stessa di queste difficoltà, - fra le quali primeggia la diffidenza e la imperfetta educazione del pubblico, - l’esistenza d’una biblioteca ragguardevole e già conosciuta, qual è la nostra Civica, - i mezzi di cui dispone un Municipio, col personale insegnante, gli edifizi scolastici, coi poteri di polizia, - l’affiatamento che è fra la popolazione nostra e la sua amministrazione municipale, - il prestigio e la simpatia di cui questa è circondata nell’opinione universale, - tutte queste circostanze rendono manifesto che il nostro Municipio può iniziare lo sperimento della biblioteca circolante con agevolezze, con probabilità di buon successo e con modicità di spese, quali sarebbe vano sperare per qualsiasi associazione di cittadini. Il nostro Municipio può, e data l’eccellenza della istituzione, mi permetto di dire, deve avviare esso quello sperimento, tanto più che la Biblioteca Nazionale universitaria già provvede all’ordine più elevato di studi e di studiosi.
Prosegue l’autore: Sgombrato così il campo dalle principali difficoltà ed obbiezioni di ordine finanziario e morale, accennerò ora varii avvedimenti pratici, i quali potrebbero forse far più piana e facile la via alla nuova istituzione.
Geisser pianifica qui un percorso che dovrebbe portare la Biblioteca civica a diventare, gradatamente, una biblioteca essenzialmente circolante: individuare i libri da escludere dal prestito; pubblicare un catalogo generale e cataloghi speciali insieme agli elenchi dei nuovi acquisti che servano come guida per i lettori meno esperti; stabilire accordi con la polizia municipale; predisporre tessere per il prestito di durata semestrale. Il prestito inizierebbe a venire concesso agli insegnanti delle scuole di ogni ordine e gado , ai funzionari municipali e governativi. Gli insegnanti potrebbero consentire il prestito ai loro allievi meritevoli, lo stesso potrebbe accadere presso gli altri istituti, presso i circoli culturali, le scuole serali e femminili, le scuole operaie, ecc. Non è chi non veda quale efficace complemento d’istruzione e di educazione la biblioteca civica apporterebbe a queste utilissime istituzioni; come la conoscenza e l’uso della biblioteca civica si diffonderebbero fra i ceti della popolazione nostra, cui essa è specialmente destinata; e si preparerebbe gradatamente il terreno per poter consentire, in capo ad alcuni anni, il prestito dei libri con la stessa larghezza di cui ci danno esempio le città inglesi ed americane.
Certo non mancherebbero neppure da noi libri non restituiti e, più, libri logori e sciupati da sostituirsi.

Ma forsecchè la stessa moneta preziosa non si logora coll’uso? Come la moneta, che è veicolo a tutti gli scambi della vita civile e commerciale, così i libri, questo potentissimo veicolo del pensiero e del sentimento umano, non adempiono all’ufficio loro essenziale se non circolando. E consumarsi, svolgendo la propria azione, è il saggio e non inglorioso destino di ogni cosa viva e feconda.

Geisser ritiene anche che il Municipio dovrebbe provvedere alla creazione, come parte della Biblioteca civica, di una sezione circolante di libri dedicati alle arti industriali; ed anche alla sperimentazione di biblioteche scolastiche presso alcune scuole elementari della città. Conclude l’opuscolo un accorato appello da parte dell’autore sulla connessione della biblioteca con l’educazione e l’istruzione popolare: A più d’uno parrà pure ch’io abbia esagerato l’azione delle biblioteche popolari, collegando ad esse risultati che sono dovuti a molte e potenti istituzioni, anzi ai principii stessi dell’odierna civiltà. Lungi dal disconoscere queste cause e gli effetti loro, osserverò soltanto che non poteva essere compito mio il discorrerne, e che, senza pretendere di dar ragione dei progressi conseguiti dai popoli più civili, mi ero proposto di dimostrare in qual modo si connettano colle biblioteche popolari. La biblioteca dell’antica Alessandria portava scritto in fronte: «Ospizio dell’anima». Oggi, nella luce della civiltà cristiana che di tutti gli uomini ha fatto fratelli, nel progresso delle libertà politiche che di ogni uomo hanno fatto un cittadino, fra le mute sofferenze, le accese rivendicazioni, le quali, accusatrici concordi di un grave disagio, minacciano la pace della nostra società, questa «cura delle anime»rifulge più imperioso dovere ad ogni uomo, ad ogni potere pubblico.

Costanzo Rinaudo - 1895

Rievocando la figura del fondatore durante la Commemorazione di Giuseppe Pomba ricorrendo il centenario della sua nascita, il 17 febbraio 1895, in occasione dell’inaugurazione della novissima sala della Biblioteca civica, frutto dell’ampliamento “in loco” della sede di Palazzo civico realizzata in alternativa al progettato nuovo edificio in via Arsenale, Costanzo Rinaudo così ricorda la proposta di fondare una biblioteca municipale: Fin dal 1848 il Pomba era stato chiamato dalla cittadinanza torinese a sedere nel Consiglio municipale, del quale fece parte fino alla morte, avvenuta in Torino il 3 novembre 1876. Nei Consigli del Comune recò l’assiduità e l’attività dimostrata nell’arte sua, larghezza di vedute, mirabile buon senso, e soprattutto amore al popolo, dal quale era sorto, e per il quale aveva intrapreso molte sue pubblicazioni. Un proposito soprattutto s’era fisso nella mente: indurre l’amministrazione del Municipio torinese a coronare l’azione benefica rivolta all’istruzione elementare con la fondazione d’una Biblioteca popolare.

Una biblioteca pubblica destinata al popolo rappresenta un grande servizio intellettuale e morale e ad un tempo una grande economia per i cittadini. L’istruzione ricevuta nelle scuole primarie è affatto insufficiente alla vita moderna, anche delle classi operaie. Le biblioteche circolanti, utilissime e bene ordinate, non bastano allo scopo, sì perché sfornite per loro natura delle opere più costose, soprattutto in argomento di disegno industriale, come perché deficienti dei comodi opportuni al raccoglimento della lettura. E cogli operai possono giovarsi d’una pubblica biblioteca popolare gli studenti meno agiati, che non trovano nelle case loro né libri, né quiete, anzi spesso gravi distrazioni e cattivo esempio.

Desiderio Chilovi - 1904

Desiderio Chilovi, direttore della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, dedica l’articolo Per la nuova Biblioteca di Torino pubblicato nell’aprile 1904 sulla “Nuova Antologia” alla situazione bibliotecaria venutasi a creare a Torino dopo il disastroso incendio della Biblioteca universitaria, avvenuto nel gennaio di quell’anno, insieme all’annoso e grave problema della mancanza di una sede adeguata per la Biblioteca civica.

L’autore riporta l’interessante discussione sul tema avvenuta in Consiglio comunale circa un mese dopo l’incendio: … il consigliere Depanis, svolse una sua interrogazione per sapere quali erano gli intendimenti dell’on. Sindaco e della Giunta circa la Biblioteca civica, e anche l’eventuale fusione della medesima, o di una parte di essa, «con un grande ente, che riccamente dotato, e raccogliendo le singole iniziative e i tesori di cultura disseminati qua e là in locali malsicuri od inadatti, valga, col largo appoggio dello stato, a rendere meno disastrose, quanto agli studi, le conseguenze dell’incendio della Biblioteca nazionale».
Questa interrogazione, molto opportuna, e la relativa proposta, erano suggerite dalla convinzione che la biblioteca incendiata non potesse assolutamente più rimanere nel palazzo della Università, di più che fosse necessario provvedere ai locali della Biblioteca civica, perché angusti e insufficienti al bisogno.
La necessità di provvedere alla Biblioteca universitaria è, dopo l’incendio, non solo evidente, ma logica ed inevitabile: i locali poi che la Biblioteca civica avrebbe lasciati, per ottenere una sede più ampia e migliore, rendevano anche possibili notevoli miglioramenti ad alcuni Uffici comunali. Così stando le cose, concludeva chiedendo che l’on Sindaco e la Giunta, esaminassero, se il Governo e il Municipio dovevano pensare a provvedere ognuno per conto proprio; oppure, riunendo in un solo ente le due biblioteche, procedere d’accordo nei comuni intenti. Egli era d’avviso che, per Torino, sarebbe stato miglior consiglio quello di avere una sola biblioteca grande e con mezzi sufficienti, invece di due istituti destinati a vivere vita stentata. Ma egli stesso giustamente si accorgeva, che fini di queste due biblioteche erano fra di loro molto diversi; e per questo accennava, nel caso che dovessero rimanere separate, al modo con cui si poteva ripartire la suppellettile letteraria per renderla più utile a tutti. Allora il Municipio avrebbe potuto togliere dalla Biblioteca propria, una parte dei libri esclusivamente destinati ai dotti e agli scienziati, per offrirli in dono alla nuova Biblioteca universitaria ... A lui rispose l’assessore prof. Costanzo Rinaudo, conosciutissimo a chi si occupa dell’ordinamento delle biblioteche per la sua bella relazione, scritta nel 1893, sulla necessità di trasferire la Biblioteca civica di Torino, e sul progetto di un nuovo edificio, con molta cura studiato dall’ingegnere Daniele Donghi, per ottenere un ordinamento razionale, rispondente a nuovi disimpegni della biblioteca. Egli dichiarava che partecipava in parte alle opinioni espresse dal consigliere Depanis; ma non a quella che la Biblioteca civica, possa o debba essere smembrata.

Chilovi espone quindi il suo punto di vista sul problema sollevato in consiglio comunale: Il dover provvedere in questo momento anche alla Biblioteca civica è bene: ed il consigliere Depanis ha fatto opera egregia a porre sul tappeto anche questa questione, perché così, si potrà nettamente stabilire il fine diverso delle due biblioteche, per avviare e contenere entrambe nei limiti dovuti.
Alla città di Torino, come alle altre grandi città, urge di provvedere con le sue biblioteche alla istruzione ed educazione popolare, vale a dire, alla cultura generale; e deve provvedere altresì alla cultura letteraria e scientifica speciale. Confondere questi due fini, che richiedono, suppellettili, metodi d’ordinamento e di servizio, ecc., l’uno dall’altro ben differenti, sarebbe la cosa che finanziariamente potrà forse apparire a taluno come la più economica; ma che nei suoi effetti rappresenterebbe il peggiore avviso che in questo momento si potrebbe prendere. Questa fusione sarebbe per Torino, io almeno così credo, una sventura da uguagliarsi a quella dell’incendio ora patito. Aumenterebbe molto, anziché diminuire le difficoltà già non piccole per dare un retto ordinamento alle due biblioteche. Confondendo insieme i lettori si confonderebbe anche, senza volerlo, e si mescolerebbe la più disparata suppellettile letteraria e scientifica e si avrebbe questo stupido risultato: di non saper più a chi essa dovrebbe servire. Sarebbe lo stesso che aprire d’un tratto le sale della Universitaria anche agli alunni delle scuole secondarie, e agli scolari delle elementari. E il danno durerebbe fino a quando la nuova biblioteca, che si farebbe ora sorgere dalle ceneri, dovesse, per imperiosa necessità delle cose, o per altro disastro, essere ricostituita di nuovo.
In questa opposizione il prof. Rinaudo ha piena ragione.

È vero, che egli stesso nel suo discorso ricorda come la Biblioteca civica si era per il generoso atto di benemeriti donatori arricchita anche di libri che avrebbero trovata miglior sede nella Biblioteca universitaria. Ma ciò succede e succederà continuamente non solo a Torino ma anche altrove, per due ragioni: o perché il donatore non ha chiara visione del fine determinato che una tale biblioteca si propone, o perché, mentre desidera di essere utile agli studiosi, guarda con ossequio chi dona. Per molti non è la stessa cosa donare al municipio, o al Governo. Ma chi ha ricevuto il dono ha sempre l’obbligo di strettamente rispettare la volontà del donatore. È cosa sacra! Si potrebbe dichiarare di esser pronti al bisogno a prestare alla sola Biblioteca universitaria anche quei libri che non devono esser prestati ad altri. E questo basta!
E qui importa dire che fra le città d’Italia aventi una Biblioteca universitaria, Torino primeggia per l’invidiata fortuna di averne anche una civica di formazione recentissima; Biblioteca che con grande facilità potrebbe più largamente esercitare l’ufficio suo di soccorrere la cultura generale.

A tal fine bisognerebbe provvedere facendo della Biblioteca municipale esistente il centro dal quale irradiasse per tutta la città il prestito, da compartirsi gratuitamente ai cittadini, dei libri più atti a diffondere una maggiore cultura, a fomentare l’istruzione secondaria, a propagare tutte le cognizioni più vantaggiose al progresso intellettuale, morale ed economico dei cittadini: fine questo della massima importanza morale, politica e sociale.
Lasciato da parte il sistema di avere più biblioteche popolari, staccate e sparse per la città, esercitato da anni a Parigi, a Berlino e a Vienna, e che ora si applica anche a Milano, per opera della benemerita Associazione Umanitaria, converrebbe meglio, a mio avviso, che la città di Torino accettasse per le sue biblioteche l’ordinamento metropolitano delle grandi città americane; ordinamento più sicuro, più efficace, perché è reso nei suoi effetti più potente dalle sue succursali, dalle sale di lettura sparse per i diversi quartieri della città, e dalle numerose stazioni, dove si consegnano e riprendono i libri domandati a domicilio.
Perché Torino non fa, in questo momento tesoro degli studi dell’avvocato Alberto Geisser? Il suo Deve Torino avere una biblioteca pubblica circolante? non è forse il miglior libro italiano che sia stato scritto su questo argomento? Chi in Italia ha studiato questa materia, o ne ha parlato, meglio di lui? ... In ogni modo, domando io, qual è la vera ragione accettabile di questa pregiudicata avversione al prestito dei libri?
Nei tempi passati la Biblioteca municipale era istituita per la gente dotta, la sola che sapesse leggere e studiare; ora, invece, essa è rivolta alla grandissima maggioranza dei cittadini. Agli scienziati, che hanno il tempo e la possibilità di recarsi, ad ogni ora, alla biblioteca già provvedono con le loro sale di lettura e col prestito, a spese del Governo, le biblioteche annesse agli istituti scientifici e letterari, e le grandi biblioteche universitarie e nazionali. Nel presente stato di cose, come è mai possibile, pensare che una biblioteca, destinata a cittadini laboriosi, e vincolati nelle ore, svolga in modo efficace la propria azione istruttiva, se si obbligano tutti, stanchi dal lavoro, a recarsi alla biblioteca in ore determinate, e si nega ad essi il prestito dei libri? Cotesti libri, in fin dei conti, furono esclusivamente acquistati per loro, e pagati con il loro denaro. Ma si dirà: chi ci salva dalle dispersioni, dalle sottrazioni? ... Si prendano le precauzioni, le cautele che si giudicano necessarie; si separino dagli altri i libri che per la loro rarità non devono essere mai dati in prestiti; si applichino tutti i provvedimenti legislativi vigenti altrove, e altri ancora se non bastassero; ma non si neghi il prestito. Una così grande diffidenza non è giustificata, e chi deve in proposito decidere, si ricordi, come ho già scritto un’altra volta, che noi italiani non siamo più ladri degli altri! (1)

Dopo un dettagliato excursus sulla biblioteca pubblica di Boston, con le sue 10 succursali, e sul numero di prestiti effettuati incredibilmente elevato, l’autore così prosegue: Nessuno oggi pretenderebbe tanto da Torino. Ma quale ragione speciale impedirebbe il Municipio di quella illustre città di percorrere, con più modesti intendimenti, la stessa via? Perché non completare con la propria Biblioteca l’alto ufficio che spetta a quella universitaria, e a tutte le altre biblioteche d’istituti di insegnamento e di associazioni scientifiche?

L’assiduità con cui è frequentata la Biblioteca civica, e il numero dei lettori sempre crescente nelle sale di lettura dell’universitaria, dimostrano eloquentemente col fatto quanto sia vivo tra i cittadini il desiderio di istruirsi. Perché il Municipio non crederebbe di dover secondare in tutti i modi cotesta nobile tendenza?

Nel 1905 la Biblioteca civica istituisce il prestito dei libri.

Enrico Mussa - 1924

Nell’opuscolo Biblioteca civica: cenni illustrativi, pubblicato nel 1924, il direttore Enrico Mussa dedica tutto il capitolo II alla Fisionomia generale della Biblioteca. Lo riportiamo per intero.

Nel capitolo II l’autore affronta il tema della Fisionomia generale della Biblioteca.
La Biblioteca Civica, originariamente sorta coll’oggetto principale di favorire lo studio delle scienze applicate alle arti ed alle industrie e d’offrire cognizioni utili alla classe operaia, fin dall’inizio subito ampliò la sua sfera d’azione assumendo un carattere di sagace eclettismo.

Questo eclettismo non fa però della Civica un duplicato della Biblioteca Nazionale Universitaria, ma risponde in realtà ad un particolare atteggiamento delle esigenze della moderna cultura di una grande città. Essa da un lato continua le tradizioni iniziali di soddisfare i bisogni della cultura professionale (tecnologia ed arte applicata)e dall’altro offre ampio materiale di cultura generale. L’autore chiarisce ulteriormente in nota quanto esposto: Le causali della fondazione accennano ai cittadini che professano arti e mestieri come a scopo diretto, non esclusivo, ed è evidente che le arti e mestieri abbracciano una cerchia così vasta di cognizioni da rendere necessario l’eclettismo a differenza del tecnicismo. Ma anche nel suo sviluppo la Biblioteca ha conservato un carattere suo proprio e la copiosa raccolta di opere d’arte e l’aula apposita per i disegnatori sono una prova che agli studiosi dell’arte e dell’industria ha sempre avuto uno speciale riguardo.

Questo suo duplice carattere di Biblioteca professionale e di cultura generale non impedì la formazione simultanea di talune Specialità a tutto vantaggio della cittadinanza ed a lustro della Biblioteca stessa.
E così specialmente in questi ultimi anni la Biblioteca perseguì il suo programma di individualizzare sempre meglio le Sezioni che effettivamente erano venute profilandosi appunto in armonia col suo carattere eclettico.

La funzione della nostra biblioteca si esplica sviluppando come infra le sue raccolte:
1. - Sezione di
Cultura generale (scienze, lettere, filosofia, sociologia,diritto, storia generale, geografia, ecc.).
2. -       id.        
Letteratura amena.
3. -       id.         Risorgimento.

4. -       id.         Giobertiana.
5. -       id.         Teatro (Storia, Critica, Testi, Melodrammi, ecc. ).
6. -       id.         Torino - Piemonte - Casa Savoia.
7. -       id.         Dialetto piemontese.
8. -       id.         Musicale (Storia, Critica, Dottrina musicale).
9. -       id.         d’Arte (Storia dell’arte, arte pura ed arte applicata).
10. -     id.         Tecnologia (Scienze applicate).
11. -     id.         Bodoniana.
12. -     id.         Bibliografia.
13. -     id.         Manoscritti (Autografi).
14. -     id.         Pubblicazioni Ufficiali (Leggi e decreti – Pubblicazioni dei Ministeri, Atti Parlamentari, ecc.).

Alcune di queste sezioni già vennero concentrate in apposite scaffalature: per le altre non è stato ancora possibile assumere tale provvedimento per deficienza di locali. Certo, però, in un riordinamento della Biblioteca, questa individualizzazione concreta ed effettiva potrà essere attuata per quel che riguarda la materiale collocazione delle opere in modo organico, a tutto vantaggio dell’assetto tecnico della suppellettile libraria, a tutto profitto della rapidità e praticità del servizio.

Il carattere eclettico della Biblioteca dimostrò un altro notevole vantaggio, cioè quello di procurare doni e legati di intere librerie private per parte di generose persone le quali vollero così dimostrare la loro simpatia alla nostra istituzione ed alla coltura generale della cittadinanza assicurando alla città di Torino un materiale bibliografico che altrimenti sarebbe andato disperso. Ora dette librerie contengono nella loro quasi totalità opere perfettamente adatte ai fini generali o ad uno dei fini particolari dianzi adombrati e che organicamente formano le varie sezioni della nostra Biblioteca: e se per avventura qualche opera non è a rigore perfettamente conforme ai fini generali e speciali della nostra Biblioteca, gli studiosi sono ben fortunati di trovarla e di poter valersi di un materiale che spesso non troverebbero in altre biblioteche torinesi. La Biblioteca possiede una trentina di tali librerie pervenute per dono o per legato.

E così concludendo: Al disotto della Biblioteca Nazionale Universitaria che provvede alla coltura superiore, al di sopra delle Bibliotechine a tipo schiettamente popolare circolante - che provvedono alla cultura popolare - trova posto la Biblioteca Civica: essa ci fornisce d’opere che rispondono alle esigenze della cultura generale di una città progredita come Torino: cioè produzioni letterarie italiane ed estere, filosofia, critica e storia letteraria, - (ben rappresentata è la letteratura francese di cui la Biblioteca Civica per varie fonti venne ad arricchirsi) - produzioni scientifiche, limitandosi negli acquisti naturalmente ai manuali, ai trattati che rispondono alle ultime acquisizioni della scienza per poter offrire ai lettori ciò che la scienza è nel suo momento attuale, piuttosto che nel suo divenire o nel suo passato - opere di consultazione, dizionari, enciclopedie, atlanti, ecc… A fianco di queste finalità d’indole generale ne svolge altre rappresentate dalle sezioni speciali.

Come si disse la Biblioteca Civica non è il duplicato di altre Torinesi; ben inteso essa possiede, e deve possedere, opere fondamentali di cui qualunque biblioteca deve essere fornita (enciclopedie, dizionari, classici italiani ed esteri, manuali ecc., ecc.) ma certo le altre biblioteche hanno altri intenti, altro carattere, altra fisionomia.

Alvise Grammatica - 1930

Alvise Grammatica, funzionario della Biblioteca, pubblica nel 1930 - in pieno regime fascista - l’articolo Fra i libri e i lettori della Biblioteca Civica: commento alle statistiche in cui, a poco meno di un anno dall’inaugurazione della sede in corso Palestro, fornisce dati statistici da cui emerge un bilancio più che positivo per la nuova sede per quanto riguarda volumi richiesti e numero dei frequentatori.
Dati statistici che tra l’altro confermano, secondo l’autore, l’intima adesione che vien data ai nuovi indirizzi del regime Fascista per la cultura pratica e utilitaristica delle classi lavoratrici e, insieme, per quanto concerne le opere di alta cultura spirituale, [costituiscono] una diretta documentazione del rinato interesse e della particolare considerazione della gioventù studiosa per i problemi di ordine morale, intellettuale e sociale che la politica del Governo Nazionale ha riportato in primo piano nella nuova vita dell’Italia risorta.

Luigi Màdaro - 1931

Nell’articolo La Biblioteca civica di Torino nel 1930: relazione del direttore, pubblicato nel febbraio 1931 sulla rivista “Torino”, il direttore Luigi Màdaro dedica un capitolo all’Incremento delle collezioni librarie, dove il tema della mission emerge chiaramente. Ne riportiamo la parte iniziale.

La nostra Biblioteca sorse da prima - e ne fu, come si sa, la mente e l’anima Giuseppe Pomba - col proposito di favorire lo studio delle scienze applicate alle arti e all’industria e di fornire altresì utili cognizioni di cultura generale a beneficio specialmente delle classi medie e popolari, onde, i ricchi fondi che possono dirsi unici in Torino e dei pochi organicamente allo scopo costituiti in Italia, di opere in materia di arte pura e applicata e di tecnologia, che la Biblioteca possiede, prezioso sussidio proposto allo studio e al lavoro di artisti, artigiani e tecnici. Tuttavia, col passar degli anni, consolidandosi sempre più la fortuna dell’Istituto, grazie alla viva simpatia con cui ne fu sempre auspicato lo sviluppo e al largo contributo che benemeriti donatori portarono con le proprie cospicue e spesso importanti collezioni librarie, la Biblioteca si ornò di molte altre speciali raccolte, che allargandone le funzioni, ad essa conseguentemente imposero con maggiori compiti, più complessi òneri.
Così, via via, fu necessario provvedere all’annuale incremento non solo dei fondi d’arte e di scienza applicata e di cultura generale, ma altresì a quelli della sezione storica del Risorgimento Nazionale, originata dalla pregevolissima collezione Parrini, della Teatrale, cui recentemente fu annesso il nucleo Sacerdote, della sezione Viaggi, Esplorazione e Scoperte Geografiche (Gea), e di quella ora intitolata «Piemonte» [...]

Poiché saggio principio sembra esser quello di regolare gli acquisti di libri ad incremento delle pubbliche biblioteche, secondo la natura di esse ed il carattere delle loro specifiche funzioni, in sedi, specialmente, dove altre Biblioteche possono, armonizzandosi a vicenda, provvedere ciascuna secondo i fini e le proprie raccolte e tutte ai vari bisogni della cultura, a tale criterio sono state principalmente ispirate le proposte che per l’acquisto delle opere la Direzione ha presentato nel corso dell’anno all’approvazione della Commissione preposta al governo della Biblioteca, per corrispondere cioè il più possibile ai particolari bisogni della Biblioteca stessa nelle funzioni che ad essa sono proprie, tenuto conto degli acquisti delle altre Biblioteche della Città, e di quelle, specialmente, di cui il benemerito Consorzio Nazionale per le Biblioteche Popolari ha provveduto le biblioteche rionali circolanti che sono anch’esse di istituzione municipale.

Enzo Bottasso - 1953

Il direttore Enzo Bottasso nel suo articolo Un anno di lavoro nelle biblioteche civiche, pubblicato nel 1953, premette alla lunga disamina sulle condizioni della Biblioteca nella sede provvisoria di Palazzo Carignano (in attesa della realizzazione del nuovo edificio in corso Palestro) interessanti considerazioni sul ruolo di una moderna biblioteca pubblica nella società contemporanea, considerazioni che riguardano anche la Biblioteca civica di Torino.

Le biblioteche pubbliche, istituzioni caratteristiche e, (sia lecito dirlo) fondamentali per la civiltà moderna, così largamente dipendente dalla diffusione della parola scritta e stampata, dovrebbero adempiere ed adempiono di fatto, con sempre maggior consapevolezza, a tre funzioni ben distinte.
Costituiscono in primo luogo un archivio, un deposito di materiali da conservare oltre i limiti dell’attualità o di un’immediata, contingente utilità; una specie di repertorio e di ordinato magazzino dove si può in ogni momento attingere per rintracciare un dato o una notizia altrimenti destinati allo smarrimento od alla dispersione. Ma l’archivio non deve solo presentarsi ordinato ed efficiente al ricercatore ed allo studioso di professione, a chi sa bene quello che cerca, e anche, almeno approssimativamente, dove e come può trovarlo. Deve anche aprirsi, nel modo più accogliente, a chi ha un’idea molto vaga di quanto gli occorrerebbe, o meglio sente soltanto delle esigenze e delle curiosità, ignorando come appagarle. Per questo una biblioteca moderna ha, accanto ai compiti di archivio, di magazzino del sapere, quello di fonte di informazioni, di «documentazione» in grado di porre il suo patrimonio con la maggiore possibile larghezza a disposizione di chi desidererebbe servirsene.

Le trasformazioni sociali e psicologiche contemporanee o successive all’ultima guerra mondiale hanno posto in evidenza, inoltre, una funzione del servizio delle biblioteche pubbliche implicita - almeno come principio - nella loro stessa istituzione, ma non prima degnata di speciale attenzione, nella giustificata convinzione che bastasse a ricoprirla il semplice adempimento dei compiti d’archivio e di documentazione sopra elencati. Si tratta della funzione educativa esercitata dal servizio di lettura pubblica sullo spirito di quanti vi attingono. Non che in passato sia mancata una precisa valutazione dell’importanza e dei compiti educativi della lettura, estrinsecantesi nei modi più diversi, dalle iniziative per la diffusione delle biblioteche popolari alle preoccupazioni per la scelta dei libri e magari nelle varie forme di censura. Solo la più sistematica attenzione dedicata negli ultimi lustri alla formazione dell’opinione pubblica (e quindi, più o meno di riflesso, all’educazione popolare o «dell’adulto» ha fatto però affiorare in primo piano fra i compiti assegnati alle biblioteche pubbliche lo sviluppo della personalità, dello spirito critico e in genere di una partecipazione attiva alla vita intellettuale nei lettori ad essa meno familiari.

Tale molteplicità di funzioni non potrebbe venire ignorata neppure in condizioni normali da un servizio ricco di una tradizione e di un’importanza non soltanto cittadine come quello torinese. Tanto meno ciò è possibile nella presente situazione, in cui i problemi della ricostruzione e di un radicale riordinamento vengono acuiti e resi più assillanti dalle stesse gravissime manchevolezze dell’attuale sistemazione provvisoria. I compiti di educazione popolare che le biblioteche dovrebbero assolvere non possono evidentemente gravare, nelle condizioni del nostro Paese, sull’iniziativa statale […] A quei compiti dovrà supplire prevalentemente l’iniziativa degli Enti Locali, magari attraverso nuove formule di impostazione e d’alimentazione adeguata dei servizi ove più non reggano le antiche. Dove si potrà trovare una base migliore per coordinare e sviluppare le iniziative destinate alla cultura del popolo se non negli Istituti a questa specificamente dedicati da parecchie generazioni, sia pure con criteri non sempre e in tutto coincidenti con gli odierni?

Enzo Bottasso - 1967

Enzo Bottasso dedica il lungo articolo La Biblioteca Civica, pubblicato nel 1967, alla storia della Biblioteca. Riportiamo i brani più significativi relativi al tema trattato, a partire dall'incipit. Aperta per ultima fra le biblioteche pubbliche torinesi, il 22 febbraio 1869, la Civica si è trovato affidato un ben preciso e vitale programma di servizio fin dalla sua istituzione, proposta in Consiglio Comunale da Giuseppe Pomba nel maggio 1855 ed ufficialmente approvata dieci anni dopo. Questa non venne concepita come semplice utilizzazione, mettendoli a disposizione degli studiosi, dei fondi librari venuti in possesso del Municipio per eredità o in seguito a disposizioni legislative, come accadde per molte consimili biblioteche comunali Giuseppe Pomba, ormai anziano pioniere dello sviluppo dell’industria tipografica e editoriale, che soprattutto per merito suo cominciò ad avere a Torino uno dei suoi centri maggiori, dedicò la propria attività di consigliere a promuovere la fondazione di una biblioteca comunale, ma non semplicemente per rinnovare delle iniziative del passato o per dotare la propria patria di quella seconda biblioteca pubblica, che già vantavano «le più cospicue città d’Italia, Roma, Firenze, Milano…». Come dichiarò nella proposta scritta indirizzata al Sindaco il 28 maggio 1855, «è cosa singolare che una città popolata come è ora la nostra Torino, non possieda che una Biblioteca pubblica, quella cioè della R. Università, la quale, se è ricca di opere antiche classiche ed in ogni lingua, splendide per lusso tipografico, e doviziosa pure di numerosi e preziosi manoscritti, non è similmente ben fornita di opere moderne nelle scienze naturali, nelle fisiche e chimiche e nelle meccaniche, di quei rami cioè dello scibile umano, che tornano più utili agli studiosi artisti d’ogni genere ed ai commercianti. Ciò nasce dall’aver quella biblioteca sempre avuta una dotazione scarsa a’ suoi bisogni, per cui, pagate le spese degli impiegati, poco rimaneva per lo acquisto dei libri più necessari al popolo, non dovendo essa trascurare l’acquisto delle opere splendide e di lusso, che non si possono facilmente acquistare da tutti i privati. È perciò lamento generale che in quella Biblioteca invano si cerchino le opere moderne d’uso generale, le quali dovrebbero anzi possedersi in numero maggiore di un esemplare. Inoltre la detta Biblioteca non è aperta in quelle ore in cui l’artista e il manifatturiere possono più facilmente frequentarla». Prefisse cioè all’istituzione da lui caldeggiata un compito ben preciso «di complemento ad un’altra utilissima istituzione di questo medesimo Municipio, stata fondata in seguito a proposta dello zelantissimo ed operosissimo nostro collega il cavalier Capello, quella voglio dire delle Scuole serali per gli apprendizzi artisti e commercianti. Questi giovani, che da sei anni frequentano le dette scuole con profitto, come è dimostrato dall’annuale distribuzione dei premii, ch’è una vera festa pubblica, e quelli specialmente delle Scuole di disegno, ora che hanno ricevuto l’insegnamento, avrebbero bisogno di studiare e perfezionarsi nelle opere stampate riguardanti l’architettura, l’ornato, la meccanica ecc.., delle quali non possono cogli scarsi loro mezzi provvedersi perché assai costose. Farebbe quindi opera santissima il Municipio fondando una Biblioteca sua propria e ad uso non solo di questi allievi delle pubbliche Scuole comunali, ma di tutti i cittadini, fornendola non tanto di quelle opere che solamente servono, dirò così, d’ornamento alle sale, ma precipuamente di quelle di vero uso pratico e di vera utilità agli studiosi delle scienze fisiche e chimiche applicate alle arti, alla meccanica ed alle altre scienze positive».

Questa impostazione tecnologica, e quasi contrapposta come tale a quella umanistica delle biblioteche esistenti, non va naturalmente presa alla lettera; e non lo fu, di fatto, dalla Commissione incaricata più tardi di mandare ad effetto il disegno, con la partecipazione dello stesso Pomba, la quale preferì alla soluzione esclusivamente tecnico-professionale (si parlò anzi addirittura di una biblioteca «speciale, cioè tecnico industriale, da annettersi all’Istituto industriale e professionale creato col R. D. 23 maggio 1865») quella di cultura generale ad uso di tutti i cittadini, «con un bibliotecario che si confaccia alla natura dei lettori che si presentano, e che ad esso chiedano informazioni». Vale tuttavia la pena di notare come un itinerario del genere sia stato percorso non soltanto nelle discussioni dell’organo promotore, ma nella stessa realtà delle esperienze compiute dalla maggior parte delle biblioteche ottocentesche nei Paesi di più avanzato sviluppo industriale; dapprima, sotto forma magari associativa, al servizio dei lavoratori dell’industria e del commercio (Mechanic’s institutions o Merchantile libraries); quindi servizio pubblico, a naturale complemento dell’intervento delle amministrazioni locali nell’istruzione obbligatoria e gratuita estesa all’addestramento professionale.

La soluzione prescelta consentì l’uso più largo dei doni in libri volonterosamente destinati alla nuova istituzione dal Pomba stesso in primo luogo, da suoi colleghi editori e ben s’intende da numerosi cittadini Il 22 febbraio 1869 fu aperta al pubblico la sala di lettura e fu pubblicato il catalogo della Classe terza [classificazione del Brunet] … che riguardava la parte relativa alle scienze e alle arti, prevalente «appunto perché il Municipio, quando poté disporre di danaro per aquistar libri, si occupò specialmente di arricchire la biblioteca delle opere di scienza e di arte più convenienti a dare ad essa quell’indirizzo speciale per cui l’aveva istituita» ...

Nel 1876 venne destinata alla Biblioteca Civica l’importante raccolta di 800 edizioni bodoniane acquistata nel 1859 dal libraio Pezzi, ed in un primo tempo assegnata al Museo; ma questo e successivi arricchimenti del patrimonio bibliografico nei settori direttamente connessi con la storia e le glorie piemontesi non segnarono un abbandono dell’indirizzo auspicato e sostenuto dal «bibliotecario onorario» Giuseppe Pomba, venuto a mancare ottantunenne in quello stesso anno. L’impegno posto, secondo le sue parole, nel «proseguire quella generale istruzione, che è l’elemento principale del progresso della civiltà de’popoli», trovò rispondenza in un pronto e largo afflusso di pubblico, caratterizzato da un costante incremento in tutti quei periodi in cui l’insufficienza materiale dei locali non costituì una remora troppo grave.

Accantonato il progetto di un nuovo edificio per la Biblioteca in via Arsenale, si preferì per ovviare all’annoso problema della ristrettezza dello spazio ripiegare sull’ampliamento della sede presso Palazzo civico, inaugurato nel febbraio 1895, ma non si tralasciarono, scrive Bottasso, gli studi per una nuova sistemazione, divenuta urgente altresì per la Biblioteca Nazionale dopo l’incendio che la devastò nel gennaio 1904, anche a cagione di inconvenienti analoghi a quelli che affliggevano la Civica fu riaffacciata in quell’occasione, anzi, la vecchia proposta di «ridurre la Biblioteca civica propriamente detta ad una biblioteca tecnica di arti e mestieri, di applicazioni industriali ecc., con sede propria, presso l’Istituto professionale operaio, ed a tutti accessibile», cedendo le opere di alta cultura alla Nazionale e costituendo, con le rimanenti, «quattro o cinque biblioteche parziali, ben distribuite e sul tipo di biblioteche scolastiche e circolanti operaie»; si ripiegò quindi sul meno dissennato disegno di riunire le due biblioteche, ormai alla pari come numero di lettori, in un solo edificio da ricavarsi con minore spesa attraverso l’adattamento del palazzo delle Finanze in via Carlo Alberto. Accanto a questa soluzione, pure oggetto di perplessità in quanto avrebbe potuto in certa misura compromettere il carattere del servizio pubblico, se ne studiarono altre, sempre allo scopo di liberare per le esigenze amministrative la sede municipale e di far posto a un patrimonio librario in costante aumento, anche per la destinazione all’istituto di fondi cospicui

L’autore, dopo aver brevemente accennato allo sviluppo delle biblioteche popolari in Torino fino agli anni Trenta, riprende il discorso sulla Biblioteca civica: La vera e propria Biblioteca Civica non interruppe o rallentò, intanto, il suo sviluppo, pur fra le difficoltà e le incertezze della sempre rimandata sistemazione in sede più idonea. Per valorizzare pienamente un patrimonio bibliografico divenuto ormai cospicuo prese iniziative di «estensione», quali, a quell’epoca almeno, si sarebbero ritenute confacenti piuttosto a biblioteche di conservazione o di ricerca: nel 1900, in occasione di una manifestazione celebrativa del quinto centenario della nascita di Gutenberg, fu allestita nei saloni del palazzo municipale una mostra storica della tipografia piemontese dal secolo XV al XVIII; nel 1913, centenario della morte di Giambattista Bodoni, la doviziosa raccolta delle sue edizioni venne esposta in successione cronologica presso il Borgo Medioevale, dopo esser stata sommariamente illustrata in un apposito opuscolo (e cataloghi a stampa di varie sezioni vedevano intanto la luce, fra il 1911 e il 1916, seguiti poi nel 1926 da un accurato inventario dei carteggi di Gioberti). Ma il servizio pubblico rivolto a tutte indistintamente le categorie della popolazione (e più specialmente ai giovani, che rappresentarono sempre una buona metà dei frequentatori, come risulta, fra variazioni di minor conto nella suddivisione in categorie professionali, dalle rilevazioni statistiche) rimase compito principale dell’istituto; a maggior ragione dopo la crisi conseguente all’incendio del 1904 nella Biblioteca Nazionale, passata definitivamente al secondo posto nel quadro cittadino per movimento di lettori.

Bottasso si sofferma sulla nuova sede della Biblioteca in corso Palestro inaugurata nel 1929 e distrutta nel 1943 da un bombardamento aereo; sulla permanenza provvisoria della Biblioteca nelle sale di Palazzo Carignano e infine sulla sede costruita nel medesimo luogo di quella bombardata, inaugurata nel novembre 1960. L’autore riporta il testo della pergamena murata nel giorno della posa della prima pietra che riassumeva le intenzioni dell’Amministrazione nel varare l’opera:

DISTRUTTO DA BOMBARDAMENTO AEREO
L’VIII AGOSTO MCMXLIII
L’EDIFICIO CHE GIA’ FU
DEGLI ARCHIVI DI GUERRA E MARINA
DAL 1929 RAZIONALMENTE TRASFORMATO
IN MODERNA E FUNZIONALE SEDE
PER LA BIBLIOTECA CIVICA
LA CITTA’ DI TORINO
CONSCIA DELLA NECESSITA’
DI ASSICURARE PIENO ADEMPIMENTO
CON TUTTI GLI ACCORGIMENTI
E I RITROVATI DELLA TECNICA
AI COMPITI SOCIALI EDUCATIVI
E INFORMATIVI
ASSEGNATI ALLA BIBLIOTECA FIN DALLA FONDAZIONE
E DI CONSERVARE DEGNAMENTE
LE PREZIOSE RACCOLTE
VOLLE RICOSTRUITO SULL’AREA MEDESIMA
UN EDIFICIO PER CONCEZIONE
CAPIENZA E STRUTTURA
ADEGUATO AI BISOGNI DELLA RICERCA
DELLO STUDIO E DELLA DIVULGAZIONE

Nella nuova sede il servizio pubblico con rapidissimo ritmo d’incremento non tardò a superare le medie degli anni ’30 (61.152 lettori nel 1961, 66.152 nel 1962, 72 mila 24 nel 1963), per puntare decisamente verso quelle assai più alte degli ultimi dell’Ottocento o dei primi del Novecento: 84.154 persone usarono nel 1964 dei servizi posti a loro disposizione in via della Cittadella, 5; nel 1965, 114.801, e nel 1966, 125 mila 607.

Il riferimento a servizi differenziati piuttosto che ad una singola, indiscriminata direttrice di sviluppo, si deve all’indirizzo impresso dopo la Liberazione alla biblioteca, non solo per lo stato di necessità conseguente alla sistemazione di fortuna, provvisoria ed insufficiente, ma sulla base di una ponderata valutazione dei compiti da assolvere. Come si è visto, l’aumento del patrimonio librario da 145 a quasi 200 mila unità (andate poi distrutte per un 10% circa), fra il trasferimento del 1929 ed il crollo del 1943, non trovò rispondenza in un incremento del servizio pubblico, oscillante fra le 50 e le 70 mila frequenze annue e quindi ben lontano dalle cento e più mila di trent’anni prima. Effetto non tanto, è da credere, di mutate condizioni generali, quanto di una diversa valutazione del compito di diffusione della cultura spettante alla biblioteca, volta a coltivare materie particolari sulle quali già era particolarmente provvista per doni ricevuti e acquisti fatti, come il teatro, la musica, la storia del Risorgimento ed in genere la cultura locale, mentre si lasciavano i compiti di prestito dei libri generalizzato a tutti i livelli alle più piccole e ideologicamente meglio controllabili «popolari circolanti». Le amministrazioni del dopoguerra si trovarono con un patrimonio librario per buona parte, è vero, inutilizzato, ma cospicuo: per talune materie, anzi, insostituibile, dopo le gravissime perdite sofferte dalla Biblioteca Nazionale per l’incendio dei fondi di storia e cultura regionale e delle collezioni di giornali. E si orientarono verso la costituzione di sezioni distinte per particolari tipi di materiale e di servizio, incominciando fin dal febbraio 1946 coll’istituirne una per la musica, in sede staccata, destinandovi i ricchi fondi provenienti dalla Società di concerti del Teatro Regio, dalla Banda municipale e da altre istituzioni cittadine disciolte

L’edificio ricostruito in via della Cittadella non accolse soltanto i fondi librari della Biblioteca Civica, suddividendone l’uso in tre sale, per la lettura generale, i periodici (con sommaria consultazione di guide, atlanti, enciclopedie) e la consultazione di repertori e bibliografie. Vi aggiunse la preesistente «biblioteca popolare centrale»» (trasmigrata molti anni prima dalla palazzina di corso Vittorio Emanuele 21, dov’era stata aperta, ad un appartamento di piazza Carignano 8, rifugio dopo il sinistro degli uffici di direzione della Civica), opportunamente rinnovata e classificata in modo da renderne gli scaffali liberamente accessibili al pari di quelli della biblioteca per ragazzi dai sei ai quindici anni ad essa affiancata, quale indispensabile complemento di ogni servizio organico di lettura pubblica.

I compiti «di favorire lo studio delle scienze applicate alle arti e alle industrie e di fornire cognizioni utili alla classe operaia» o più genericamente «di promuovere, a vantaggio della cittadinanza, l’incremento della cultura in genere», sanciti dai vecchi regolamenti, non vennero contraddetti da questa articolazione di servizi diversi e opportunamente distinti, né dalla nuova formulazione per essi adottata dal Consiglio comunale il 18 febbraio 1957: «Le Biblioteche civiche, alle quali sono annesse le raccolte storiche di proprietà comunale, sono istituite per la diffusione della cultura tra tutti i cittadini senza limitazione di età, secondo lo spirito in cui se ne fece promotore Giuseppe Pomba. Perseguono tale scopo attraverso:

a) la raccolta di libri a stampa e manoscritti, documenti, periodici, partiture e microfilm (con particolare riguardo alle memorie ed alla documentazione piemontesi, alla storia del Risorgimento e contemporanea, al teatro ed alla musica) di mezzi audiovisivi e di altri materiali di particolare importanza storica e didattica;
b) la conservazione ed il completamento di speciali fondi archivistici e bibliografici secondo quanto venga deliberato dall’Amministrazione comunale in seguito a lasciti o ad acquisti».

L’aggiunta, almeno nelle intenzioni, degli archivi e delle collezioni di interesse prevalentemente storico da assicurare alla città non fu semplicemente il riconoscimento di uno stato di fatto ormai acquisito, e cioè dell’importanza preminente dei fondi manoscritti e a stampa della Biblioteca Civica (pur impostata con intenzioni tanto più modeste) nel quadro della cultura locale. Volle significare anche uno svolgimento, e quasi un completamento, dei fini proposti nella seconda metà dell’Ottocento a questo fulcro dell’educazione popolare torinese verso l’impiego della parte più cospicua del patrimonio bibliografico per stimolare ed allargare gli interessi della generalità dei cittadini, parallelamente all’aumento del livello medio di istruzione, oltre che per l’informazione e la ricerca, di loro natura limitate a pochi studiosi.

Con questo spirito le forze della biblioteca vennero decisamente impegnate in un programma di mostre, dapprima saltuario per la necessità di appoggiarsi a sedi esterne - come nella celebrazione dei centenari della morte di Silvio Pellico (1954) e di Amedeo Avogadro (1956), del quale si conserva manoscritta l’ingente, ed in gran parte inedita, opera di fisico e matematico - poi sistematico, nel vasto atrio di via della Cittadella opportunamente attrezzato con pannelli e vetrine. Qui si incominciò anzi, per doveroso omaggio al fondatore della Civica ed in concomitanza con la ricollocazione del busto dedicatogli nel 1877, con una rassegna della vita e dell’opera editoriale di Giuseppe Pomba (novembre dicembre 1962). Ad essa seguirono fino ad oggi ben ventidue esposizioni diverse di libri, documenti, fotografie, per buona parte illustrate da guide concepite in modo da fornire ai lettori (tali vengono infatti considerati, almeno in potenza, tutti i visitatori) un preciso orientamento sui libri a loro disposizione per approfondire l’argomento; il più delle volte sommario, e magari ciclostilato alla buona, ma in qualche caso esteso fino a rappresentare una vera e propria bibliografia, altrimenti inesistente. Anche questa attività, oltre a suscitare verso i servizi della biblioteca un interesse più vivace e di più vasta risonanza, finisce col lasciare una traccia non effimera ne inutile per le ricerche future.

Non in questa direzione soltanto l’opera della Civica si è venuta estendendo al di fuori dei compiti svolti, come si è detto, prima di tutti gli altri ed in misura particolarmente intensa nel rendere facilmente e largamente accessibile il patrimonio accumulato in un secolo di esistenza. A partire dal 1958 si organizzarono vari cicli di lezioni, audizioni commentate di dischi e visite guidate a musei e monumenti cittadini, facendo capo preferibilmente a biblioteche circolanti periferiche od ai centri sociali dei nuovi quartieri cui, nello stesso periodo, venivano concesse in deposito collezioni intercambiabili o «cassette»: due tentativi paralleli per rendere più vitale la rete impostata mezzo secolo fa per la diffusione della lettura fra il popolo. Più che di tentativi, anzi, si dovrebbe parlare di assaggi, compiuti con gli scarsi mezzi a disposizione per riconoscere le direttrici di sviluppo maggiormente promettenti e fruttuose ai fini di un’articolazione territoriale dei servizi bibliotecari. Il pieno adempimento degli scopi di diffusione larga ed a tutti i livelli della cultura, attraverso il libro, perseguiti da un secolo con una coerenza non meno sicura dei tangibili risultati ottenuti, si deve ora ricercare infatti non in una dilatazione indefinita delle dimensioni della sede di via della Cittadella (per nulla auspicabile, quand’anche fosse materialmente possibile) ma nella creazione di una serie di biblioteche succursali a orario pieno e in grado di far fronte a tutte le esigenze di informazione e di lettura, a quel livello medio che si va generalizzando con il crescere del grado di istruzione scolastica, per uso dei giovani come degli adulti. Verso questa meta andranno rivolti, nei prossimi anni, gli sforzi di una città cresciuta a dimensioni metropolitane da quelle di piccola capitale ottocentesca in cui pure furono impostati con tanta chiarezza, tra il premere di altri maggiori ed assillanti, i problemi dell’istruzione e della cultura per tutti.

 

Testo di Gianfranco Bussetti (Ufficio Studi locali)